Descrizione generale

Settore della matematica comprendente il calcolo differenziale e integrale. Il termine viene usato, sempre in matematica, anche con i seguenti significati: analisi combinatoria o calcolo combinatorio, studio dei diversi tipi di raggruppamenti che si possono formare con un numero finito di oggetti e delle relazioni che intercorrono fra i raggruppamenti stessi; analisi funzionale, importante generalizzazione dell'analisi classica che si occupa dello studio delle funzioni classificandole in vari insiemi a seconda della loro “vicinanza spaziale” così da poter applicare la topologia ai vari insiemi ottenuti; analisi indeterminata, studio delle equazioni e dei sistemi, a coefficienti interi, dal punto di vista aritmetico, cioè delle loro risoluzioni in numeri interi; analisi numerica, studio dei metodi per ottenere utili soluzioni quantitative di problemi impostati matematicamente, compreso lo studio degli errori e delle approssimazioni nell'ottenere tali soluzioni. Viene applicata principalmente ai calcolatori elettronici. Per le accezioni: analisi matriciale, analisi vettoriale, analisi tensoriale, vedi matrice, vettore, tensore.

Cenni storici: generalità

Il termine analisi ebbe inizialmente un significato logico, poiché con esso si intendeva la scomposizione del problema da studiare nelle più semplici proprietà che potevano definirlo per facilitarne la soluzione. Successivamente, per molti secoli, si attribuì al termine il significato di metodo per lo studio delle varie parti in cui si articola la matematica. Nell'accezione moderna, in cui per analisi si intende il calcolo differenziale e integrale, il termine fu usato per la prima volta da I. Newton (1642-1727) nel trattato Analysis per aequationes numero terminorum infinitas. In seguito, altri autori ripresero il termine usandolo sempre con questo significato finché, dalla seconda metà del sec. XIX, tutti i trattati di calcolo differenziale e integrale furono chiamati “trattati di analisi”. In questa voce ci si limita a esporre lo sviluppo storico dell'analisi considerando come sono stati affrontati e risolti, nel corso dei secoli, i vari problemi di cui essa si occupa. La seguente trattazione riguarda l'analisi classica, cioè l'analisi infinitesimale, che spesso veniva chiamata analisi sublime (o anche calcolo sublime) per distinguerla da altre analisi quali l'analisi indeterminata e l'analisi combinatoria.

Cenni storici: l'analisi infinitesimale

Le origini dell'analisi infinitesimale si potrebbero far risalire a Pitagora, che scoprendo l'impossibilità di trovare due numeri interi tali che il quadrato di uno sia doppio del quadrato dell'altro, pose per primo l'importante questione dell'esistenza di numeri irrazionali. Con Eudosso di Cnido (sec. IV a. C.) si postula per la prima volta la continuità delle grandezze: date due grandezze omogenee A e B con A>B, è sempre possibile determinare una grandezza multipla di B che sia maggiore di A, cioè esiste nB>A. Per mezzo di questo postulato, Eudosso riuscì a dimostrare numerosi teoremi e a calcolare aree e volumi con il metodo di esaustione, per il quale occorre tuttavia conoscere a priori il risultato al quale si vuole pervenire. Ma chi, fra i Greci, diede la spinta maggiore al progresso dell'analisi infinitesimale fu Archimede di Siracusa (sec. III a. C.). Egli determinò l'area dell'ellisse, del segmento di parabola, della sfera, del segmento di spirale; si servì della spirale per la risoluzione del problema della quadratura del cerchio, trovò il volume delle più note quadriche. Il modo in cui pervenne a tali risultati, per quanto si sapesse che nelle sue dimostrazioni faceva sistematico uso del metodo di esaustione eudossiano, restò oscuro fino agli inizi del sec. XX, quando fu rinvenuto un suo breve trattato dedicato a Eratostene (noto oggi come Il metodo) in cui Archimede spiega il procedimento euristico-meccanico da lui utilizzato. Dopo Archimede nessuno più si occupò di analisi infinitesimale fino al sec. XVI quando, soprattutto a opera della scuola italiana, la sua eredità venne finalmente raccolta. A Luca Valerio (1552-1618) si deve la generalizzazione di un procedimento archimedeo per la determinazione delle aree dei trapezoidi; tuttavia il primo che, ritrovandolo in modo autonomo, espose in termini geometrici il metodo meccanico di Archimede fu B. Cavalieri (1598-1647). Nella Geometria indivisibilibus continuorum egli sostiene che ogni figura geometrica è costituita da elementi, che egli chiama indivisibili, per cui una superficie piana è formata da linee piane parallele e un solido da superfici piane parallele. Nelle Exercitationes geometricae sex (1647) Cavalieri tratta i due modi del calcolo degli indivisibili: nel primo considera gli indivisibili animati da un movimento, che chiama flussione, per cui ogni ente geometrico si può pensare generato dal fluire dei suoi indivisibili e la sua misura si ottiene dal confronto dell'insieme dei suoi indivisibili con l'insieme degli indivisibili di un altro ente; nel secondo considera gli indivisibili come infinitesimi arrivando così a studiare il rapporto di due infinitesimi. Il primo modo fu ripreso da Newton, il secondo da allievi del Cavalieri, come E. Torricelli (1608-1647), e da G. W. Leibniz (1646-1716) che lo pose a fondamento dell'analisi infinitesimale. Torricelli introdusse gli indivisibili curvi che corrispondono al passaggio dalle coordinate cartesiane a quelle polari e cilindriche e arrivò a risultati notevoli quali l'integrazione di xn per n razionale relativo (per n intero l'integrale era già stato determinato da Cavalieri) e la determinazione degli integrali impropri: la prima integrazione indefinita. P. Mengoli (1626-1686), altro allievo del Cavalieri, nella Geometricae speciosae elementa (1659) arriva a dimostrare per la prima volta l'esistenza dell'area del trapezoide attraverso il calcolo dell'integrale della funzione xr (a–x), con r e s interi positivi. Mengoli divide l'intervallo di integrazione in n parti uguali di ampiezza hi, considera le somme Σhimi e ΣhiMi, dove mi e Mi sono i valori minimo e massimo assunti dalla funzione nell'intervallo i-mo e dimostra che queste due somme, al tendere di n all'infinito, tendono allo stesso valore limite al quale tende anche la somma Σhif(xi), in cui xi è l'ascissa di un qualsiasi punto dell'intervallo hi. Questo limite è l'integrale cercato e questa definizione coincide con quella data da A. Cauchy (1789-1857) agli inizi del sec. XIX, per cui l'integrale così definito ancora oggi si dice di Mengoli-Cauchy. Sempre a Mengoli si devono: l'elaborazione di una teoria quasi completa dei limiti il cui calcolo è strettamente collegato al calcolo differenziale e integrale; la trattazione in forma generale delle serie, introdotte da P. A. Cataldi (1552-1626) e da Torricelli, nelle Novae quadraturae aritmeticae; la prima dimostrazione che la serie geometrica diverge e che condizione necessaria affinché una serie converga è che il termine generale tenda a zero. Calcolò inoltre la somma di numerose serie e costruì una teoria dei logaritmi naturali. Anche in Francia, intanto, con P. de Fermat (1601-1665) e Cartesio (1596-1650) l'analisi infinitesimale faceva notevoli progressi: con Fermat appare per la prima volta il concetto di rapporto incrementale di una funzione e del limite di questo rapporto, cioè di derivata. Poste ormai le questioni più importanti del calcolo differenziale e integrale, si procede risolvendo, per mezzo dei risultati ottenuti, alcuni notevoli problemi geometrici, per esempio i problemi di massimo e di minimo, delle tangenti e delle normali alle curve, ecc. Un nuovo impulso allo sviluppo dell'analisi fu dato da Newton e da Leibniz. Il primo, affrontando i problemi matematici relativi alla legge fondamentale della dinamica e alla legge della gravitazione universale, si trovò a dover risolvere equazioni differenziali ordinarie e derivate parziali. Il secondo si occupò di importanti questioni di analisi infinitesimale – trovò, per esempio, che se u e v sono funzioni di x vale:

– mostrando di possedere una sorprendente intuizione matematica, ma senza dimostrare rigorosamente le sue scoperte. Si deve a lui la simbologia tuttora adottata in analisi. Oltre a Newton e a Leibniz, nella prima parte del sec. XVIII operarono altri analisti di grande valore che, utilizzando quanto era stato scoperto dai loro predecessori, dettero una sistemazione ad ampi settori della matematica che contenevano solo risultati parziali e teoremi isolati, sistemandone le basi e collegando fra loro i punti essenziali. Questo lavoro fu compiuto soprattutto da L. Eulero (1707-1783), che scrisse numerosi trattati sul calcolo differenziale e integrale quali Introductio analysis infinitorum del 1748, Institutiones calculi differentialis del 1755 e ancora Institutiones calculi integralis del 1768-70. Ma soprattutto nella sua opera sul calcolo delle variazioni Methodus inveniendi lineas curvas maximi minimive proprietate gaudentes, Eulero si rivelò grande matematico. Altri grandi analisti del sec. XVIII furono G. L. Lagrange (1736-1813) e P.-S. de Laplace (1749-1827) i quali, applicando la matematica alla fisica, risolsero importanti problemi di meccanica e contribuirono allo sviluppo di quella parte dell'analisi che si occupa della risoluzione delle equazioni differenziali. Un altro problema che vide impegnati Newton, B. Taylor, Eulero, C. Mac Laurin e Lagrange fu il calcolo delle differenze finite, nato sia dalla necessità di determinare le derivate e gli integrali di funzioni di cui sono noti i valori in corrispondenza a valori discreti delle variabili sia dall'esigenza di studiare le successioni numeriche e di funzioni. A questo periodo di grandi interessi e di intense ricerche seguì verso la fine del sec. XVIII e gli inizi del sec. XIX un periodo di stasi dovuto a vari motivi. Innanzi tutto ci si rese conto che pur avendo conseguito importanti risultati, tuttavia i concetti fondamentali erano inadeguati e le dimostrazioni mancavano di rigore. Era stato creato tutto il calcolo infinitesimale senza aver precisato il concetto di infinitamente piccolo; il concetto di funzione aveva assunto significati che si allontanavano da quello iniziale senza che ne fossero state fatte ulteriori precisazioni; si usavano i numeri complessi senza che mai fosse stata chiarita la loro natura. Sembrava di non poter procedere più oltre quando K. F. Gauss (1777-1855), N. H. Abel (1802-1829), E. Galois (1811-1832), Cauchy e altri “trasfusero nuovo sangue alla matematica” rivedendone criticamente i fondamenti. Cauchy si preoccupò particolarmente di ordinare in modo sistematico tutto quanto era stato scoperto dai suoi predecessori e rese autonoma l'analisi che allora era ancora molto legata alla fisica e alla geometria. Diede la definizione moderna dei concetti di limite e di funzione continua, importantissimi nell'analisi infinitesimale, ciò che gli diede la possibilità di definire in maniera precisa l'integrale, che già Mengoli aveva cercato di introdurre, e di studiare le condizioni di risolubilità delle equazioni differenziali ordinarie del primo ordine. Gauss per primo indagò sulle conseguenze di un impiego irriflessivo del passaggio all'infinito nello studio delle serie e diede ai numeri complessi una sistemazione rigorosa rappresentandoli geometricamente nel piano (piano di Argand-Gauss); successivamente W. R. Hamilton (1805-1865) li introdusse come coppie di numeri reali sulle quali si possono effettuare opportune operazioni. Abel si dedicò allo studio delle funzioni ellittiche, conseguendo notevoli risultati relativamente agli integrali ellittici, sui quali A.-M. Legendre (1752-1833) aveva passato quarant'anni della sua vita senza tuttavia arrivare a grandi conclusioni. P. G. L. Dirichlet (1805-1859) si occupò del concetto di funzione definendola nella maniera generale che ancor oggi ha valore. Dopo che furono precisati i concetti fondamentali, lo sviluppo dell'analisi come scienza autonoma fu incessante. Si studiarono numerose funzioni di variabile complessa che vanno sotto il nome di funzioni analitiche. Queste ricerche, iniziate dal Cauchy che si occupò delle funzioni derivabili (da lui chiamate monogene), furono riprese da G. F. B. Riemann (1826-1866) e K. T. W. Weierstrass (1815-1897), che svilupparono seguendo indirizzi diversi la teoria delle funzioni analitiche, e da molti altri matematici quali J.-H. Poincaré (1854-1912), C. Carathéodory (1873-1950), S. Pincherle (1853-1936), ed E.-J.-B. Goursat (1858-1936); quest'ultimo dimostrò l'equivalenza delle definizioni, apparentemente assai diverse, di funzione analitica, secondo Riemann e secondo Weierstrass. Altri importanti indirizzi della matematica moderna nel campo dell'analisi sono l'analisi numerica e l'analisi indeterminata. Il calcolo alle differenze finite, abbandonato per lungo tempo, fu ripreso nella seconda metà del sec. XIX e il suo sviluppo attuale è notevole sia per le applicazioni alla fisica moderna, sia per le esigenze di applicazione dell'analisi numerica ai calcolatori elettronici. È evidente che la nuova analisi infinitesimale è profondamente mutata rispetto a quella di alcuni secoli fa per vari motivi, i più importanti dei quali sono: A) lo sviluppo di alcune sue parti, come per esempio la teoria delle funzioni analitiche, può avvenire solo se, insieme all'analisi, si considerano l'aritmetica, la geometria, l'algebra, la topologia e altri rami della matematica; l'analisi quindi non è più una disciplina a sé, ma è “fusa” insieme alle altre parti della matematica; B) con le premesse che sono state poste dai rigorosi analisti dei sec. XVIII e XIX, non si può più procedere prima che ogni concetto, ogni definizione, ogni teorema siano studiati in modo preciso; C) la necessità di sempre maggior astrazione fa in modo che le più recenti teorie, quali la teoria degli insiemi, la teoria degli spazi hilbertiani, la teoria degli spazi funzionali, come per esempio lo spazio di Banach, comprendano, dopo averle sintetizzate, molte parti dell'analisi accomunandone alcune perché di caratteristiche simili anche se all'apparenza notevolmente diverse. Allo stato attuale un grande contrasto, che ha origini lontane nel tempo, divide i matematici su due differenti posizioni: alcuni sostengono che l'infinito è un ente con il quale si può operare, altri asseriscono invece che l'infinito può essere solo potenziale e non può essere utilizzato. Questa questione, che tenne impegnati i maggiori analisti del sec. XIX, è la più seria esistente in seno all'analisi. Cantor, Dedekind e G. Frege (1848-1925) appartengono al primo gruppo: infatti tutti e tre ricorrono all'infinito ogni volta che ne sentono la necessità: Cantor nella sua notevole teoria degli insiemi, Dedekind nella definizione dei numeri irrazionali mediante le classi infinite, Frege nella definizione di numero cardinale come classe di tutte le classi simili a una data. Anche D. Hilbert (1862-1943) cerca la risoluzione di molte questioni nel concetto di infinito che sarebbe necessario per comprendere il finito e afferma: “La teoria di Cantor mi sembra il frutto più meraviglioso dello spirito matematico e una delle più sublimi applicazioni dei processi intellettuali dell'uomo”. Un'importante conseguenza della teoria degli insiemi è l'integrale di H.-L. Lebesgue (1875-1941), che semplifica notevolmente alcune delle questioni più complesse dell'analisi infinitesimale e che rappresenta quindi un utile impiego del concetto di infinito. Al contrario L. E. J. Brouwer (1881-1966) si oppone all'uso dell'infinito, soprattutto quando si tratta dei gruppi infiniti; egli sostiene, abbastanza ragionevolmente, che una logica adatta per il finito non continuerà necessariamente a dare dei risultati esenti da contraddizioni se la si applica all'infinito. Brouwer, insieme con H. Weyl (1885-1955), camminando sulle orme di L. Kronecker (1823-1891) cerca così di rifondare l'analisi su una base più solida di quelle su cui hanno costruito i matematici in più di venticinque secoli, da Pitagora a Weierstrass, mentre Hilbert e altri vedono in ciò il tentativo di smembrare la matematica, rifiutando la maggior parte delle conquiste più preziose. Una soluzione in certo senso inattesa è stata data dal teorema di P. J. Cohen (n. 1934), secondo il quale l'assioma di Zermelo delle infinite scelte arbitrarie sarebbe indipendente dai precedenti assiomi della teoria degli insiemi. Sarebbero così di pari valore logico una matematica “finitista” e una matematica che accetta l'infinito in tutte le sue forme. Nel 1966 A. Robinson ha introdotto l'analisi non standard, teoria volta a dare una veste rigorosa al concetto di infinitesimo così come, in forma primitiva, era stato pensato dallo stesso Leibniz. L'esigenza di una tale teoria scaturisce dal fatto che, se pur gli “infinitesimi attuali” leibniziani (storicamente denotati con dx, dy, ecc.) si prestano bene da un punto di vista tecnico nel calcolo di derivate e integrali, quando si assuma tacitamente che per essi valgano le usuali proprietà algebriche dei numeri reali, dall'altro essi non possono esistere. È noto, infatti, che ogni “quantità infinitamente piccola”, essendo minore di ogni altra quantità positiva, deve essere necessariamente nulla. L'analisi non standard supera questa rilevante difficoltà concettuale aggiungendo al corpo ordinato dei numeri reali nuovi elementi – che non sono numeri reali – detti “non standard” tra i quali si definiscono, rigorosamente, gli “infiniti” e gli “infinitesimi”. Ne risulta, così, la costruzione di un insieme più ampio, contenente i numeri reali come sottoinsieme proprio, per il quale valgono proprietà formali analoghe a quelle teorizzate da Leibniz.

J. Favard, Cours d'analyse de l'Ecole Polytechnique, Parigi, 1960-62; G. Scorza Dragoni, Elementi di analisi matematica, 3 voll., Padova, 1961-62; M. Zamansky, Introduzione all'algebra e all'analisi moderna, Milano, 1966; A. Fedrigotti, Analisi matematica, Milano, 1988.

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