(anche arianismo), sm. [da ariano2]. Dottrina ereticale promossa ad Alessandria dal prete Ario, tra il 318 e il 323.

Cenni storici: la disputa teologica

Svolgendo temi già impliciti in Origene e in Luciano di Antiochia, Ario pervenne all'affermazione che il Verbo, ossia Cristo, non partecipa della sostanza divina ed eterna del Padre, ma è creatura, uomo, sia pure eletto da Dio a svolgere un compito straordinario e unico nell'economia della creazione. Condannato dal vescovo d'Alessandria, Alessandro, ma difeso dal vescovo di Nicomedia, Eusebio, Ario provocò una profonda divisione tra i cristiani d'Oriente, sensibilissimi ai problemi teologici, tanto che l'imperatore Costantino, sollecito non meno dell'unità religiosa che di quella politica dell'impero (in effetti difficilmente separabili), intervenne nella controversia e convocò nel 325 il Concilio di Nicea, con l'intento di ricondurre la pace tra i cristiani.

Cenni storici: la condanna di Nicea

Il concilio, composto in maggioranza di prelati orientali, cui presiedeva l'imperatore, si concluse con la formulazione del famoso “simbolo” niceno, che riconosceva la divinità di Cristo e la sua consustanzialità (in greco, omousía) col Padre, condannando quindi come eresia l'arianesimo. Ma il concilio mancò al suo scopo principale: Costantino stesso, poco dopo, fu conquistato da Eusebio di Nicomedia e l'arianesimo, condannato, riprese vigore con l'appoggio dell'imperatore. L'avvento al potere dei figli di Costantino, Costantino II, Costante e Costanzo II, ristabilì un certo equilibrio delle parti: le forze ariane, prevalenti in Oriente e sorrette da Costanzo II, trovarono un efficace contrappeso nelle forze ortodosse, o nicene, prevalenti in Occidente e sorrette da Costante e dal pontefice romano Giulio I; e nella stessa Alessandria, centro della controversia, la parte ortodossa ottenne un significante successo con la contrastatissima affermazione nella dignità episcopale di Atanasio, uno dei più insigni vescovi del sec. IV, e dei più tenaci avversari dell'arianesimo. Ma la scomparsa, a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro, di Costante (350) e di Giulio I (352) ruppe bruscamente il precario equilibrio: Costanzo II, rimasto unico imperatore, e i suoi consiglieri politico-religiosi diedero un nuovo vigoroso impulso all'arianesimo, che per ca. un decennio dominò sia in Oriente che in Occidente. L'imperatore tentò anche di far crollare il credo niceno convocando due concili, uno a Rimini per l'Occidente, l'altro a Seleucia per l'Oriente; ma essi non raggiunsero lo scopo.

Cenni storici: la fine dell'eresia

La morte di Costanzo II (361) bastò invece a determinare il disfacimento, sempre più vistoso, dell'arianesimo, che d'altronde, già nella sua stagione alta, si era frazionato in diverse sette (tra queste, gli anomei, negatori non solo dell'identità sostanziale, ma anche della similitudine tra il Padre e il Figlio). Gli ortodossi passarono, allora, alla controffensiva, riuscendo in vent'anni di alterne vicende a sconfiggere l'eresia: si ebbero infatti il breve ma tempestoso tentativo di Giuliano l'Apostata (361-363) di restaurare il paganesimo e l'azione in favore degli ariani dell'imperatore Valente (364-378) nelle province orientali. L'arianesimo ebbe allora anche il sostegno di personalità singolarmente combattive come Ursacio, Valente, Aezio d'Antiochia ed Eunomio vescovo di Cizico, il più illustre avvocato dell'eresia. Da parte ortodossa, la battaglia per l'unità ebbe come protagonisti i papi Liberio e Damaso, Ilario di Poitiers, Atanasio di Alessandria e il suo degno continuatore Basilio di Cesarea e infine Ambrogio, il grande vescovo di Milano. Il credo niceno fu riaffermato in una serie di concili, tra i quali va ricordato quello tenuto da papa Damaso a Roma, che proclamò nella forma più esplicita possibile “doversi credere il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo di un'unica divinità, di un'unica figura e di un'unica sostanza” ed escluse dalla comunione dei fedeli quanti non aderissero a questa concezione. Verso il 370, tutto l'Occidente e l'Illirico potevano dirsi liberi dall'arianesimo (sia pure con qualche importante eccezione, come Milano, dove il vescovo ariano Aussenzio governò fino al 374, quando, alla sua morte, gli succedette Ambrogio), mentre Costantinopoli, le province asiatiche e l'Egitto erano ancora dominate dall'eresia, protetta dall'imperatore Valente sino alla vigilia della sua morte nella guerra contro i Goti (378). L'avvento all'impero di Teodosio I segnò il rapido declino dell'arianesimo anche in Oriente: il Concilio di Costantinopoli del 381 (considerato il secondo ecumenico, sebbene composto quasi esclusivamente da padri orientali) riaffermò i principi dottrinali niceni e la formula di papa Damaso sopra riportata, e condannò l'arianesimo in tutte le sue forme, anche le più moderate (semi-arianesimo). La controversia ariana si chiuse così sul finire del sec. IV, dopo sessanta-settant'anni di dispute, di agitazioni, di conflitti anche cruenti, poiché investiva non solo la dottrina, ma l'intera struttura della Chiesa e i suoi rapporti con l'Impero. Tra le sue conseguenze più rilevanti, si devono segnalare un approfondimento della divisione fra il cristianesimo occidentale e quello orientale; l'instaurazione in Oriente di una forte tradizione cesaropapista; la diffusione dell'arianesimo tra i Goti (da parte di Ulfila, seguace di Eusebio di Nicomedia) e tra altri popoli germanici, prossimi a invadere l'Impero d'Occidente. Riflessi positivi della controversia ariana furono invece la promozione degli studi teologici, l'incontro spesso fecondo d'idee, anzi di sfere culturali, profondamente diverse ma non inconciliabili, ampliando così gli orizzonti del pensiero, il rafforzamento del primato del pontefice romano e una maggiore autonomia del papato dal potere politico.

A. Flische, V. Martin, Storia della Chiesa, Torino, 1940; M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma, 1975.

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