Lessico

Sf. [sec. XVII; dal greco kritike (téchnē), (arte) del giudicare].

1) Facoltà e modo di giudicare; esame cui la ragione sottopone le cose per determinarne il valore e le caratteristiche; anche il giudizio con cui si esprime il risultato di tale esame: diritto di critica; esercitare una critica; esprimere la propria critica. Per estensione, esame valutativo di opere artistiche: critica letteraria, musicale, cinematografica; critica estetica, stilistica. Anche il modo in cui tale esame è svolto, il giudizio formulato, lo scritto che lo contiene: critica acuta, pedantesca; critica favorevole, ostile; “esordiscono con le critiche nei giornali” (Carducci).

2) Il complesso dei critici e delle opere di critica: il giudizio della critica.

3) Familiare., riprovazione, biasimo, giudizio malevolo: si è attirato le critiche di tutti; non curarti delle critiche.

Filosofia

In senso ampio, l'interpretazione e la valutazione di qualcosa secondo criteri indipendenti oppure interni allo stesso procedimento critico. In senso stretto, la nozione di critica fu introdotta da Kant quale studio non di un oggetto della conoscenza, ma della stessa facoltà del conoscere intesa come ragione. In tal modo, nelle sue tre opere fondamentali (Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica, Critica del giudizio), definendo e prolungando una tipica esigenza della filosofia dell'illuminismo, Kant intende stabilire i limiti della nostra ragione e, all'interno di questi limiti, le sue concrete possibilità.

Sociologia

Per alcuni decenni la definizione di teoria critica – o critica della cultura – si è riferita in particolare all'orientamento filosofico e sociologico della Scuola di Francoforte e dei suoi principali esponenti, come T. W. Adorno, M. Horkheimer e H. Marcuse. Questi studiosi, formatisi nella Germania fra le due guerre e costretti all'esilio (prevalentemente negli USA) dall'avvento del nazismo, hanno elaborato un'originale critica della società di massa, che – riprendendo motivi propri della filosofia classica tedesca, del marxismo e della psicoanalisi freudiana – è approdata nella sua versione più polemica e radicale a un sostanziale rifiuto del modello culturale e di organizzazione sociale tanto del cosiddetto “capitalismo amministrato”, realizzatosi nelle società affluenti dell'Occidente, quanto del “socialismo burocratico” nei Paesi del vecchio comunismo reale. La teoria crìtica della società contemporanea, pur alimentandosi di ispirazioni ideologiche eterogenee, ha rappresentato un riferimento importante per i movimenti di contestazione sviluppatisi nel Novecento fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta. Significativamente, del resto, la sua influenza culturale è in gran parte declinata con l'eclisse delle fortune politiche di quei movimenti. Viceversa, per sociologia crìtica si intende quel filone – intellettualmente variegato, ma reso omogeneo dal rifiuto di qualsiasi concezione accademica e formalistica delle scienze sociali – che nel secondo dopoguerra si è espresso negli Stati Uniti attraverso autori come Ch. W. Mills o A. Gouldner, eredi dei critici sociali di fine Ottocento (come Th. Veblen). In Italia, la sociologia critica si è principalmente identificata negli anni Settanta con l'opera di F. Ferrarotti e dei suoi collaboratori.

Letteratura: generalità

La critica letteraria si distingue dall'estetica in quanto quest'ultima è indagine teorica intesa a individuare l'ambito dei valori artistici e non ha a che fare con i contenuti concreti dell'opera d'arte. Il singolo autore e il singolo testo sono invece il materiale su cui lavora la critica. Il modo di giudicare l'opera d'arte non è stato sempre lo stesso. Nell'antica Grecia prevaleva un giudizio negativo per la produzione poetica in generale (Platone bandiva i poeti dalla sua Repubblica). Perciò nel giudizio sulle rappresentazioni drammatiche la crìtica militante si preoccupava più dei contenuti morali e politici che dei valori estetici del testo. Con Aristotele comincia un certo tipo di ricerca letteraria erudita, nascono scuole di grammatici e vengono compilate le prime biografie di scrittori; si classificano anche i generi letterari, classificazione che resterà quasi fino ai giorni nostri con le sue rigide regole. In quest'epoca la critica ha un carattere storico e filologico. Nell'antica Roma troviamo una critica letteraria precettistica e retorica. “Ai Greci e ai Romani si deve la fondazione della scienza pratica o empirica dell'arte nelle sue varie forme: la grammatica, la rettorica, la poetica e le altre precettistiche attinenti alle arti figurative, all'architettura e alla musica” (Croce). Il Medioevo è caratterizzato dalla mancanza di una vera grande poesia: le opere di questo periodo hanno per la maggior parte carattere didascalico e quello che la critica cerca nei testi è la dottrina nascosta sotto “il velame de li versi strani”. L'allegoria era la figura retorica predominante e l'analisi dell'allegoria era alla base della critica. Manca in quest'epoca anche una vera passione erudita o filologica. Con Dante e lo stil novo comincia un nuovo modo di intendere la poesia; ma Dante non viene capito e i critici umanisti gli preferiscono i poeti latini. La crìtica dantesca del resto si appunta sul significato delle esposizioni teoriche teologiche o scientifiche, trascurando la poesia. Nel 1536 si scopre la Poetica di Aristotele, giuntaci mutilata, con sola integra la sezione della tragedia. Da questo la preferenza per la tragedia, cui si assegna il compito di purificare dalle passioni violente e peccaminose. Va in auge un'idea dell'arte purificatrice, che viene alimentata dalla Controriforma. Bisogna arrivare all'Ottocento e al Romanticismo per trovare una rivendicazione dell'autonomia dell'arte, rispetto alla morale, alla religione e alla filosofia. “Solo fra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento vennero meno le pretese precettistiche e la crìtica non fu altro se non riconoscimento di poesia” (Fubini). L'arte per l'arte fa diventare a volte il lavoro dell'artista un puro gioco, ma nel complesso si riscoprono i valori insiti nell'opera d'arte, si dà a questa una sorta di primato, la si colloca oltre le regole dei retori e dei grammatici, come pure dei moralisti, ecc., per farla diventare un universo in sé in cui si esprimono i drammi della propria epoca. Questa autonomia dell'arte è in realtà un rifiuto del mondo esistente e dei giudizi di valore da questo espressi. Ricondotta la critica all'esame dell'opera d'arte come mondo autonomo, si sono poste le premesse per lo sviluppo di una serie di scuole critiche diverse. Le più moderne sono: la scuola formalista russa (Sklovskij, Jakobson); il New Criticism americano (R. Penn Warren, Cleanth Brooks); la critica stilistica (Leo Spitzer, Auerbach, Curtius, B. Terracini, G. Devoto); la critica marxista (Lukács, A. Gramsci, E. Fischer, ecc.). Alla base di tutte queste scuole c'è la convinzione che il contenuto dell'opera d'arte è una struttura concreta che può essere analizzata in sé e per sé. I risultati di queste scuole sono spesso sorprendenti per l'acutezza e le prospettive che aprono. Acutezza che forse è stata resa possibile dalle indagini psicanalitiche di Freud. La psicanalisi dell'arte, del genio, ecc. costituisce un campo a sé della critica letteraria che sembra destinato a espandersi.

Letteratura: critica del testo

Questo tipo di critica è alla base di tutte le altre (estetica, storica, ecc.), perché ha come fine la ricostruzione della vera fisionomia di un testo attraverso la storia della sua elaborazione e trasmissione, e ne designa anche problematiche, procedimenti e criteri di valutazione tecnica. Dopo esser rimasta a lungo opera di normalizzazione grammaticale e scelta fra lezioni diverse, la crìtica testuale si arricchì nel periodo dell'umanesimo del contributo delle discipline parallele, storiche e linguistiche. La sua importanza e il suo valore sono andati via via crescendo dalla fine del sec. XIX in poi, anche per l'aiuto e gli sviluppi delle nuove tecniche scientifiche d'indagine e i metodi moderni di analisi logica e formale. Dal punto di vista tecnico la crìtica del testo presuppone l'accertamento dei testi sui quali essa si esercita e su cui avverrà la prima fase del procedimento: la collazione e lo studio delle varianti. Vengono eliminate le copie di cui non sia possibile disporre l'originale e si determinano le reciproche relazioni tra i manoscritti, raggruppandoli per esempio in base all'esistenza di errori comuni, spiegabili solo con la derivazione da un unico esemplare. Si viene a creare così una sorta di stemma, o albero genealogico, dei manoscritti. L'operazione successiva, recensio, tende a stabilire l'esatta lezione attraverso la scelta delle varianti. Quando la recensione non riesce a dare una lezione corretta si deve ricorrere all'emendatio o congettura, che però rimane sempre un'ipotesi senza riprova. Tutto l'insieme del procedimento presuppone l'esistenza di un testo unico fissato senza modificazioni dall'autore e da poter restituire, attraverso un'edizione crìtica, a una forma il più possibile vicina alla sua stesura originale. Ma non va dimenticato che possono esservi anche casi in cui il testo sia stato scritto originariamente in più redazioni. L'edizione crìtica del testo è di solito accompagnata da un'introduzione e da un apparato in cui sono riportate le lezioni diverse dei codici ma non riportate sul testo, oppure le varianti presumibilmente riferibili all'autore.

Arte

La critica d'arte è una disciplina il cui oggetto è la formulazione di un giudizio di valore sui prodotti artistici e che in senso specifico acquista fisionomia propria solo nel Settecento, in Francia, coi resoconti dei salons parigini. Tuttavia, scritti e testimonianze sull'arte e gli artisti sono presenti già nell'antichità greca (sec. III a. C.), in forme specifiche che ricompariranno nei secoli successivi: trattati tecnici sulla pittura e la scultura furono scritti da Senocrate di Sicione e Antigono di Caristo, mentre le prime vite di artisti si debbono a Duride di Samo. Queste opere sono andate perdute (ce ne serba occasionalmente notizia Plinio il Vecchio), mentre è giunta fino a noi la celebre guida artistica della Grecia di Pausania (sec. II d. C.). La cultura latina ci ha lasciato il più famoso trattato dell'antichità, quello sull'architettura di Vitruvio (sec. I a. C.), che ebbe grandissima fortuna nel Rinascimento. La scoperta dell'individualità dell'artista creatore e della specificità dell'opera d'arte furono le prime conquiste della critica degli antichi, basata sul concetto di arte come mimesis (imitazione della natura). Questi elementi si perdono nel periodo medievale, quando l'operare artistico è subordinato a prevalenti dati teologici: non esiste alcuna formulazione di giudizio sulle opere, se non l'apprezzamento, tipicamente medievale, della ricchezza e della preziosità dei materiali impiegati. Anche il genere delle guide artistiche si trasforma in quello di itinerari dei luoghi santi di Palestina e Roma a uso dei pellegrini. Alla fine del Trecento, a Firenze, troviamo una situazione culturale nuova e densa di promesse per il futuro: F. Villani, nella sua opera sulle glorie della sua città (1381-82), inserisce le prime vite di artisti dall'antichità e C. Cennini, nel suo trattato, innalza la pittura al livello della poesia e della scienza. Questo clima preumanistico prelude alla fioritura di testi sull'arte del Rinascimento, intesi sia a dare un fondamento teorico e scientifico all'operare artistico, sia a tramandarne la storia attraverso il ricordo delle personalità degli artisti. Questi due aspetti, compresenti nei Commentari di Lorenzo Ghiberti, si concretizzano in due filoni distinti, quello biografico e quello trattatistico. Per quest'ultimo è fondamentale l'opera teorica di L. B. Alberti, i cui trattati, dedicati alle diverse arti, furono modelli per quelli successivi (trattati di architettura di Francesco di Giorgio Martini, Serlio, Palladio, Vignola; di prospettiva di Piero della Francesca, L. Pacioli, J. Pélerin le Viateur). Per l'artista del Rinascimento l'arte è un fatto eminentemente conoscitivo e il livello più alto di questa concezione è rappresentato dalla ricerca enciclopedica di artisti-scienziati come Leonardo e Dürer. La consapevolezza dell'elevata posizione sociale e culturale dell'artista in questo momento storico è alla base degli scritti biografici, genere che culmina nella grande opera di G. Vasari (seguita e imitata anche in altri Paesi), ancora fonte primaria per la storia dell'arte italiana. La contraddittoria esperienza del manierismo ci ha lasciato scritti sull'arte che oscillano tra la ricerca di una codificazione di regole per l'operare artistico e l'inquieta esplorazione del margine possibile di deroga alle regole stesse. Sul finire del sec. XVI, l'intellettualismo tardomanierista, il rigorismo della Controriforma, l'affermarsi delle accademie (che diventano i centri “ufficiali” dei dibattiti sull'arte) conducono al dominio di una corrente classicista che prevarrà praticamente per due secoli in tutta Europa. Accanto a questa un'altra andò svolgendosi, ispirata dal diretto rapporto con le opere e da una viva sensibilità al fatto pittorico (M. Boschini). Comincia quindi a farsi strada il concetto antiaccademico che regole e modelli non sono sufficienti all'opera d'arte, senza il “genio” (la parola è in Roger de Piles). Spunti che si ritroveranno nel Settecento inglese, per approdare poi al romanticismo. Nel Settecento il campo degli studi sull'arte si amplia con la creazione dell'estetica come scienza filosofica autonoma (nel 1750-58 appare l'Aesthetica di Baumgarten) e con il costituirsi come discipline in senso specifico della critica d'arte e della storia dell'arte, la prima coi resoconti (dal 1737) sulle esposizioni periodiche dei salons parigini (Diderot), la seconda a seguito della fondamentale opera di Winckelmann, prima storia dei fatti artistici intesi in senso moderno come svolgimento autonomo e non più attraverso la vita degli artisti. L'Ottocento svolse in maniera contraddittoria queste importanti premesse: la filosofia idealistica infatti, dando vita a un pensiero estetico che intendeva la storia dell'arte come storia dello spirito, ruppe quello che era stato il principio più fecondo di tutta l'opera crìtica precedente. E inoltre la riscoperta romantica della storia produsse una profonda frattura tra la valutazione dell'arte delle epoche passate e il giudizio sull'arte contemporanea, basato su criteri anacronistici. Al pregiudizio neoclassico sull'unica perfezione dell'arte classica (Mengs, Winckelmann, Milizia) si sostituisce quello romantico sulla supremazia dell'arte medievale (F. Schlegel, Ruskin). Mentre gli studi di storia dell'arte, adottando il metodo storico-filologico, progrediscono e si perfezionano, si viene creando una profonda dicotomia (del resto non ancora sanata oggi) tra l'operare dello storico (d'arte antica) e del critico (d'arte contemporanea). Tra Ottocento e Novecento, il metodo filologico diede i suoi massimi contributi, giungendo a sistemazioni critiche fondamentali, attraverso il catalogo ragionato delle opere degli artisti. All'esigenza di porre basi non solo metodologiche ma filosofiche per la critica d'arte rispose in Germania la teoria della “pura visibilità” (Fiedler Hildebrand, von Marées): l'applicazione più notevole di questa nuova “scienza dell'arte” fu attuata da Wölfflin. Determinante per il costituirsi della critica d'arte come sistema organico fu la filosofia di Benedetto Croce (l'Estetica è del 1902), alla quale risale la formazione di importanti critici contemporanei. Tra le principali tendenze della problematica attuale, oltre a quella, già affermatasi in ambiente tedesco, che vede la storia dell'arte intesa come storia della cultura e delle idee, sono da segnalare lo sviluppo degli studi di iconologia e iconografia (Panofsky) e i tentativi, in ambito interdisciplinare, di applicare alla storia dell'arte il metodo sociologico (Antal, Francastel, Hauser , C. Ginzburg), i dati forniti dalla psicologia della visione (Arnheim, Gombrich), l'indagine dello strutturalismo (Brandi). Ma il punto cruciale e più scottante del dibattito contemporaneo è quello che investe la figura stessa del critico, la sua funzione nei confronti del pubblico e della società.

Teatro

Un'attività crìtica vera e propria, come analisi dello spettacolo in tutte le sue componenti, cioè non solo come fatto drammaturgico ma anche come avvenimento teatrale, poté essere regolarmente esercitata soltanto dal sec. XVIII, quando l'apparizione dei primi periodici consentì a chi scriveva di seguire metodicamente la vita della scena. Tra i primi critici a operare in questo senso furono R. Steele e J. Addison (entrambi sul Tatler e sullo Spectator, il primo anche sul Theatre), mentre il primo a occuparsi regolarmente di teatro su un vero e proprio giornale fu nel 1800 J.-L. Geoffroy, con una rubrica settimanale sul Journal des débats. Nel corso dei due secoli successivi la critica drammatica ha potuto esplicare diverse funzioni e acquistare sovente notevole peso nella storia del teatro. Contributi alla sua affermazione sono pervenuti – elencando secondo categorie tuttavia sommarie e fra loro anche interdipendenti – da critici testimoni, come W. Hazlitt, G. H. Lewes, H. James e S. Young, che hanno lasciato descrizioni intelligenti e impressioni sottili su attori e spettacoli; da critici giornalisti, come F. Sarcey, A. Kerr, R. Simoni e J. Agate, in perfetta armonia con il teatro della loro epoca e i loro lettori-spettatori; da critici come G. E. Lessing, J. Copeau e G. B. Shaw, che hanno anticipato o accompagnato, con pagine su spettacoli e testi altrui, il teatro che volevano proporre; da critici impegnati, come H. Jhering, S. d'Amico, K. Tynan, R. Brustein e B. Dort, che hanno combattuto il teatro del loro tempo, anche nelle sue istituzioni, proponendo un rinnovamento spesso radicale e battendosi per le voci nuove che lo tentavano; da critici scrittori, per i quali il teatro è molla che fa scattare la loro fantasia magari in direzioni completamente diverse (P. Léautaud); e, infine, da critici che, sebbene indirettamente interessati al teatro, hanno fornito tuttavia giudizi e interpretazioni illuminanti (A. Gramsci, P. Gobetti).

Musica

Una vera e propria attività crìtica si è configurata soltanto nel sec. XVIII, quando soprattutto il melodramma, in quanto spettacolo di larga risonanza, attirò l'attenzione di letterati e musicisti, che però poco guardarono al fatto propriamente musicale. Verso la fine del secolo lo stretto rapporto instauratosi in Germania tra musica e cultura conferì all'esercizio della critica sempre maggiore rilievo: numerosi scrittori, da W. Heinse a Goethe, introdussero nelle proprie opere giudizi e osservazioni musicali; E. T. A. Hoffman si segnalò fra i critici più significativi del primo romanticismo. L'inizio del sec. XIX segnò in tutta Europa un rinnovamento della critica e una sua sempre maggiore diffusione, non solo in volumi ma anche in giornali e periodici: la musica non dipendeva più dalle corti principesche e il “terzo stato” era ormai penetrato nei teatri e nelle sale da concerto; l'esigenza dell'informazione e della discussione faceva nascere la figura del critico professionista. La sensibilità romantica e l'affermarsi dell'estetica idealistica condizionarono ampiamente la critica in questo periodo. Citiamo i nomi di J. F. Reichardt, J. F. Rochlitz, J. K. F. e L. Rellstab e soprattutto E. Hanslick; tra i compositori, R. Schumann, C. M. von Weber, R. Wagner e H. Wolf. In Francia, accanto a H. Berlioz operò, su un piano più “scientifico”, F. J. Fétis; minor rilievo ebbero F.-H.Castil-Blaze e P. Scudo. Tra i non eccelsi critici italiani emerge la personalità di F. Filippi. A partire dal Novecento ha subito rilevanti trasformazioni soprattutto la critica giornalistica, i cui resoconti riguardano molto più spesso gli interpreti che non il pezzo eseguito, dato il posto molto minore che è venuta a occupare la musica contemporanea nei concerti. Sempre più rara si fa la pubblicazione in volume di raccolte di articoli.

Spettacolo: danza

Mentre una prima indagine storiografica, in ritardo su quelle inerenti le altre forme d'arte e in sé limitata, apparve soltanto nel 1682, a opera del gesuita lionese C. F. Ménéstrier (col trattatello Des ballets anciens et modernes selon les règles du théâtre), un rilevante contributo, valido anche per la critica della danza, fu dato dall'enciclopedista L. de Cahusac (con La danse ancienne et moderne, 1754) e soprattutto da J.-G. Noverre con l'eccellente compendio storico-artistico-estetico formato dalle Lettres sur la danse (1760). Una critica vera e propria, più estetica che tecnica, si è formata nel secondo Ottocento su giornali e riviste di Francia, Gran Bretagna, Italia e Russia a opera di autori come Th. Gautier, cronista del balletto romantico, J. Janin, Th. de Banville e J. Lemaître, in concomitanza col divampare di una vera e propria mania per il balletto e l'evoluzione spettacolare della coreografia e con l'introduzione di una scrupolosa metodologia da parte di molti storici tedeschi (A. Czerwinski, R. Voss, ecc.). Nel sec. XX, segnato dai contributi di storici come O. Bie, A. Levinson, C. Sachs (autore della fondamentale Eine Weltgeschichte des Tanzes, 1933), J. Martin e P. Michaut e dalla fioritura di innumerevoli saggi che accompagnò la fortuna dei Ballets Russes di Djagilev (da V. Svetlov a J. Cocteau), un ulteriore sviluppo è avvenuto in Gran Bretagna, USA, Francia, Olanda e Germania con l'incremento della stampa (periodica) specializzata (a partire da The Dancing Times, edita dal 1894 e perciò la più antica pubblicazione sulla danza) e l'introduzione di recensioni firmate da specialisti sui maggiori quotidiani d'informazione.

Cinema

Al 1906-07 si fanno ascendere le prime manifestazioni critiche nei riguardi del cinema, sulla stampa specializzata periodica e anche quotidiana, in Europa e negli USA. Si trattava per lo più di pubblicazioni tecniche, oppure di rubriche dalle quali partivano sollecitazioni all'industria perché migliorasse i prodotti. Il giornalismo normale restò invece indifferente od ostile: in Italia si ebbe nel 1908 una crociata anticinema (a Torino) e bisognò attendere che i letterati collaborassero “alle films” – come si diceva allora – perché altri letterati se ne occupassero in sede di impressioni, se non di giudizio. Intanto la stampa popolare concedeva dovunque sempre più spazio a informazioni di carattere pubblicitario, fomentando i primi fanatismi. Spettò dunque ai teorici (R. Canudo, L. Delluc, B. Balázs, ecc.) di mettere in luce le peculiarità e i valori della “settima arte” o “decima musa”, aprendo la strada alla critica cinematografica vera e propria, che nasce e si espande negli anni Venti, in concomitanza con l'età aurea del muto. Pagine intere, rubriche settimanali, infine il servizio di recensioni regolari all'indomani della “prima”, affidato a un titolare fisso (F. Sacchi sul Corriere della Sera, M. Gromo sulla Stampa, S. De Feo sul Messaggero): tale è stato il cammino dei quotidiani, in Italia come altrove. In anni contemporanei i giornalisti e critici di cinema (di quotidiani, periodici e radio-televisione) si sono riuniti in associazioni nazionali. La loro funzione, non più contestata , è divenuta sempre più importante e, insieme, si è accresciuta la loro responsabilità sociale e culturale.

Per la letteratura

G. Devoto, Studi di stilistica, Firenze, 1950; A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Torino, 1950; L. Spitzer, Critica stilistica e storia del linguaggio, Bari, 1954; R. Wellek, A. Warren, Teoria della letteratura e metodologia dello studio letterario, Bologna, 1956; R. Wellek, Storia della critica moderna, Bologna, 1958 e seg.; T. W. Adorno, Noten zur Literatur, 3 voll., Francoforte sul Meno, 1958-65; G. Della Volpe, Critica del gusto, Milano, 1960; J.-P. Sartre, Che cos'è la letteratura?, Milano, 1960; E. Auerbach, Mimesis, Torino, 1964; A. Hauser, Storia sociale dell'arte e della letteratura, Torino, 1964; G. Lukács, Scritti di sociologia della letteratura, Milano, 1964; W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, 1966; M. David, La psicoanalisi nella cultura italiana, Torino, 1966; V. Erlich, Il formalismo russo, Milano, 1966; G. Hough, An Essay on Criticism, New York, 1966; B. Terracini, Analisi stilistica, Milano, 1966; L. Goldmann, Per una sociologia del romanzo, Milano, 1967; E. H. Gombrich, Freud e la psicologia dell'arte, Torino, 1967; M. Pagnini, Struttura letteraria e metodo critico, Messina-Firenze, 1967; E. Raimondi, Tecniche della critica letteraria, Torino, 1967; R. Barthes, Critica e verità, Torino, 1969; N. Frye, Anatomia della critica, Torino, 1969; C. Segre, I segni e la critica, Torino, 1969; Autori Vari, I metodi attuali nella critica in Italia, Torino, 1970; S. Avalle D'Arco, Dal mito alla letteratura e ritorno, Milano, 1990.

Per l'arte

S. C. Pepper, The Basis of Criticism in the Arts, Cambridge, 1946; S. Samek-Ludovici, Storici, teorici e critici delle arti figurative dal 1810 al 1940, Roma, 1946; G. Nicco Fasola, Della critica, Firenze, 1947; M. L. Gengaro, Critica d'arte, Brescia, 1948; C. B. Heyl, Nuovi orientamenti di estetica e di critica d'arte, Milano, 1948; C. L. Ragghianti, Profilo della critica d'arte in Italia, Firenze, 1948; R. Salvini, La critica d'arte moderna, Firenze, 1949; R. Welleck, A History of Modern Criticism 1750-1940, 2 voll., New Haven, 1955; L. Grassi, Costruzione della critica d'arte, Roma, 1955; R. Assunto, La critica d'arte nel pensiero medioevale, Milano, 1961; T. De Mauro, Il linguaggio della critica d'arte, Firenze, 1965; L. Anceschi, Fenomenologia della critica, Bologna, 1966; S. Bottari, Momenti della critica d'arte contemporanea, Messina-Firenze, 1968; L. Grassi, Teorici e storia della critica d'arte, Roma, 1970; C. Brandi, Segno e immagine, Palermo, 1986.

Per il teatro

R. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica, Torino, 1951-60; A. Kerr, Die Welt in Drama, Colonia, 1954; S. D'Amico, Cronache del teatro, Bari, 1963-64; R. Brustein, Seasons of Discontent, New York, 1965; G. Antonucci, Storia della critica teatrale, Roma, 1990.

Per la musica

H. Stuckenschmidt, Glanz und Elend der Musikkritik, Berlino, 1957; A. Della Corte, La critica musicale e i critici, Torino, 1961.

Per la danza

F. Reyna, Des origines du ballet, Parigi, 1955; W. Terry, The Dance in America, New York, 1956; A. M. Meerloo, Alle leven danst, Haarlem, 1960; J. Bent, W. Drabkin, Analisi musicale, Torino, 1990.

Per il cinema

G. Gambetti, E. Sermasi, Come si guarda il film, Imola, 1958; F. Sacchi, Al cinema col lapis, Milano, 1958; Autori Vari, Il mestiere del critico (a cura di G. Aristarco), Milano, 1962; U. Barbaro, Servitù e grandezza del cinema, Roma, 1962; P. Ajame, Les critiques de cinéma, Parigi, 1967; C. Bragaglia, Critica e critiche, Milano, 1987.

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora