elettroforèsi
Indicesf. [sec. XX; da elettro-+greco phórēsis, il portare]. Migrazione di particelle dotate di carica elettrica positiva o negativa che si verifica in seno a una soluzione nella quale si stabilisca un campo elettrico per mezzo di due elettrodi: in tal modo, le particelle a carica positiva o cationi migrano verso il catodo, quelle a carica negativa o anioni verso l'anodo. Il termine elettroforesi, introdotto da Michaelis nel 1909, indicava in origine unicamente la migrazione di particelle colloidali elettricamente cariche; attualmente per elettroforesi s'intende ogni processo nel quale si ha migrazione di materia provocata da un campo elettrico, indipendentemente dalle dimensioni molecolari delle sostanze studiate. In seno alla soluzione sottoposta al campo elettrico le particelle cariche migrano con velocità diversa, che dipende, oltre che dall'intensità del campo elettrico, dalla loro carica, dalle loro dimensioni, dalle interazioni con le molecole del solvente e con gli altri ioni presenti nella soluzione, ecc., per cui si formano in seno alla soluzione zone di differente concentrazione che tendono però a essere eliminate dai moti convettivi e dai fenomeni di diffusione. I procedimenti di elettroforesi sono comunemente impiegati per separare tra loro le particelle colloidali, o la fase dispersa dal mezzo disperdente di una soluzione colloidale; così le diverse tecniche che si basano sull'elettroforesi vengono largamente utilizzate in laboratorio per l'analisi e la separazione delle proteine del plasma o di altro liquido biologico. Queste hanno carattere anfotero, ossia le loro macromolecole, secondo il grado di acidità o di basicità della soluzione in cui si trovano, e cioè del pH di questa, ionizzano un numero maggiore o minore dei loro gruppi acidi o basici, assumendo quindi complessivamente un certo numero di cariche positive o negative e migrando quindi più o meno velocemente, in un senso o nell'altro, sotto l'azione del campo elettrico. Per l'analisi delle proteine si utilizza generalmente l'elettroforesi zonale su supporto, che presenta tra l'altro il vantaggio di ridurre sostanzialmente i fenomeni di diffusione. Così, nell'elettroforesi su carta si applica su una striscia di carta facilmente assorbente, ai cui estremi opposti sono applicati i due elettrodi, una piccola quantità della soluzione acquosa della miscela di proteine in esame; la striscia di carta si mantiene imbevuta di una soluzione salina al pH voluto. La differenza di potenziale applicata alle sue estremità fa migrare in maniera diversa le singole proteine della miscela: dopo un certo tempo, sospendendo l'operazione e spruzzando la carta con un adatto reattivo rivelatore, si osserva che la macchia inizialmente deposta sulla carta si è risolta in varie macchie, ciascuna dovuta a una delle differenti proteine contenute nella miscela di partenza, che sono migrate verso gli elettrodi per un tratto diverso; dall'entità delle macchie si può anche determinare la quantità delle varie proteine contenute nel campione in esame. In molte applicazioni, è divenuto più comune adoperare come mezzo, anziché la carta, un gel (per esempio a base di poliacrilammide o di amido). Si parla in questo caso di elettroforesi su gel. La tecnica elettroforetica è anche indicata talvolta come elettrocromatografia, sebbene in realtà non si tratti propriamente di una tecnica cromatografica, poiché la separazione delle sostanze è realizzata sfruttando non la loro diversa ripartizione tra una fase mobile e una fase stazionaria, ma piuttosto la diversa velocità di migrazione sotto l'azione di un campo elettrico. Il termine elettrocromatografia andrebbe quindi riservato a un particolare metodo che combina i due effetti. Tra le numerose applicazioni tecniche dell'elettroforesi, importanti sono la separazione dei polimeri naturali e sintetici dalle loro sospensioni acquose, l'eliminazione di goccioline d'acqua disperse negli oli minerali, il ricoprimento di oggetti di forma irregolare e la verniciatura di superfici metalliche, tecnica quest'ultima molto usata in campo automobilistico.Una variante dell'elettroforesi, diffusasi verso la metà degli anni Ottanta, è quella su capillare. In questo metodo, una piccolissima quantità di campione (qualche nanolitro) viene iniettata in un capillare di silice fusa (diametro interno di 40-100 micron) riempito con una soluzione acquosa tamponata, e i cui capi sono immersi in due recipienti contenenti la medesima soluzione. Tra i due recipienti, e quindi agli estremi del capillare, viene applicata una differenza di potenziale di 20-30 kV. Il campione viene iniettato nell'estremità positiva del capillare. Sotto l'effetto del potenziale, hanno luogo due fenomeni distinti: a) un movimento globale del contenuto del capillare (tampone+campione) verso il polo negativo, dovuto a elettrosmosi e b) la migrazione delle particelle cariche presenti nel campione verso l'elettrodo di segno opposto. Come risultato globale, le particelle cariche positivamente migrano verso il polo negativo per effetto di entrambi i fenomeni, mentre le particelle cariche negativamente (sottoposte a due forze opposte, quella elettrosmotica e quella puramente elettrostatica) possono migrare verso il polo positivo se prevale l'effetto elettrostatico, o verso quello negativo (ma con velocità inferiore rispetto alle particelle positive) se prevale, come avviene in genere, l'effetto elettrosmotico. Prima di giungere al polo negativo le specie incontrano un rivelatore ove vengono analizzate. In una variante del metodo, il capillare è riempito con un gel (elettroforesi su capillare su gel). L'elettroforesi su capillare viene ampiamente usata per separare e analizzare campioni di specie biologiche, quali peptidi, proteine, acidi nucleici, ecc. Tra i vantaggi di cui gode rispetto all'elettroforesi tradizionale, vi sono la minima quantità di campione necessaria, e il limitato riscaldamento del capillare per effetto Joule (responsabile dell'abbassamento della risoluzione). Una estensione del metodo, che permette di separare anche le specie neutre, prevede l'aggiunta di un surfattante (per esempio il dodecilsolfato di sodio) a una concentrazione tale da permettere la formazione di micelle capaci di dissolvere al loro interno specie non polari. Le varie specie presenti nel campione si distribuiscono nel solvente o all'interno delle micelle, a seconda della loro polarità. Poiché le micelle sono dotate di carica superficiale e quindi migrano sotto l'azione del campo elettrico, esse agiscono come vettori per le specie neutre e lipofile. Questa tecnica prende il nome di cromatografia elettrocinetica micellare su capillare, ed è una via di mezzo tra una tecnica puramente elettroforetica e una tecnica cromatografica, essendo coinvolta, oltre all'effetto del campo elettrico, anche una diversa distribuzione tra fasi (la fase acquosa e la fase micellare).
Bibliografia
R. Audubert, S. de Mende, Principles of Electrophoresis, Londra, 1959; M. Bier (a cura di), Electrophoresis: Theory, Methods, and Applications, New York, 1959; Autori Vari, Enciclopedia internazionale di chimica, Roma, 1971; L. P. Cawley, Elettroforesi e immunoelettroforesi, Padova, 1975.