chièsa
IndiceLessico
Sf. [sec. XIII; latino ecclesía, che risale al greco ekklēsía, adunanza, assemblea].
1) Comunità di credenti in una medesima fede religiosa, avente una determinata organizzazione istituzionale: Chiesa cattolica, ortodossa, anglicana, la chiesa nazionale d'Inghilterra costituita come tale nel sec. XVI; le chiese orientali: monofisiti, nestoriani, Caldei, malabaresi, Copti, Armeni, melchiti, ruteni; la comunità delle chiese cristiane. Usato assol. senza precisazioni e per lo più con l'iniziale maiuscola, s'intende la chiesa cattolica: i padri della Chiesa; i conflitti tra Stato e Chiesa. La comunità può essere intesa come unità collettiva o come corpo mistico: chiesa militante, l'insieme degli individui che credono e si battono per una fede (in particolare, per la fede in Cristo); chiesa trionfante, i beati del Paradiso.
2) Edificio destinato all'esercizio pubblico del culto, specialmente cristiano: andare, pregare in chiesa; essere poco o molto di chiesa, essere poco o molto osservante e, per estensione, poco o molto credente. Talvolta con riferimento all'organizzazione temporale della chiesa cattolica, parrocchia o diocesi e l'insieme dei fedeli che ne fanno parte: “Il cardinale Ridolfo... possedeva la Chiesa di Vicenza” (Pallavicino). § Chiesa privata, oratorio domestico a uso esclusivo di una singola famiglia. § Chiesa palatina, la cappella privata adibita al servizio religioso della famiglia e della corte imperiale (dall'editto costantiniano, 313); più tardi, tutte le cappelle private dei vari monarchi cristiani. Era esente da ogni giurisdizione ecclesiastica ed era officiata da cappellani di nomina regia.
Chiesa cattolica: descrizione generale
Secondo l'ecclesiologia del cattolicesimo, la Chiesa cattolica trae la propria origine da Gesù Cristo e la propria finalità essenziale dall'essere strumento unico pienamente valido della comunicazione al mondo dell'opera redentiva di Cristo. Grazie alla propria fondazione divina, la Chiesa cattolica concepisce se stessa come società visibile e storica, ma soprannaturale al tempo stesso, come “mistero”, analogo al mistero dell'Incarnazione, e come “sacramento”, ossia manifestazione visibile della realtà divina, o ancora come corpo mistico di Cristo, sorta di prolungamento dell'Incarnazione; nel contempo, essa può definirsi anche, con riguardo specialmente al carattere comunitario della totalità del suo insieme e all'elezione divina che la sostiene, come “popolo di Dio”. All'essenza stessa di tale popolo di Dio è connesso il fatto ch'esso sia internamente differenziato tra una gerarchia (vescovi, sacerdoti, ministri, alla cui sommità si trova il romano pontefice), o chiesa docente, e un laicato, o chiesa discente: nella gerarchia, e in particolare nel vescovo, s'individua in modo speciale e primario la presenza di Cristo stesso nella Chiesa. La connessione spirituale e organizzativa tra i membri più eminenti della gerarchia, papa e vescovi, si esprime nel principio della collegialità episcopale, al cui interno i rapporti tra vescovi e pontefice si definiscono in termini di “comunione gerarchica”, per la quale l'intero corpo episcopale, nel suo insieme, partecipa, in posizione subalterna, alle prerogative del pontefice, cui spetta il primato nella Chiesa cattolica. A sua volta il rapporto tra gerarchia e laicato, per quanto strutturalmente configurantesi come subordinazione del secondo alla prima, si definisce contemporaneamente in termini di “servizio reciproco”, essendo il laicato parte attiva della Chiesa, partecipe esso stesso di quell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo che l'episcopato esercita in modo eminente e competendo al laicato una specifica missione di evangelizzazione e di direzione cristiana della sfera temporale (apostolato dei laici). La Chiesa cattolica, così definita e strutturata, si attribuisce quindi determinati poteri: il potere di magistero, per cui si deve riconoscere nel suo insegnamento dottrinale e morale, fondato sulla tradizione incorrotta del depositum fidei, un oggetto di fede e di obbedienza; il potere di ministero, acquisito con il sacramento dell'ordine, che conferisce la potestà di amministrazione dei sacramenti; il potere giurisdizionale, infine, articolato in potere legislativo, giudiziario e coattivo. L'asserto dell'ecclesiologia cattolica, secondo il quale nella Chiesa cattolica sussiste l'unica e vera chiesa di Cristo, richiede di essere sostenuto mediante il ricorso all'ostensione di segni che – accanto alla pretesa conformità della struttura ecclesiastica con la volontà del suo fondatore – ne dimostrino la fondatezza: tali segni sono le quattro note essenziali dell'unità, della santità, della cattolicità, dell'apostolicità, che costituiscono appunto, nel loro insieme, il criterio di riconoscimento della vera Chiesa e che si affermano presenti nella Chiesa cattolica; insieme con queste quattro note distintive sono attribuite infine alla Chiesa cattolica la proprietà dell'indefettibilità, ossia della durata continua e inalterata della Chiesa sino alla fine dei tempi, e quella dell'infallibilità, per cui si asserisce l'inerranza della Chiesa nella tradizione e nell'interpretazione del depositum fidei che le è stato affidato. Quest'ultima proprietà in particolare, come in genere la soprannaturalità che le si attribuisce nel definirla, comporta che, nel contesto della teologia cattolica, la Chiesa assurga a regola di fede. Questa Chiesa, non appena corroborata dal sacrificio di Cristo e dalla Grazia dello Spirito Santo, iniziò la sua attività nel momento in cui Roma stava compiendo il suo massimo sforzo di accentramento politico nell'impero e la cultura greco-romana andava alla ricerca di più saldi principi su cui fondare il suo ulteriore sviluppo. La prima manifestazione pubblica della nuova Chiesa si è avuta con il discorso che San Pietro tenne nella piazza di Gerusalemme non appena ricevuto lo Spirito Santo; il Concilio di Gerusalemme (50 d. C.) fissò le prime linee dell'attività ecclesiale, che non doveva essere ristretta al solo ambiente giudaico, ma estendersi a tutto il mondo: Pietro e gli altri apostoli infatti in quei primi anni del cristianesimo avevano limitato la loro predicazione alla Giudea, alla Galilea e alla Samaria. Fu San Paolo, allevato nella cultura ellenistica, a portare il cristianesimo in mezzo “ai gentili”, fondando le prime chiese ad Antiochia di Pisidia, a Perge di Panfilia, a Salamina, a Cipro, a Iconio, a Derbe, a Listri, a Filippi di Macedonia, a Tessalonica, a Berea, a Corinto, a Efeso e nella stessa Roma; con la vastità della sua cultura egli seppe dare al cristianesimo un respiro veramente universale che gli è restato come caratteristica precipua, e che in quel momento si era rivelato particolarmente capace d'intendere e soddisfare le superiori istanze dell'uomo; nell'annuncio di una fratellanza nuova, che parte dalla comune figliolanza in Dio ma si prolunga fino agli ultimi vasi capillari del tessuto sociale portando la sostanza viva di nuovi rapporti umani, è il segreto dell'affermazione del cristianesimo primitivo. La lotta con il potere politico ha segnato le sue strade con il sangue di legioni di martiri, ma proprio da questo sangue sono sorte moltitudini di nuovi cristiani, assicurando alla nuova religione un posto stabile nel mondo.
Chiesa cattolica: le origini
Finalità di una storia della Chiesa cattolica è di coglierne le strutture, gli elementi dottrinali, la liturgia nel modo in cui si sono venuti definendo sotto l'influsso di motivi interni e di suggestioni ambientali molteplici, sulla base della matrice originaria ebraica, con l'apporto d'idee e strutture ellenistico-romane e dei diversi ambienti, germanico, celtico, slavo e, più avanti, africano, indio-americano, asiatico in cui la Chiesa cattolica si è venuta inserendo. Essa nasce nell'ambiente giudaico e si collega alle tradizioni religiose ebraiche (Bibbia, Vecchio Testamento); in virtù della predicazione del Regno di Dio fatta da Gesù di Nazareth, continuata dagli Apostoli e presto raccolta in un corpus letterario di Vangeli, Atti di Apostoli, lettere (Nuovo Testamento), il cristianesimo antico si presenta in comunità (“chiese”) diffuse già alla fine del sec. I in tutti i grandi centri della civiltà ellenistico-romana, con strutture simili, che vivono nello spirito loro elargito dalla comune convinzione di essere membra mistiche del corpo di Cristo. Ben presto tuttavia in esso emergono correnti diverse e tensioni, che già assemblee (concili) dei capi delle chiese cercano di risolvere autoritariamente; da questa matrice si sono venute plasmando e definendo istituzioni, dottrine, riti, con successivi sviluppi sotto l'influsso di suggestioni e vicende molteplici. La più rilevante di queste fin dai primi secoli è stata quella dell'Impero romano e della cultura ellenistico-romana, per cui la Chiesa ha conosciuto persecuzioni come società illecita, via via imponendosi fino a ottenere, con la svolta politico-religiosa di Costantino e di Teodosio, prima la tolleranza e poi la condizione di religione ufficiale dell'impero.
Chiesa cattolica: il Medioevo
In questi primi secoli la Chiesa cattolica si è così differenziata sul piano organizzativo e dottrinale da eresie e sette, assumendo strutture particolari con l'assimilazione d'istituzioni della società civile, non senza informarle in qualche modo al proprio spirito. Fin dai sec. II e III ha assunto così preminenza nelle comunità il “vescovo” rispetto al “profeta” e al “presbitero”; e, tra i vescovi, quelli delle comunità che potevano rivendicare la fondazione da parte di apostoli. A loro volta i vescovi di Roma, col richiamo alla fondazione della chiesa romana da parte di San Pietro e al potere delle Chiavi (Matteo, XVI, 18), ma anche in virtù della posizione dell'Urbe, centro e sede del potere imperiale, affermano una preminenza sugli altri vescovi; e questa di fatto risultava sempre più di frequente riconosciuta nella decisione di controversie dottrinali e disciplinari da chiese d'Africa, della Gallia; con la condanna, tra l'altro, del profetismo montanista e del rigorismo di Tertulliano. Unità e uniformità nella dottrina e nella disciplina, sulla base di decisioni ispirate e approvate dalla sede romana, s'imposero ancor più nell'Impero romano-cristiano con la condanna delle eresie di Ario e di Donato nel sec. IV, di Pelagio, Nestorio ed Eutiche nel V. Queste condanne però non impedirono che si organizzassero e si sviluppassero chiese ariane, nestoriane, monofisite, specie in Oriente, talora con l'appoggio degli stessi imperatori, ma, più spesso, con quello di forze esterne, avverse all'impero e con la fervida partecipazione di cerchie del monachesimo sia eremitico sia cenobitico (di regola basiliana in Oriente, d'impronta benedettina in Occidente). Lo scindersi dell'Impero romano e l'indebolirsi della sua autorità in Occidente – mentre codesta autorità si manteneva più salda a Bisanzio, anche sulla Chiesa – determinarono un'ulteriore differenziazione della Chiesa cattolica dalla comune matrice cristiana: e questo, rispetto alla chiesa bizantina e in genere alle chiese d'Oriente (siriaca, copta, armena) per la progressiva autonomia che la Chiesa cattolica rivendicava e attuava nei riguardi delle autorità civili, per l'imporsi esclusivo del latino nella liturgia, per l'autorità sempre meno contestata del vescovo di Roma, per lo sconfinamento del clero nello stesso ambito civile e temporale (giustizia, beneficenza, patrimonio fondiario). Nel Medioevo la Chiesa cattolica ha continuato la sua opera missionaria, specie nei riguardi delle popolazioni germaniche e celtiche: facilitava loro l'assimilazione della cultura e dell'organizzazione romane, da essa stessa incorporata; consacrava l'autonomia e l'iniziativa politica dell'Occidente nel Sacro Romano Impero carolingio (799) nella sua espansione politico-militare verso l'Est e il Nord dell'Europa e dal sec. XI nelle crociate antislamiche in Asia Minore, in Spagna, in Africa, ma accogliendo, a sua volta, elementi e influssi germanici, specie nel sistema patrimoniale e di governo, che si andava feudalizzando. Tutto questo ha comportato periodi di crisi proprio nel papato (sec. IX-XI), ma ha costituito, anche per la Chiesa cattolica, uno sviluppo e un arricchimento nella struttura, nella liturgia, nella devozione. Ciò ha avuto luogo particolarmente a partire dai sec. XI-XII, che hanno visto la ripresa del fervore nei conventi (riforma di Cluny, cistercensi, camaldolesi e altri) e nel popolo (zelanti “patarini”, umiliati), la rifioritura della teologia e gli inizi del diritto canonico con vigorosa impronta romano-papale. Il pieno svolgimento delle proprie peculiarità gerarchiche nella dottrina e nell'organizzazione la Chiesa cattolica lo presentò però nel sec. XIII, quando il papato dispiegò il massimo della sua potenza nell'interno della Chiesa e nei rapporti con gli Stati. La Chiesa cattolica riuscì a inserire nella propria struttura e nella propria azione di governo gli stessi movimenti religiosi popolari più intensi, quali il pauperismo francescano, lo zelo missionario e culturale dei domenicani, la pietà mistica dei beghinaggi fiamminghi, respingendo in margine le posizioni estremiste antigerarchiche di valdesi, catari, albigesi, “fratelli del libero Spirito” e simili. Essa inoltre prese sotto il proprio controllo pure l'attività speculativa delle università (Parigi, Oxford, Colonia), promuovendo l'elaborazione teologica che portò a nuove definizioni dogmatiche sui sacramenti e sui poteri della Chiesa; valorizzò le scuole di diritto (Bologna, Chartres, Padova) per dar vita a una dottrina canonistica, fondata sulle leggi della Chiesa, a fianco di quella civilistica dei glossatori romanisti, assicurando per questa via validità autonoma alle decretali pontificie a lato delle decisioni dei concili. Nel contempo il suo capo, il papa, manteneva la direzione pure politica della cristianità, anche in vivace tensione con l'Impero (con Federico II di Svevia, come in precedenza con Federico Barbarossa), continuando a tale fine a favorire la formazione degli Stati nazionali che hanno dato il volto a una nuova Europa. In tale modo la stessa speculazione mistica e lo stesso fervore ascetico si sono rivelati manifestazioni spontanee di vitalità ecclesiastica, forze di propulsione e di orientamento della stessa azione gerarchica. Nel contempo l'apparato centrale della Chiesa, la Curia romana, è venuto acquistando ampiezza e importanza sempre maggiori: questo fenomeno si accentuò nel sec. XIV, quando la sede papale si trasferì ad Avignone (1309-77) per le attribuzioni patrimoniali e finanziarie assunte dalla Curia e dai suoi uffici e tribunali, in applicazione della teoria dei pieni poteri del papa nel disporre dei benefici e uffici ecclesiastici (riserve circa la nomina dei titolari), nell'imporre sui redditi dei benefici tasse ordinarie (per esempio le “annate”) e straordinarie (per esempio le decime per le crociate), nel concedere dispense dalla legge comune (commende di abbazie, cumulo di benefici), nell'elargire privilegi e “grazie” previo pagamento d'una tassa (donde anche la “vendita delle indulgenze”).
Chiesa cattolica: dal Rinascimento all'età contemporanea
Proprio in codesto periodo (sec. XIV-XV) gli elementi specifici romano-papali della Chiesa cattolica entrarono in crisi per l'affermarsi nelle chiese di esigenze di autonomia “nazionale” sotto la suggestione delle strutture e coscienze nazionali in Francia, Inghilterra e altrove, nonché per il diffondersi dello spirito laico anti-ecclesiastico, nel diritto e nella politica (Marsilio da Padova, Wycliffe). Nei concili, convocati per risolvere lo Scisma d'Occidente, che aveva provocato la divisione della Chiesa cattolica in più “obbedienze” (1378-1417) con tre papi in concorrenza (il romano, l'avignonese, il pisano), si fece forte la teoria della superiorità del concilio sul papa; il collegio cardinalizio poi, allargando i suoi poteri (specie nelle “capitolazioni elettorali” imposte agli aspiranti al papato), tese a dare alla Chiesa cattolica una direzione oligarchica in luogo di quella monarchica; il sistema curiale infine divenne oggetto di critiche sempre più vivaci in connessione con la richiesta di una riforma nel capo come nelle membra, che investì precipuamente l'accentramento romano-papale dei poteri di magistero, di governo e di sacra ordinazione e s'accompagnò alla contestazione pure delle teorie scolastiche elaborate al riguardo sotto il controllo del papato, a opera di suoi fautori e da esso sanzionate. La riforma della Chiesa cattolica nel sec. XVI ebbe notoriamente due direzioni divergenti: da un lato essa portò alla frattura col costituirsi di chiese che rivendicavano, contro di essa, il carattere di “vera” chiesa di Cristo e contestavano proprio gli sviluppi di organizzazione e di dottrina del Medioevo e della stessa Chiesa cattolica antica, in quanto avvenuti sotto l'influsso romano-papale (luterani, zwingliani, calvinisti, anabattisti, antitrinitari). Dall'altro la riforma interna condusse a eliminare tratti deteriori del sistema papale, a consolidarlo sul piano dottrinale e organizzativo per il prestigio dei papi che la diressero in quella fase (Paolo III, Paolo IV, Pio IV, Pio VGregorio XIII, Sisto V), grazie all'apporto di forze e iniziative recato all'azione dei papi dalle nuove congregazioni religiose (teatini, barnabiti, cappuccini, gesuiti, fatebenefratelli, orsoline, angeliche e più tardi dame inglesi, vincenzine, ecc.). Il Concilio di Trento (1545-63), convocato dai papi, sia pur con riluttanze e timori, e presieduto da legati papali, nei suoi decreti dottrinali sostanzialmente confermò, completò e sancì gli sviluppi dogmatici della Chiesa medievale; e pure in quelli di “riforma” confermò il sistema del diritto canonico che si era venuto creando, con l'eliminazione delle degenerazioni, degli “abusi”, ma col rafforzamento proprio delle strutture gerarchicamente accentrate. La riforma della Curia romana era affidata allo stesso papato e quest'ultimo, attuandola, creava anche nuove congregazioni cardinalizie. Con tale rinvigorimento gerarchico-unitario la Chiesa cattolica, con nuovo slancio e nuovi metodi, riprese in tutte le terre conosciute la sua espansione missionaria (gesuiti in India, Cina, Giappone e poi anche in America; domenicani in America e poi anche in Asia fin dal sec. XVI; francescani nel Vicino Oriente), mentre intensificava con mezzi pastorali (zelo di vescovi, missioni popolari di cappuccini, collegi di gesuiti), ma anche con quelli politico-militari (nelle Fiandre, nella Francia dilaniata da guerre civili-religiose, nella Germania provata dalla guerra dei Trent'Anni), la riconquista di territori e popolazioni d'Europa passate ai protestanti (Controriforma). Codesto attivismo missionario ha avuto risultati e conseguenze che invero sono giunti a maturazione solo nei sec. XIX e XX nei confronti dell'intera organizzazione e della vita della Chiesa cattolica, che si è manifestata come “universale”, non solo presentandosi coi suoi vescovi in tutte le regioni abitate, ma conferendo un'impronta sempre più internazionale alle sue strutture, inserendo nei suoi centri direttivi uomini di tutte le nazioni e di tutte le razze, formati a Roma (Collegio de Propaganda Fide dal sec. XVII). Nel sec. XX, Pio XII in questa prospettiva ha sacrificato la tradizionale preminenza numerica d'italiani e romano-curiali nel collegio cardinalizio per far posto ad Americani, Cinesi, Indiani, Africani, e da Giovanni XXIII in poi è stato aumentato il numero dei cardinali. Nella stessa teologia e nelle stesse forme di devozione e di arte la Chiesa cattolica si è venuta sciogliendo dalle forme quasi esclusivamente greco-romane che l'avevano improntata dagli inizi per far posto anche ad altre forme ed esperienze religioso-culturali, specie a quelle dei popoli di civiltà millenarie dell'Oriente. In tale modo essa accentuava il carattere onnicomprensivo della sua universalità, accogliendo tutti i popoli coi loro valori umani e religiosi; e insieme riconsiderava i suoi rapporti con le chiese cristiane separate, guardando più ai motivi e agli elementi comuni che a quelli di differenziazione e di antitesi, in uno spirito che è stato presto chiamato “ecumenico” e che non ha tardato a essere condiviso dalle chiese separate, a loro volta intese a riassicurarsi i tratti della cattolicità. La Chiesa cattolica era uscita dalla crisi teologica e organizzativa di giansenismo, giurisdizionalismo e illuminismo del sec. XVIII e da quelle della Rivoluzione francese e dalle secolarizzazioni, prima napoleoniche e poi liberali, del sec. XIX, con un sostanziale rafforzamento delle sue strutture gerarchiche, via via più strettamente collegate con Roma (“ultramontanismo”, specie in Francia e in Germania, Concilio Vaticano I e dichiarazione dell'infallibilità papale, 1870); più vivace era anche la sua presenza nella società travagliata da problemi sempre nuovi: al distacco crescente di masse di fedeli rimediava l'intensificato fervore e impegno d'azione dei gruppi, particolarmente di laici, rimasti fedeli. Organizzati in nuove maniere, essi hanno inserito la loro azione nelle realtà dei popoli di colore che aspirano all'indipendenza dall'europeismo non solo in politica, ma anche nell'economia e nella cultura, con un'efficiente organizzazione anche internazionale (“apostolato mondiale dei laici”), e con posti di comando nelle nuove organizzazioni internazionali (UNESCO, FAO e simili). La Chiesa cattolica conserva pertanto la sua struttura, basata sull'episcopato gerarchico, il suo sistema di leggi (“diritto canonico”), le sue peculiari dottrine inquadrate in un sistema teologico, in cui trovano collocazione organica motivi e dogmi fondamentali del cristianesimo. Codesta teologia cattolica in varia e permanente polemica con le correnti del pensiero contemporaneo, in particolare con le posizioni più radicali della teologia critica, mantiene la sua relativa fiducia nelle forze dell'uomo, pur proclamando necessaria alla salvezza la grazia; di conseguenza riconosce un valore positivo all'uomo, capace di decidere del suo destino etico-religioso; e questo contro il pessimismo dell'ultimo Agostino e poi di Lutero e contro il predestinazionismo di Calvino; essa è disposta a valorizzare le creazioni umane, la cultura, l'arte, la scienza, la tecnica, l'organizzazione economica e politico-sociale, ma le vuole integrate nel soprannaturale. Donde la ricchezza d'iniziative dal basso di forme organizzative anche ardite sorte, nel sec. XX, dal primo dopoguerra (istituti laicali, congregazioni di consacrati che rimangono in abito e professioni secolari, preti-operai e simili). Attività queste che si sono aggiunte all'impegno nel mondo politico con partiti cristiano-sociali e nel mondo del lavoro con una vasta gamma di opere assistenziali e di organizzazioni sindacali intese a promuovere le condizioni dei lavoratori, differenziandosi in teoria e prassi da quelle socialiste (encicliche Rerum Novarum di Leone XIII, Quadragesimo anno di Pio XI, Mater et magistra di Giovanni XXIII, Octogesima adveniens di Paolo VI). I nuovi orientamenti ecclesiologici si sono accentuati nel dopoguerra sotto l'insegna programmatica del papato di Giovanni XXIII (1958-63) e del Concilio Vaticano II da lui convocato e concluso da Paolo VI (1963-78), anche come presa di posizione di fronte alle realtà nuove d'ordine scientifico-tecnologico, economico-sociale e politico-internazionale. Distanziandosi dalla direzione ancora autoritaria e centralizzata di papa Pacelli (1939-58), che intendeva tenere sotto saldo controllo dottrina e disciplina della Chiesa cattolica, Giovanni XXIII accentuava la direttiva pastorale, si apriva al dialogo e sottolineava il momento della collegialità nella direzione della Chiesa. In questo spirito veniva convocato e iniziato il Concilio Vaticano II (1962-65): esso non doveva primariamente definire nuove dottrine o confermare condanne, ma cercare un nuovo linguaggio con cui presentare a tutti gli uomini il messaggio cristiano: il dialogo infatti caratterizzava i lavori del concilio, mentre Giovanni XXIII allacciava relazioni con i Paesi comunisti. Il Vaticano II, che si era aperto alla presenza di oltre 2000 vescovi di tutte le nazioni e razze, s'impegnava soprattutto nel riconsiderare natura e missione della Chiesa, alla luce delle esigenze della sua struttura (costituzione Lumen gentium), dei compiti dei vescovi, della coscienza unitaria cristiana (Unitatis redintegratio), con riguardo ai nuovi mezzi di comunicazione sociale, da valorizzare anche nell'azione religiosa. I decreti finali del 1965 erano destinati a innovare nella Chiesa insieme le strutture e la loro ispirazione: essi riguardavano l'ufficio pastorale dei vescovi, da esercitare con l'assistenza di consigli pastorali di clero e fedeli, l'“apostolato dei laici”, l'attività missionaria, l'“educazione cristiana”, l'azione della Chiesa nel mondo (costituzione Gaudium et spes). Due dichiarazioni erano pure eloquente testimonianza del nuovo spirito della Chiesa cattolica, l'una sulle “relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”, l'altra sulla “libertà religiosa”. La fase applicativa del concilio si è poi rivelata laboriosa: essa ha dato luogo a tensioni che esprimevano anche forze e orientamenti nuovi sollecitanti ulteriori sviluppi, mentre correnti tradizionaliste e conservatrici si distanziavano dalle innovazioni conciliari ed entravano in vivace polemica con la “nuova teologia” e le nuove esperienze di vita ecclesiale. L'apertura al dialogo è continuata nell'azione pastorale e politico-ecclesiastica di Paolo VI con contatti diretti con civiltà antiche e recenti dell'America, dell'Africa, dell'Asia e dell'Australia; in tal modo la Chiesa cattolica intendeva scendere in mezzo agli uomini rompendo le barriere che le situazioni storiche le avevano costruito attorno. Nella stessa prospettiva giovannea venivano creati nel 1965 due nuovi uffici della curia: il segretariato per la relazioni coi non-cristiani (islamici, buddhisti, induisti) e quello “per i non-credenti”; inoltre il Sant'Ufficio, caratterizzato dalle severe procedure inquisitoriali e repressive, è divenuto la “Congregazione per la dottrina della fede”, adottando nuove procedure che hanno il dovuto riguardo per il denunziato e per il suo diritto alla difesa, valendosi di un corpo di consultori internazionalizzato e aperto a tutte le correnti più significative della teologia. Anche il principio della collegialità, a correttivo di quello tradizionale gerarchico, ha ricevuto ulteriori sviluppi nelle “conferenze episcopali” nazionali, con larga autonomia di direttive pastorali e, ancor più, nel nuovo corpo consultivo che rappresenta tutto l'episcopato con delegati delle conferenze episcopali, nel “sinodo dei vescovi” chiamato a proporre problemi vivi e urgenti della Chiesa e a delineare delle soluzioni in una novità che non significhi rottura con le istituzioni e le direttive tradizionali. Dopo la breve parentesi del pontificato di Giovanni Paolo I (26 agosto-28 settembre 1978), il papato di Giovanni Paolo II ha segnato – rispetto al tradizionalismo in materia teologica e disciplinare di Paolo VI – un'indubbia rivalutazione del carattere “pastorale” dell'attività pontificia e di quella della Chiesa in genere. La sua attenzione per il Terzo Mondo e la sua profetica visione di un rinnovato cristianesimo per il terzo millennio si accompagnano a una illuminata ma ferma struttura di conservazione cattolica. Le sue encicliche (tra cui le tre encicliche sociali Laborem exercens del settembre 1981, Sollicitudo rei socialis del febbraio 1988, Centesimus annus del maggio 1991) rivelano la costante preoccupazione di rilanciare un “umanesimo cristiano” che ha portato la Chiesa a porsi come un punto di riferimento ineluttabile per tutte le attività di assistenza e di volontariato, indipendentemente da appartenenze confessionali e da convinzioni politiche. Di importanza storica, nell'ambito della ricerca del dialogo con le altre Chiese, è stata la svolta rappresentata dal riconoscimento da parte della Chiesa cattolica, nel 1998, delle proprie colpe nei confronti degli Ebrei nel corso dei secoli, ma soprattutto durante la II guerra mondiale. Più difficili invece appaiono i rapporti, dopo la caduta del regime comunista nell'Unione Sovietica, con la Chiesa ortodossa russa. Senza precedenti nella storia della Chiesa è stata la “processione penitenziale” voluta da Giovanni Paolo II durante il Giubileo del 2000 per chiedere perdono delle sette colpe (deviazioni dal Vangelo, guerre di religione, divisioni tra cristiani, persecuzioni contro il popolo d'Israele, conversioni forzate, maschilismo e razzismo, ingiustizia sociale) commesse dai cristiani nel corso della loro storia.
Il rapporto tra Chiesa e Stato
I rapporti tra Chiesa e Stato costituiscono un problema derivato e dalla concezione della società religiosa, coi suoi compiti e la sua struttura, e da quella dello Stato, pure nei suoi compiti, istituzioni e mezzi di azione, e dai rapporti stabilitisi tra Chiesa e Stato, specialmente nell'epoca contemporanea, quando lo Stato si è venuto distanziando dalla Chiesa, in piena autonomia di funzioni e valore. I rapporti tra Chiesa e Stato hanno avuto molteplici vicissitudini e aspetti, condizionati dalle vicende storiche e dalla diversa situazione di forza organizzativa e morale dell'una e dell'altro; e questo, oltreché nei rapporti di fatto, nelle rivendicazioni teoriche di canonisti e di giuristi. È nell'epoca medievale che si delinea anche nella dottrina la questione dei compiti e poteri rispettivi di Chiesa e Stato, soprattutto nella riforma gregoriana e nella lotta per le investiture (sec. XI-XII). In genere il papato, come culmine e sintesi della Chiesa gerarchica, rivendicava la propria ierocrazia, in virtù del primato dello spirituale rispetto al temporale; mentre l'impero rinnovato dagli Ottoni sull'esempio degli autocrati bizantini avrebbe voluto l'inverso insistendo sull'unzione sacrale dei suoi titolari. Con la crisi del papato, diviso dallo scisma e partecipe della mondanizzazione della Chiesa nei sec. XIV-XV, lo Stato rivendicò più energicamente il proprio ambito d'autorità e la Chiesa fu costretta a far posto a queste esigenze in “concordati” coi principi: si venne così delineando il giurisdizionalismo nei rapporti Chiesa-Stato, cioè il controllo statale su beni e istituzioni ecclesiastiche. Nel sistema luterano, che riconosce ai principi la funzione di summi episcopi, la Chiesa è praticamente integrata nell'amministrazione statale; nel sistema calvinista, invece, è la Chiesa, non gerarchica, ma congregazionale, che controlla lo Stato, imponendogli d'essere esecutore dei suoi dettami etico-religiosi. Nel contempo la Chiesa cattolica, tra controversie giurisdizionali e polemiche dottrinali, pur mantenendo patrimonio e posizione privilegiata, è stata sempre più inserita nell'apparato amministrativo statale, mediante la sanzione forzata di una concessione papale, sotto forma di “concordato” (tipico al riguardo il giuseppinismo in Austria nel sec. XVIII). Nell'età contemporanea, dopo lo scossone della Rivoluzione francese e le sue esperienze radicali di separazione tra Chiesa e Stato, si sono venute delineando talune tendenze fondamentali: “democrazia laicista” (per esempio nella Terza Repubblica francese, nell'Italia postunitaria fino al 1922, nei regimi di “democrazia popolare” dal 1945); “laicismo autoritario” (per esempio nella Turchia di Kemal pascià, di fatto nella Germania nazista); “democrazia religiosa” (per esempio negli USA); “autoritarismo religioso” (per esempio nel fascismo italiano e nel regime franchista in Spagna). Queste tendenze ideologiche fondamentali, che hanno poi ispirato costituzioni, legislazioni e prassi amministrative specie nei regimi a partito unico, hanno dato vita a tre regimi politico-giuridici di relazioni tra Chiesa e Stato, e precisamente: di “separazione ostile”, di “separazione favorevole”, di “concordato”. La separazione ostile è il regime in cui lo Stato non si limita a negare carattere di ente pubblico alla Chiesa e alle sue istituzioni, rifiutando quindi riconoscimento al diritto interno della Chiesa, ogni aiuto statale a enti di culto, equiparazione alle sue scuole e simili, ma con leggi vessatorie cerca di impedire alla Chiesa di valersi dello stesso diritto comune per dare base giuridica alla propria esistenza. Tale sistema è stato applicato in Francia sotto il Gambetta, in qualche periodo in Italia negli ultimi decenni del sec. XIX, nella Spagna repubblicana, nel Messico, sotto taluni governi dell'America Latina, nella Russia sovietica e nelle repubbliche comuniste del secondo dopoguerra. La separazione favorevole, senza riconoscere con disposizioni di diritto statale le norme interne della Chiesa e i suoi enti, in quanto tali, permette loro di valersi del diritto comune relativo alle società commerciali, alle fondazioni, alle persone morali, per dare una base giuridica alle sue molteplici istituzioni, regolate dal diritto canonico. Attraverso decisioni giudiziarie e amministrative si è venuta in tal maniera creando una situazione di fatto che si diversifica di poco da quella realizzata dalla Chiesa in taluni regimi concordatari. Tale sistema è tipico della maggior parte degli USA; si è venuto applicando in Francia nel primo dopoguerra; è il regime sotto cui vive la Chiesa cattolica in Gran Bretagna, in Olanda e altri Paesi a maggioranza protestante. I rapporti tra Chiesa e Stato stabiliti in concordati muovono dal presupposto di una diversa e autonoma legislazione di Chiesa e Stato: per mutuo accordo ciascuno deroga dalla propria legislazione e accoglie su determinati particolari e per certi istituti le norme dell'altro ente. Oppure atti o istituzioni di comune interesse vengono sottoposti a norme particolari che soddisfano le esigenze dell'una e dell'altra parte. Anche in regime concordatario Chiesa e Stato hanno conosciuto situazioni difficili per divergenza di interpretazioni, per forze interne avverse (concordato italiano del 1929, quello del Reich nazista del 1933). Così i molti concordati del primo dopoguerra con vecchi e nuovi Stati dell'Europa centrorientale, nei mutamenti di regime avvenuti, sono decaduti per far posto alla separazione ostile. Però anche in questi casi, sull'onda del processo di democratizzazione che ha investito sul finire degli anni Ottanta l'Est europeo, la Chiesa va ottenendo una regolarizzazione di rapporti. Per la Polonia va ricordato il ristabilimento nel 1990 di un corpo diplomatico presso la Santa Sede; altrettanto hanno fatto Iugoslavia (1989), Ungheria, Cecoslovacchia, Romania (1990). Una rappresentanza pontificia è presente in Iugoslavia, Romania, Polonia e Ungheria. Alla fine del 1990 data la riapertura dei rapporti diplomatici con la Bulgaria, mentre nello stesso anno uno scambio di rappresentanti tra Santa Sede e URSS ha dato avvio a una ripresa delle relazioni, proseguite con la Russia e l'Ucraina dopo lo scioglimento dell'Unione Sovietica. Nel 1994, infine, venivano stabiliti rapporti diplomatici con la Giordania e con Israele.
Architettura
Una chiesa è composta essenzialmente da due elementi principali: il santuario e la zona destinata ai fedeli; il santuario comprende il presbiterio, che è la parte circostante l'altare, nel quale questo si trova in posizione centrale e rivolto verso i fedeli secondo le indicazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, e il coro, nella zona retrostante l'altare, quando si tratti di una chiesa cattedrale o conventuale; la zona destinata ai fedeli, invece, divisa dal santuario da una balaustra alla quale si aggiungono anche uno o più gradini, è praticamente la navata della chiesa e ne costituisce la superficie maggiore. Nella composizione della chiesa bisogna poi considerare la posizione del tabernacolo, del fonte battesimale (eventualmente in una propria cappella), dei confessionali che si tende a raggruppare in locali appartati anche se non del tutto separati dalla navata, dell'organo che si preferisce vicino all'altare, di eventuali cappelle. Ambienti accessori, necessari tutti per il funzionamento della chiesa sono poi la sagrestia adiacente al presbiterio, per la conservazione degli arredi sacri e la preparazione e il raccoglimento del celebrante prima e dopo le funzioni; la residenza per coloro che reggono la chiesa; gli eventuali uffici; ambienti per il catechismo e riunioni delle associazioni religiose; locali di ricreazione e spettacolo. Il dimensionamento di una chiesa viene fatto in funzione della sua destinazione (cattedrale, collegiata, conventuale, parrocchiale, filiale) e quindi del previsto afflusso, considerando 2/10 dei presenti in piedi, 1/10 in panche, 7/10 in sedie (il che corrisponde rispettivamente a una superficie per persona di 0,25, 0,35, 0,50 m²); sul flusso di uscita al termine delle funzioni vanno poi dimensionati gli accessi i quali non dovrebbero dare direttamente sulla strada, ma filtrare attraverso zone intermedie come bussola, atrio, portico, sagrato. La posizione del campanile (sempre meno usato) rispetto alla chiesa non è fissata da criteri precisi, ma può variare con le diverse esigenze. § All'inizio della libertà di culto, la tipologia chiesastica che più rapidamente si sviluppò in Occidente fu quella basilicale, mentre in Oriente incontrò maggior successo la pianta centrale cupolata, i cui primi esempi si pongono in età costantiniana. Negli sviluppi successivi l'edificio a pianta centrale assunse forme diverse (circolare, polilobato, cruciforme e altre variazioni). Il momento culminante nell'adozione della pianta centrale si determina nel mondo bizantino, dove fattori diversi favoriscono la fusione tra pianta centrale e pianta basilicale. Ed è nel Medioevo, per il definirsi degli stretti vincoli fra autorità religiose e civili, che la chiesa come edificio assunse la massima importanza quale cardine della strutturazione urbana e rurale dei territori. Una completa definizione della tipologia della chiesa si compie nei periodi romanico e gotico, attraverso la precisazione delle funzioni canoniche, liturgiche e comunitarie. Il pensiero e la struttura societaria dell'Umanesimo, della Riforma e della Controriforma apportarono volta per volta sostanziali mutamenti nel modo di concepire l'edificio cultuale. L'interesse per la pianta centrale nel Rinascimento culmina nel capolavoro di chiesa a croce greca progettata da Giuliano da Sangallo in S. Maria delle Carceri a Prato. Ai radicali mutamenti operati dalla Riforma protestante (libertà della pianta e semplificazione spaziale) succedono dopo il Concilio di Trento le precise “Istruzioni” di C. Borromeo (1577) concernenti i vari elementi della chiesa ispirata alla pianta longitudinale. Ma nel periodo barocco una maggiore libertà ispira la concezione dell'edificio di culto (preferenza per piante centralizzate ed ellittiche, senso scenografico della visione spaziale, maggior interesse per i particolari decorativi). Con la rivoluzione culturale dell'Illuminismo lo spirito razionalistico trascura ogni problematica sulla chiesa. Attraverso la rivoluzione industriale e sociale dell'epoca moderna l'importanza della chiesa ha subito dapprima un irreversibile processo di emarginazione e di scadimento di interesse come oggetto di ricerca tipologica e spaziale di fronte alla crescente tensione. Più tardi nuovi interessi favorirono uno sviluppo di ricerca e di soluzioni in cui si cimentarono varie personalità che applicarono nuove esperienze tecnologiche. Nel corso del sec. XX, soprattutto dopo la II guerra mondiale, il tema dell'edificio di culto ha attratto un più vasto interesse da parte degli architetti, impegnati quasi totalmente in campo secolare, che si sono sforzati di trovare soluzioni aderenti alle nuove esigenze definite in fatto di chiesa dal Concilio Vaticano II. Nell'ottobre del 2005 si è tenuto un Sinodo dei Vescovi, nel quale sono stati ribaditi alcuni concetti relativi all'architettura delle chiese. In generale vengono ridotti gli elementi d'arredo e i volumi si fanno più semplici, si utilizzano materiali come il cemento e l'acciaio, gli spazi vuoti e i colori chiari indicano una nuova misticità lontana dagli sfarzi precedenti.La cattedrale di Tokyo, per esempio, costruita nei primi anni Settanta del sec. XX da Kenzō Tange è una struttura in cemento armato ricoperto d'acciaio con base romboidale; presenta, in alto, una copertura interamente di vetro, disposta a croce orizzontale, mancano muri, colonne, archi e cupole. In Italia la chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo progettata dall'architetto italiano Renzo Piano e terminata 2004 è stata voluta per contenere le migliaia di pellegrini che ogni anno giungono a onorare la memoria di Padre Pio. Con i suoi 6000 m² (in grado di contenere 7000 persone) è la seconda chiesa più grande in Italia per dimensioni, dopo la basilica di San Pietro in Vaticano. Assieme alla struttura della chiesa vera e propria è stato costruito anche un grande sagrato (a cui la chiesa è collegata attraverso un'enorme vetrata) e un viale di accesso. La novità principale apportata da questo progetto nel campo dell'architettura è l'utilizzo della pietra di Apricena, materiale resistente visto il suo utilizzo in una zona ad alto rischio sismico. "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 4 pp 92-107" "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 4 pp 92-107"
Diritto ecclesiastico
Per lo Stato la Chiesa è un ente composto da collettività di uomini aventi scopo comune, sottoposta a un'autorità che la governa con potere proprio; è un ente non territoriale, in quanto la sua sfera d'azione non è limitata a una nazione o a un continente; è munita di sovranità originaria, perché indipendente da ogni altra istituzione; è dotata di capacità subbiettiva pubblica e privata, in quanto la sua personalità giuridica, come ente distinto dalla Santa Sede, è specificamente prevista dal Codice di diritto canonico. La Chiesa ha il potere legislativo, giurisdizionale, civile e penale; ha il diritto di acquistare e amministrare i propri beni temporali, ecc.; tutto ciò, naturalmente, per il raggiungimento dei propri fini, indipendentemente dall'autorità laica dello Stato. Nell'ordinamento giuridico italiano la Chiesa può essere definita un'istituzione di diritto pubblico, non una persona giuridica e soggetto di diritti patrimoniali; tale personalità giuridica è invece riconosciuta alla Santa Sede. L'art. 831 del Codice Civile disciplina la proprietà degli enti ecclesiastici e degli edifici dedicati al culto. Il 25 gennaio 1983 è stato promulgato un nuovo Codice di diritto canonico, che ha ampiamente riformato quello precedente. § Il termine chiesa assume anche il significato di edificio destinato all'esercizio del culto. L'ingresso nelle chiese è gratuito e spetta solo alla competenza ecclesiastica fissarne l'orario di apertura e chiusura; le chiese aperte al pubblico, come beni soggetti a uso pubblico e non redditizi, sono esenti dall'imposta fondiaria. L'onere della conservazione delle chiese spetta alle fabbricerie, se esistenti; per le cattedrali al vescovo e ai canonici; per le altre chiese al beneficiario, al patronato, ai parrocchiani. Alle chiese spetta il diritto di asilo e quindi i perseguitati che vi si siano rifugiati non possono essere estradati senza il benestare della competente autorità ecclesiastica; la chiesa gode inoltre del diritto d'immunità, cioè è esente dalla giurisdizione dell'autorità laica. Solo su assenso dell'ordinario della diocesi una chiesa non più adibita a culto può essere ridotta a uso profano. § Secondo l'art. 7 della vigente Costituzione, lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani; i loro rapporti sono stati regolati dai Patti Lateranensiebbraio 1929) fino al 1984, allorché un nuovo concordato è stato sottoscritto (18 febbraio 1984) dal presidente del Consiglio B. Craxi e dal segretario di Stato, cardinale A. Casaroli.
Diritto canonico
Secondo il Codice di diritto canonico la chiesa è un edificio sacro, con lo scopo principale di servire a tutti i fedeli per l'esercizio pubblico del culto divino. La costruzione d'una chiesa è subordinata al consenso dell'autorità ecclesiastica competente; alla benedizione (o dedicazione) e alla posa della prima pietra; al rispetto, nella costruzione, delle regole dell'arte sacra. La chiesa, nell'ordinamento canonico, è una persona morale, perciò capace di acquistare diritti e privilegi, ecc. La chiesa è violata in caso di omicidio, grave spargimento di sangue, degradazione a usi empi o sconci. La chiesa violata deve essere riconsacrata secondo le regole liturgiche.
Sociologia
La sociologia, come suggerisce Durkheim, considera la chiesa un precipuo oggetto di studio, identificandola nei termini di una comunità morale cui si appartiene in base all'accettazione di un sistema – più o meno strutturato e complesso – di convinzioni religiose e di pratiche di culto. Da un lato, perciò, si è indagato il modello organizzativo e si sono ricercate le caratteristiche di affinità e gli elementi ricorrenti che consentono di definire come chiesa strutture ed esperienze anche assai diversificate. Dall'altro, i ricercatori sociali hanno approfondito i valori, le credenze e i modelli etici e comportamentali propri delle singole realtà. Più di recente, si è venuta affermando una tendenza scientifica che privilegia l'analisi della chiesa come istituzione costituitasi per “amministrare il sacro”. In questa ottica – ispirata soprattutto agli studi di G. Le Bras –, perde rilievo la comparazione fra i vari modelli ecclesiali a favore di un'osservazione in profondità mirata sui singoli casi (il più ricco e documentato riguarda la Chiesa cattolica). Conseguentemente, risulta improprio assimilare pratiche di culto e religione, religione e Chiesa, Chiesa generalmente intesa e Chiesa particolari. Tale approccio ha però condotto a un esagerato impiego di indici statistici capaci di “quantificare” la pratica religiosa – basandosi sulla percentuale di battezzati, di matrimoni religiosi, di presenze alle pratiche liturgiche, ecc. –, secondo una sorta di scala che, in base alla tipologia di Le Bras, conduce dai semplici “battezzati” ai veri e propri “devoti”, passando per i “conformisti stagionali” e “messializzanti”. Si è probabilmente determinato così l'effetto di sopravvalutare i processi di secolarizzazione e di generalizzare l'idea di una diffusa scristianizzazione delle società occidentali avanzate. Fenomeni che, alla luce di indagini sociologiche e psicologico-sociali a più largo raggio, appaiono invece ben altrimenti complessi e internamente differenziati. Più produttivo sembra quindi lo studio interdisciplinare che – prescindendo in gran parte dagli “indici pastorali” e valorizzando, invece, i caratteri di specificità e di storicità propri di ogni esperienza ecclesiale – sottolinea il rilievo delle dinamiche di funzionamento organizzativo e le loro trasformazioni nel tempo, la convivenza di modelli culturali ispirati al carisma e di strutture tipiche della burocrazia, nonché la maggiore o minore permeabilità della Chiesa alla sfida ambientale (influenze del sistema politico, economico, culturale che regola la più vasta società). Una simile prospettiva sembra conciliarsi, del resto, con le elaborazioni di un teologo come D. Bonhoeffer, che invita a cogliere la portata propriamente sociologica dell'esperienza ecclesiale come predicazione della Parola e, contemporaneamente, pratica sociale di massa storicamente definita.
Per la religione cattolica
L. Vellico, De Ecclesia Christi, Roma, 1940; P. Pourrat, La spiritualité chrétienne, 4 voll., Parigi, 1940 e segg.; F. M. Braun, Aspects nouveaux du problème de l'Èglise, Friburgo, 1942 (trad. it., Brescia, 1943); C. Algermissen, La Chiesa e le chiese, Brescia, 1942; P. Ricca, Il Cattolicesimo del Concilio, Torino, 1966; P. Batiffol, La Chiesa nascente ed il cattolicesimo, Roma, 1970; H. Jedin, Storia della Chiesa, 8 voll., Brescia, 1972; A. Acerbi, Chiesa, cultura e società. Momenti e figure dal Vaticano I a Paolo VI, Milano, 1988.
Per la sociologia
K. Von Bismark, W. Dirks, Nuove frontiere: Chiesa, politica, società domani, Milano, 1969; P. Bassetti, P. Merli Brandini, F. Montoro, Tradizione cristiana, industrializzazione e pluralismo culturale, Vicenza, 1982; G. Ambrosio, Chiesa e mondo in dialogo, Roma, 1983; A. Acerbi, Chiesa, cultura e società, Milano, 1988.
Per il rapporto tra Chiesa e Stato
M. Bendiscioli, La politica della Santa Sede 1918-1938, Firenze 1938, A. Jemolo, Chiesa e Stato, in Italia negli ultimi cento anni, Torino, 1948; S. Ehler, J. B. Morral, Chiesa e Stato attraverso i secoli, Milano, 1958; G. Biffi, Stato laico e identità cristiana, Casale Monferrato, 1985.