Descrizione generale

"Per gli amminoacidi che formano un peptide vedi schemi al lemma del 16° volume." sf. [sec. XIX; dal francese protéine, tratto dal greco prṓteios, primario]. Nome di un gran numero di sostanze organiche, dette anche protidi, di alto peso molecolare, formate da catene di amminoacidi uniti tra loro da legami peptidici, che svolgono un ruolo fondamentale per la struttura e le funzioni delle cellule. Tutte le proteine contengono carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, molte anche lo zolfo e alcune il fosforo, lo zinco, il ferro e il rame. Il peso molecolare delle proteine varia da 6000 a 1 milione ca. e può essere determinato con vari procedimenti: metodi di diffrazione o di sedimentazione all'ultracentrifuga, analisi della pressione osmotica o della velocità di diffusione. Numerose proteine, quali per esempio quelle costituenti i virus, esistono in natura sotto forma di complessi macromolecolari associati con acidi nucleici; tali complessi sono stabili, omogenei e spesso cristallizzabili, e possiedono un peso molecolare estremamente elevato (dell'ordine di 40 milioni ca.). In mezzo acquoso le proteine formano soluzioni colloidali osmoticamente attive. La solubilità in acqua varia da composto a composto, dipendendo dal grado di ionizzazione della proteina e, più in particolare, dal tipo, dal numero e dalla distribuzione dei gruppi polari presenti nella molecola. Nelle catene peptidiche composte da amminoacidi "Per gli amminoacidi che unendosi formano un peptide vedi gli schemi a pg. 51 del 18° volume." con una sola funzione amminica e una sola funzione carbossilica, i gruppi che conferiscono la carica elettrica alla molecola sono soltanto i residui terminali –NH₂ e –COOH. Spesso però nelle catene peptidiche sono presenti anche amminoacidi acidi (per esempio acido glutammico) o amminoacidi basici (come la lisina o l'arginina) e la presenza di più gruppi elettricamente carichi tende a rendere la molecola proteica maggiormente solubile in acqua. Che un certo gruppo funzionale sia portatore o meno di carica elettrica dipende però dal pH della soluzione. Si definisce punto isoelettrico il pH in corrispondenza al quale le proteine in soluzione hanno lo stesso numero di cariche elettriche positive e negative. La maggior parte delle proteine animali ha punto isoelettrico a pH acido. Nelle soluzioni aventi pH superiore al punto isoelettrico le proteine hanno carica netta negativa e tendono perciò a combinarsi con i cationi, mentre a pH inferiore a quello del punto isoelettrico si comportano come basi e si combinano con gli anioni. Nell'uomo, come negli altri animali superiori, il sangue ha un pH (7,4) molto più alto rispetto a quello del punto isoelettrico delle proteine circolanti; ciononostante la presenza nelle proteine di residui di amminoacidi con funzione acida o basica e pH prossimo a 7 (per esempio le istidine) consente ad alcune proteine, in particolare all'emoglobina, di esercitare un efficace “potere tampone” che concorre, al pari dei sistemi dei bicarbonati e dei fosfati, a mantenere l'equilibrio acido-base dei liquidi circolanti.

Struttura delle sostanze proteiche

Per meglio comprendere la complessa struttura delle sostanze proteiche occorre definire i concetti di struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria. Per struttura primaria si intende la sequenza degli amminoacidi nella catena peptidica che determina l'orientamento della catena stessa lungo un asse direzionale. La struttura primaria delle proteine viene determinata attraverso la graduale demolizione chimica o enzimatica della catena polipeptidica e la successiva identificazione dei singoli amminoacidi che si liberano. Le strutture secondaria e terziaria sono determinate da legami idrogeno e da interazioni di tipo elettrostatico che si stabiliscono tra le varie parti della catena polipeptidica. Tra i legami peptidici è possibile una rotazione più o meno accentuata, cosicché ciascun residuo amminoacidico può assumere un certo orientamento spaziale rispetto ai gruppi limitrofi. Attraverso i legami idrogeno la catena proteica assume una disposizione a zig-zag o a spirale (struttura secondaria), mentre gli stessi legami idrogeno, i legami di Van der Waalls e altre forze elettrostatiche conferiscono alla molecola una specifica struttura terziaria, cioè una definita e caratteristica disposizione tridimensionale della catena polipeptidica. La conservazione della struttura terziaria è essenziale perché le proteine possano svolgere le funzioni biologiche a cui sono preposte. Alcune proteine si trovano in natura non in forma semplice bensì associate in più unità uguali tra loro. L'associazione di due o più monomeri proteici costituisce la struttura quaternaria. Questa si riscontra, per esempio, nella frazione proteica dell'emoglobina, formata da quattro subunità di uguale peso molecolare, come pure nella struttura di vari enzimi, costituiti da sub-unità di identica composizione, le quali possono addirittura essere inattive se dissociate.

Classificazione delle sostanze proteiche

Le sostanze proteiche possono essere classificate in base alla struttura, alla composizione chimica o alle proprietà biologiche. In rapporto alla struttura si distinguono proteine fibrose e proteine globulari. Le proteine fibrose sono lunghe e sottili, insolubili in acqua e nelle soluzioni saline. Comprendono sostanze di grande importanza biologica, come la cheratina o il collagene. Le proteine globulari, a differenza di quelle fibrose, sono solubili in acqua. La loro molecola ha struttura compatta e forma generalmente sferica, essendo le catene polipeptidiche ripiegate più volte su se stesse e così stabilmente mantenute da legami interni. Le catene delle proteine sferiche hanno ingenere la forma α-elicoidale. Vi sono infine proteine, come il fibrinogeno e la miosina, che hanno proprietà intermedie tra quelle fibrose e quelle globulari, possedendo struttura fibrosa e solubilità in acqua. Particolari condizioni di temperatura e di pH, gli ioni metallici, i solventi organici, l'agitazione violenta e altre condizioni provocano il fenomeno della denaturazione delle proteine globulari, cioè la perdita dello stato nativo che si traduce nella diminuzione dell'idrosolubilità e nella perdita delle specifiche proprietà funzionali. La denaturazione modifica le strutture secondaria e terziaria della molecola, mentre lascia inalterata la struttura primaria; essa non comporta quindi modificazioni chimiche della molecola proteica ma soltanto modificazioni di forma. In base alla composizione chimica le proteine si distinguono in semplici e coniugate. Le proteine semplici sono formate esclusivamente da amminoacidi e si distinguono a loro volta in diverse categorie: protammine, prolamine, istoni, albumine, globuline, gluteline, scleroproteine. Le proteine coniugate contengono, oltre alla frazione polipeptidica, un gruppo prostetico di natura non proteica, in base al quale esse vengono classificate in: nucleoproteine, lipoproteine, cromoprotidi e glicoprotidi; delle proteine coniugate fanno parte anche i fosfoprotidi, considerati esteri fosforici di proteine semplici, e le metalloproteine. Il numero delle sostanze proteiche esistenti in natura è enorme (1010-1012), anche se la maggior parte di esse trae origine dalla diversa combinazione di soli 20-22 amminoacidi. Si comprende quindi come l'identificazione e la separazione delle proteine comportino difficoltà notevoli e siano divenute possibili solo in epoca recente con l'impiego di apparecchiature sofisticate e la messa a punto di avanzate tecniche di indagine chimica e fisico-chimica. Le tecniche di più largo impiego per lo studio delle proteine sono l'elettroforesi, la precipitazione frazionata, l'esame per assorbimento all'ultravioletto, l'ultracentrifugazione differenziale, la cromatografia su colonna e in particolare la gel-filtrazione, accanto a procedimenti chimici classici, come la reazione del biureto, il test xantoproteico, ecc.

Sintesi proteica

Nell'organismo sia le proteine di struttura sia quelle funzionali (per esempio enzimi, emoglobina) vengono continuamente sintetizzate e distrutte, in equilibrio dinamico con gli amminoacidi che sono introdotti con l'alimentazione o che provengono dalle diverse fasi del metabolismo intermedio. La vita media (turnover) delle sostanze proteiche è molto variabile: molto lunga quella del collagene, piuttosto breve quella delle proteine che si formano nel fegato. Le cellule degli organismi viventi hanno la proprietà di fabbricare in migliaia di esemplari ognuna delle proteine di cui sono composti; in queste proteine la sequenza degli amminoacidi è assolutamente specifica e caratteristica della cellula produttrice. La biosintesi proteica avviene alla superficie dei ribosomi, partendo dal processo endoenergetico di polimerizzazione degli amminoacidi. Già all'epoca dei primi studi sul meccanismo della sintesi proteica appariva chiaro che l'addizione progressiva dei singoli amminoacidi nella struttura del polipeptide in formazione non poteva dipendere dall'intervento di specifici enzimi; ciò avrebbe richiesto, infatti, la presenza di un numero enorme di enzimi e prima ancora, per la sintesi di questi, l'intervento di altri enzimi in numero ancora più alto. Si è giunti così all'ipotesi e poi alla scoperta dei cosiddetti stampi (template), macromolecole cellulari identificate con gli acidi nucleici, le quali, senza agire da catalizzatori o da substrati, forniscono mediante interferenze intermolecolari l'informazione necessaria per la polimerizzazione di altre macromolecole nella corretta sequenza. Ogni cellula possiede un complesso apparato protidosintetico formato da ribosomi, acidi nucleici ed enzimi, con il quale effettua la sintesi graduale di tutte le sue proteine attraverso successive aggiunte dei singoli amminoacidi. Un particolare tipo di RNA, il RNA messaggero (mRNA), è l'entità biochimica che programma sia la scelta degli amminoacidi da condensare durante la sintesi di una certa proteina, sia la sequenza con cui i singoli amminoacidi devono essere inseriti nella catena polipeptidica. La programmazione operata dal mRNA sugli elementi del macchinario protidosintetico viene trascritta da una memoria centrale, rappresentata dal DNA, di cui sono formati i geni dei cromosomi. La trascrizione non avviene in modo automatico e continuo, ma solo in rapporto a precise esigenze della cellula. L'informazione relativa al tipo, al numero e alla sequenza degli amminoacidi contenuta nel DNA nucleare viene trasmessa al mRNA che, a sua volta, fornisce il programma alle altre strutture intracellulari preposte alla sintesi delle proteine. In modo schematico, le varie tappe della sintesi proteica possono essere così riassunte: gli amminoacidi da utilizzare per la formazione della catena polipeptidica vengono innanzi tutto attivati dall'ATP e da un enzima (specifico per ogni amminoacido) contenuto nel citoplasma cellulare, secondo lo schema:

L'amminoacido attivato viene quindi trasferito sul RNA solubile citoplasmatico (tRNA). Esisterebbe una forma specifica di tRNA per ogni amminoacido; questo comunque si fissa sempre a livello del radicale adenosinico terminale dell'acido ribonucleico attraverso un legame estere, con liberazione dell'enzima e di una molecola di AMP:

A questo punto il complesso tRNA ∤ aa viene trasferito in corrispondenza dei ribosomi su una catena peptidica in formazione, rispettando la sequenza determinata dal codice iscritto nella memoria del DNA nucleare. È stato anche in parte chiarito il meccanismo con cui l'informazione genetica viene trasferita dal DNA alle sedi dove si svolge la sintesi delle proteine, tramite il RNA messaggero. Tale meccanismo richiede la sintesi nucleare del RNA messaggero, nel quale viene riprodotta l'informazione genetica. A tale scopo interviene uno speciale enzima, detto RNA polimerasi-DNA-dipendente, che, utilizzando il DNA come modello, sintetizza mRNA in presenza di ATP e di altri nucleosidi fosforilati. La formazione nucleare di mRNA presenta analogie con il meccanismo di duplicazione del DNA: si forma infatti una singola catena polinucleotidica di RNA nel quale la sequenza delle basi azotate è complementare a quella di una delle due eliche del DNA che è servito da modello. In questo modo l'informazione contenuta nella sequenza delle basi del DNA viene trascritta nella sequenza, a essa complementare, delle basi del mRNA sintetizzato. Un singolo nucleotide del DNA non può essere responsabile della posizione nella catena polipeptidica di un singolo corrispondente amminoacido, dato che gli amminoacidi di norma utilizzati per le sintesi delle proteine sono circa una ventina mentre le basi azotate costitutive degli acidi nucleici sono soltanto quattro. Il codice deve perciò essere costituito da una sequenza di più nucleotidi. Alla luce del fatto che l'associazione a tre a tre delle basi azotate dà luogo a 64 diverse combinazioni, si è avanzata l'ipotesi che il codice fosse formato da triplette di basi nucleotidiche. Tale ipotesi ha ottenuto una conferma sperimentale quando si è riusciti a ottenere la biosintesi in vitro di specifici peptidi addizionando alle preparazioni cellulari RNA messaggero artificiale avente composizione nucleotidica conosciuta. Per esempio, l'aggiunta di acido poliuridilico determina la sintesi di polifenilalanina, e ciò indica che il codice della fenilalanina è la tripletta uridina-uridina-uridina. Attraverso lunghe e laboriose indagini di questo tipo si è ottenuta la completa decifrazione del codice genetico e la dimostrazione che il funzionamento di questo codice è universale, realizzandosi con le stesse modalità in tutti gli organismi viventi conosciuti. Alcuni amminoacidi possono essere codificati da più di una tripletta (fenomeno della degenerazione del codice), mentre alcune triplette non hanno significato ai fini della protidosintesi (triplette “non senso”), ma significano “fine della catena polipeptidica”. In molti casi il significato delle triplette dipende da due sole basi, mentre la terza ha scarsa o nulla significatività. Ancora incerto è il modo con cui il mRNA sintetizzato nel nucleo può raggiungere i ribosomi senza essere distrutto dalle ribonucleasi che abbondano nel citoplasma. Si ritiene che durante il trasferimento al citoplasma il mRNA sia rivestito di particolari proteine che, oltre a proteggere come in un involucro la molecola dell'acido nucleico, potrebbero anche regolare la combinazione del mRNA ai ribosomi. Con i meccanismi ora descritti viene costruita la struttura primaria delle proteine. Nulla si conosce invece sulle modalità con cui si formano la struttura secondaria e quella terziaria. Molti elementi indicano inoltre che la sintesi di alcuni tipi di proteine, per esempio gli anticorpiavviene con meccanismi diversi da quello implicante un controllo diretto da parte del DNA nucleare. Oscuro è pure il meccanismo con cui avviene la sintesi delle proteine all'interno dei nuclei e nei mitocondri, nei quali sono state per altro evidenziate forme particolari di DNA, di RNA-polimerasi-DNA-dipendente, di enzimi attivanti e di tRNA. Negli organismi viventi ogni cellula che deriva dal primitivo uovo fecondato eredita, evidentemente, l'intero corredo genetico che codifica la sintesi di tutte le proteine di ciascuna cellula dell'organismo adulto. Eppure i tessuti degli organismi superiori sono formati da cellule diverse sotto il profilo morfologico e funzionale; alcuni di essi contengono enzimi e proteine specializzate che mancano in altri. Esiste dunque in ogni cellula la possibilità di un'inibizione articolata della sintesi proteica (repressione), che si realizzerebbe attraverso il blocco della sintesi di particolari tipi di RNA messaggero.

S. P. Datta, J. H. Ottaway, Biochimica medica, Roma, 1968; R. E. Dickerson, I. Geis, The Structure and Action of Protein Biosynthesis, New York, 1970; A. L. Lehninger, Biochemistry, New York, 1971; R. Margaria, A. Ruffo, Principi di biochimica e fisico-chimica fisiologica, Milano, 1972; P. N. Campbell, J. R. Sargent, Techniques in Protein Biosynthesis, New York, 1973; R. D. B. Fraser, T. P. MacRae, Conformation in Fibrous Proteins, New York, 1973; W. Carraro, L. Dalla Libera, Analisi e separazione di proteine e loro frammenti proteolitici con elettroforesi e H.P.L.C., Padova, 1986.

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