vétro
IndiceLessico
sm. [sec. XIII; latino vitrum].
1) Ogni materiale che esiste allo stato vetroso. In particolare, prodotto ottenuto per fusione e raffreddamento di una miscela vetrificabile caratterizzato da rigidezza, trasparenza e fragilità, largamente usato per la sua facile plasmabilità nella produzione di oggetti e contenitori di varie forme: vetro infrangibile, smerigliato, colorato. Fig.: essere di vetro, estremamente fragile e delicato; tenere sotto una campana di vetro, trattare con ogni cura e riguardo; palazzo di vetro, edificio caratterizzato da grandi aperture sui muri esterni con largo impiego di vetrate (in particolare, la sede dell'ONU a New York).
2) Oggetto fatto di tale sostanza, specialmente se artisticamente elaborato : i vetri di Murano; riporre con cura i vetri, i bicchieri; in particolare, frammento: tagliarsi con un vetro; lastra: chiudere i vetri, le finestre; i vetri degli occhiali, le lenti.
Vetro. Coppa decorata con incisione a incavo e in rilievo del sec. XVIII (Praga, Museo delle Arti Decorative).
De Agostini Picture Library/A. Dagli Orti
Vetro. Un momento della lavorazione del vetro in una fonderia di Murano (Venezia).
De Agostini Picture Library/A. Vergani
Vetro. La soffiatura a bocca in una fonderia di Murano (Venezia).
De Agostini Picture Library/A. Vergani
Vetro. Calice italiano del sec. XV (Bologna, Museo Civico Medioevale).
De Agostini Picture Library/A. De Gregorio
Vetro. Brocche italiane in vetro cristallino del sec. XV (Murano, Museo Vetrario).
De Agostini Picture Library/A. Dagli Orti
Vetro. Coppa veneziana in vetro a filigrana (Praga, Museo delle Arti Decorative).
De Agostini Picture Library/A. Dagli Orti
Vetro. Brocche inglesi in vetro al piombo del sec. XVII (Praga, Museo delle Arti Decorative).
De Agostini Picture Library/A. Dagli Orti
Vetro. Bicchieri boemi del sec. XIX in vetro colorato di F. Egermann (Praga, Museo delle Arti Decorative).
De Agostini Picture Library/A. Dagli Orti
Tecnica
Sebbene il vetro sia tra i più antichi materiali usati dall'uomo, le conoscenze scientifiche su di esso e la meccanizzazione dei suoi processi di fabbricazione risalgono alla fine del XIX secolo. Sono note almeno 700 miscele vetrificabili con le quali è possibile realizzare migliaia di articoli differenti. Le caratteristiche generali del vetro possono essere così definite: resistenza elevata alla corrosione, per cui, in presenza di acidi (eccetto il fluoridrico) i vetri vengono corrosi di 0,05-0,0005 mm all'anno, in presenza di basi fino a 0,3; coefficiente di dilatazione termica molto variabile da 5 a 100×10-70 ºC che permette una vasta possibilità di scelta quando un vetro debba essere unito o accoppiato a parti metalliche, nonché la produzione di vetri adatti a forti sbalzi termici (per esempio, pirex); temperatura d'impiego variabile tra i 100 e 450 ºC per il vetro ricottonon più di 270 ºC per quello temperato; resistenza meccanica dell'ordine di 100-10.000 kg/cm² per i vetri usuali, che presentano la proprietà caratteristica di non deformarsi prima della frattura; durezza compresa tra 5 e 7 della scala Mohs, per cui richiede il diamante o carburi per l'incisione; resistività elettrica superficiale molto alta, fino a 1017 ohm/cm², che ne fa un prodotto isolante; tale valore però è piuttosto sensibile all'umidità ambientale; indice di rifrazione compreso tra 1,5 e 1,8 con uno specifico valore per ogni tipo di vetro; trasmissione della luce estremamente sensibile alla lunghezza d'onda incidente, per cui ogni vetro può così essere caratterizzato dallo spettro di trasmissione in funzione della lunghezza d'onda incidente. Nel campo della luce visibile un buon vetro siliceo trasmette il 90-92% della luce. I vetri industriali vengono classificati, secondo i componenti base, in vetri silicei e non; i primi sono quelli di gran lunga più importanti e diffusi. Il vetro di silice pura, o vetro di quarzo, presenta una struttura tridimensionale altamente legata e quindi elevata resistenza alla temperatura, basso coefficiente di dilatazione termica, notevole resistenza all'attacco chimico ed eccellente resistività elettrica. Esso può essere utilizzato tuttavia solo in particolari applicazioni chimiche e ottiche, in quanto l'elevata viscosità e l'alta temperatura di rammollimento della silice comportano difficoltà di lavorazione e di formatura che non ne consentono una produzione su vasta scala. Aggiungendo ai vetri di silice pura un flussante, per esempio ossido di sodio (Na₂O), se ne riduce la viscosità per rottura di alcuni legami Si-O. I vetricosì ottenuti prendono il nome di siliceo-alcalini: il rapporto molare Na₂O/SiO₂ non può tuttavia eccedere l'unità, altrimenti, in seguito a raffreddamento dopo fusione, non si ottiene più un vetro ma un composto cristallino. Questo prodotto, detto vetro solubile, trova impiego come deflocculante, additivo per adesivi, cementi ecc. I vetri commercialmente più diffusi contengono, oltre a un ossido alcalino, uno o più ossidi alcalino-terrosi (CaO, BaO, MgO, ecc.) in funzione di stabilizzanti. Ciascun ossido, secondo la sua natura e la sua concentrazione, influisce sulle proprietà chimiche, fisiche e meccaniche dei vetri in modo diverso. L'aggiunta di ossido di calcio, per esempio, diminuisce il limite di cristallizzazione del vetro e ne aumenta la durata nel tempo. I vetri così ottenuti, detti vetri sodiocalcici, rappresentano la maggior parte di quelli prodotti. Una delle miscele più usate è costituita da 72% silice, 15% soda, 10% carbonato di calcio e magnesio, 2% allumina, 1% altri ossidi. L'aggiunta ai vetrisilicei di ossido di boro comporta una riduzione del coefficiente di dilatazione; si ottengono così vetri adatti per usi di laboratorio (per esempio, vetri Duran, Schott), con i quali si fabbricano tubi, ampolle, siringhe. L'aggiunta di ossido di piombo (vetri al piombo) comporta una diminuzione di viscosità dei vetri silicei senza però alterarne la resistività elettrica (come avviene invece con l'aggiunta di alcali) e fornisce inoltre un'alta densità e un buon indice di rifrazione. Tali vetri sono utilizzati per finestre, lampade fluorescenti e prodotti per impieghi elettrici. I vetri non silicei, miscele di ossidi vari, trovano un uso, peraltro estremamente limitato, nel campo dell'ottica, come assorbenti di calore e per trasmissione di raggi infrarossi. È possibile apportare ai vetrimodificazioni di carattere prettamente fisico quali l'opacificazione e la colorazione. L'opacificazione è dovuta a riflessione della luce all'interno del vetro stesso, causa la presenza di sostanze cristalline estranee che hanno un indice di rifrazione diverso da quello del vetro. Tale effetto è ottenuto aggiungendo al fuso sostanze, quali solfuro o seleniuro di cadmio, che, durante la fase di raffreddamento del vetro, precipitano nel fuso in forma cristallina. La colorazione viene ottenuta per miscelazione nel fuso di metalli quali rame, argento, oro, in presenza di agenti riducenti quali ossido di antimonio o zinco; una concatenazione opportuna di raffreddamenti e riscaldamenti permette una crescita controllata dei cristalli a base metallica e di conseguenza la regolazione della diffusione e distribuzione del colore. I vetro comuni, di colore uniforme, si ottengono per aggiunta, in genere, di ossidi: il rosso si ottiene per aggiunta di seleniuro di cadmio; il rosa per aggiunta di biossido di manganese o di cerio; l'arancio con solfuro di cadmio; il giallo con biossido di titanio e di cerio; il verde con ossidi di cromo, ferro, rame; il blu con ossidi di cobalto; il nero con ossidi di manganese e cromo. § Le materie prime, macinate secondo la granulometria prestabilita (da 20 a 120 mesh), vengono miscelate nei rapporti scelti secondo il tipo di vetro che si vuol ottenere. Ogni carica al miscelatore è di ca. 1-1,5 t e deve essere intimamente omogeneizzata per impedire fenomeni di concentrazioni maggiori o minori di sostanze in differenti punti della massa, il che comporterebbe un vetro difettato in quanto disomogeneo. I forni più impiegati per la fusione del vetro sono: a vaso, per produzioni discontinue, con capacità fino a ca. 2 t, utilizzati per vetri speciali, di ridotta produzione ma di qualità, quali vetri colorati o vetri ottici, con tempi di fusione superiori alle 24 ore; giornalieri, con tempo di fusione di 24 ore, simili ai precedenti, ma di dimensioni maggiori; a bacino, di tipo continuo, con capacità di carica sino a 1500 t e produzioni giornaliere di 300 tonnellate. Tali forni sono i più usati per la produzione industriale; sono costituiti da una camera lunga sino a 50 m, larga sino a 8 m e profonda 1-1,5 m, separata all'interno da un muro raffreddato portante dei fori; il vetro fuso alla temperatura di 1500 ºC fluisce attraverso i fori nel “bacino di riposo”, dove si raffredda sino a ca. 1300 ºC. Le pareti del forno vengono rivestite di refrattario resistente al tipo di vetro fuso; in realtà nessun refrattario è in grado di essere inerte nei confronti del vetro fuso e quindi, a periodi prefissati, deve essere rigenerato. I refrattari più usati sono a base di allumina, silice, zirconio. Durante la fase della fusione si realizzano reazioni chimiche tra gli ossidi, non fusibili alla temperatura di fusione del vetro con formazione di silicati che hanno punti di fusione inferiori alla temperatura del forno: l'eccedenza di ossidi non fusi rimane pertanto disciolta nel fuso. Quando si progetta un forno, si deve definire quindi il tempo di permanenza del fuso, affinché tutti gli ossidi non fusi siano disciolti nella massa. A tale tempo si deve aggiungere anche il tempo necessario allo sviluppo dalla massa fusa dei gas che si generano durante la reazione; tali gas, inglobati nella massa, darebbero infatti luogo a prodotti finiti includenti bolle gassose che diminuirebbero sia la resistenza meccanica sia le proprietà ottiche ed elettriche del vetro. Per favorire lo smaltimento dei gas si aggiungono alla massa alcuni composti che si dissociano fornendo a loro volta composti gassosi che hanno la funzione di ingrossare le bolle originatesi nel fuso. Dal bacino di riposo il fuso fluisce quindi alla “camera di lavoro” o direttamente alle macchine, dove avviene la formatura dei pezzi; la temperatura di formatura varia, secondo il tipo di vetro, da 800 a 1100 ºC. Le tecniche di formatura adottate sono: la soffiatura a bocca (attuata da tempi remoti e oggi esclusiva per realizzare pezzi d'arte o dalla geometria speciale, come alcuni vetri per laboratorio) che si effettua prelevando una certa massa di fuso mediante una lunga canna metallica, ruotando e spostando la quale (mentre vi si soffia dentro) si costringe il fuso ad assumere la forma voluta; l'operazione richiede notevole abilità ed esperienza; lo stampaggio per compressione, secondo il quale il fuso è immesso in uno stampo in cui penetra un pistone che fa aderire il vetro fuso allo stampo stesso, adottato per la produzione di corpi non molto profondi e con discreti spessori; lo stampaggio per soffiatura, in cui l'adesione allo stampo è ottenuta per insufflazione di aria, che spinge il fuso contro le pareti dello stampo (le dimensioni degli oggetti stampabili raggiungono il metro di diametro, con spessori molto sottili); lo stampaggio per colata, con semplice riempimento di uno stampo e formatura per gravità, una cui variante è la colata nello stampo, fatto in seguito ruotare intorno all'asse di rivoluzione per cui, per forza centrifuga, il fuso aderisce allo stampo; la laminazione, per la produzione di vetro piano in continuo, secondo cui il fuso è fatto passare attraverso rulli in ferro o acciaio, internamente raffreddati: si forma così un nastro continuo, largo sino a 4 m e con spessori minimi di 1 mm. La finitura superficiale è realizzata, dopo raffreddamento, per mezzo di mole abrasive che levigano ambedue le facce. Un'importante variante è il processo Pilkington che prevede, dopo il passaggio attraverso i rulli di formatura, un successivo passaggio su un bagno metallico fuso, a base di leghe di stagno, che leviga la superficie inferiore per diretto contatto, mentre la superiore si “assesta” per gravità, essendo il vetro ancora allo stato semifuso; la formatura per stiro, per la produzione di fogli continui con spessore di 0,1-1 mm e larghezza di 2,5 m, secondo il quale il foglio viene stirato direttamente dal fuso, facendolo passare attraverso una serie di rulli (in senso verticale nei processi Forclaut e Pittsburgh, orizzontale nel processo Libbey-Owens). I tubi e le barre si ricavano invece forzando il fuso attraverso una matrice in refrattario, costringendolo ad assumere la configurazione della sezione di passaggio; la filatura, per la produzione di fibre di vetro usate come rinforzanti di manufatti polimerici termoindurenti (per esempio, poliesteri rinforzati con fibra di vetro per la produzione di barche), oppure come isolanti termici o acustici. Per ottenere fibre, il fuso è costretto a passare attraverso una filiera in platino per mezzo di aria compressa o vapore con formazione di spezzoni lunghi 10-50 cm. Il filato continuo viene invece ottenuto per stiro, attraverso una filiera identica alla precedente, e si produce sotto forma di bava continua con diametro di 12 micron, o fiocco di 5-10 micron. Le operazioni meccaniche di finitura, che si realizzano sui pezzi già formati, sono la politura, la molatura, la smerigliatura, l'intaglio; quelle chimiche sono l'opacificazione per attacco con acido fluoridrico; quelle termiche, la fusione locale per incollare due o più parti e, soprattutto, la ricottura e la tempra. Nella ricottura, il pezzo, dapprima portato a elevate temperature, viene poi lentamente raffreddato per non indurre tensioni che lo infragilirebbero; la tempra si realizza per brusco raffreddamento dopo riscaldamento a temperature prossime al punto di rammollimento e impartisce al pezzo un'alta resistenza meccanica superficiale.
Tecnologia: produzioni particolari
I vetri di sicurezza per auto sono prodotti per interposizione, tra due lastre di vetro dello spessore di ca. 3 mm, di un foglio di polivinilbutirrale. Le lastre vengono compresse e riscaldate in autoclave in bagno d'olio a 140 ºC e 15 atmosfere. Il film plastico si lega al vetro e impedisce, in caso d'urto, che pezzi di vetro si disperdano. I vetri cellulari si ottengono da vetro in polvere contenente un solfato come agente ossidante e carbone come agente riducente. Per riscaldamento, i gas evolventisi producono una struttura porosa o cellulare, formando un prodotto di densità molto ridotta adatto per isolamento termico. Il vetro infrangibile è un tipo di vetro che presenta notevole resistenza all'urto e che, in caso di sollecitazioni intense, si incrina o si polverizza senza proiezioni di schegge. Tali proprietà possono essere ottenute a seguito di particolari processi di lavorazione del vetro (vetro temprato) o mediante l'interposizione, tra due o più lastre, di strati di materiale plastico come nei vetri di sicurezza. Viene utilizzato per stoviglie, serramenti, ecc. Il vetro atermico è un vetro di composizione fosfatica (ca. il 70% di P₂O5) contenente ossidi di ferro in grado di assorbire le radiazioni infrarosse; viene utilizzato soprattutto in edilizia per impedire il riscaldamento dei locali esposti al sole. Il vetro d'ottica, destinato alla produzione di lenti ottiche e in generale di componenti di sistemi ottici (prismi, specchi, ecc.), è prodotto in parecchi tipi per soddisfare esigenze specifiche (filtri colorati, vetro con fluoro, con terre rare, ecc.). Il vetro d'ottica deve essere molto omogeneo, senza bolle o altri difetti analoghi. Le sue proprietà ottiche sono definite dall'indice di rifrazione e dalla variazione di tale indice in funzione della diversa lunghezza d'onda dei raggi luminosi (dispersione); generalmente l'indice di rifrazione è riferito alla riga D del sodio (nD) e la dispersione viene rappresentata con il numero γ di Abbe, che misura l'inverso del potere dispersivo. I vetri vengono classificati in base ai valori di nD e γ: sono detti crown i vetri poco rifrangenti e poco dispersivi; tra essi si fanno ulteriori distinzioni (crown-borosilicati, crown-bario, ecc.) e vengono chiamati flint i vetri con alto indice di rifrazione e molto dispersivi, caratterizzati dalla presenza di piombo nella loro miscela. Il vetro d'ottica deve possedere anche spiccate caratteristiche di isotropia, cioè in ogni punto l'indice di rifrazione deve essere il medesimo in tutte le direzioni. Quando il vetro deve essere accoppiato in sistemi soggetti a variazioni di temperatura bisogna tenere conto anche del coefficiente di dilatazione termica del tipo di vetro usato. Le due fasi fondamentali nella produzione del vetro d'ottica sono la miscelatura e la fusione di polveri di composizione e granulazione uniformi e ben definite e la trasformazione della miscela allo stato fuso in elementi utilizzabili. La fusione avviene in un crogiolo ca. 1000 ºC di temperatura, poi la temperatura viene ulteriormente innalzata fino al valore massimo per il tipo di vetro trattato; la pasta fusa viene rimescolata a lungo in senso verticale e orizzontale, poi viene raffreddata fino alla temperatura a cui la viscosità è adatta per l'operazione di dar forma a ciò che si vuole ottenere. La fabbricazione dei vari pezzi comporta una lunga serie di operazioni che tengono conto della geometria dell'oggetto, della tensione interna e superficiale della massa, dell'uniformità di spessore e delle proprietà ottiche in ogni sua parte e in ogni posizione; di particolare importanza sono i controlli in ogni fase di lavorazione e le diverse procedure per determinarne l'indice di rifrazione e il numero di Abbe. Il vetro refrattario è un particolare tipo di vetro che presenta notevoli doti di resistenza al calore e agli sbalzi di temperatura: proprietà ottenute aggiungendo ossido di boro ai vetrisilicei.
Arte
Le più antiche tecniche di lavorazione del vetro permettevano soltanto la produzione di oggetti di ridotte dimensioni, per lo più destinati a usi rituali o a scopo ornamentale. La difficoltà di produzione del vetro faceva sì che esso fosse assimilato nell'uso a materiali preziosi e semipreziosi, come le pietre dure e le gemme; a questi, oltre che alla ceramica, la lavorazione del vetro si rifaceva sia per le tipologie sia per le decorazioni degli oggetti riprodotti. In Egitto e in Mesopotamia l'uso di impasti vetrosi risale almeno al III millennio a. C. I primi vasi comparvero però verso il 1500 a. C.; la tecnica più diffusa era quella del vetro fuso attorno a un'anima di sabbia. Si ottenevano così piccoli vasi, per lo più balsamari, a colori vivaci con effetti di policromia, largamente diffusi fino all'età ellenistica in tutto il bacino del Mediterraneo. Accanto alla tecnica a sabbia si sviluppò quella dei vasi tagliati a freddo da un blocco di vetro e levigati con la ruota, e quella dei vetri fusi, pressati dentro una matrice. Una più larga (e qualitativamente più alta) diffusione della lavorazione artistica del vetro si ebbe a cavallo fra il sec. I a. C. e il sec. I d. C., grazie all'introduzione della tecnica della soffiatura, iniziata probabilmente in Siria. Successivamente in Egitto fiorì la fama di Alessandria, i cui vetri colorati erano apprezzatissimi nella Roma imperiale. Roma portò poi a grandissimo sviluppo l'arte vetraria, con una vasta produzione che si estendeva anche alle province con fornaci nelle Gallie, lungo il Reno e altrove. Venivano applicate complesse tecniche di decorazione, soprattutto nei vasi ellenistici e romani; famosi sono i vasi cammeo, con più strati di vetro di diverso colore, come il celebre vaso Portland di età augustea, i diatreti (sec. I-IV), con traforo a giorno e i vetri dorati con ritratti di privati o di martiri, frequenti nelle tombe cristiane. Dopo la caduta dell'Impero romano, Bisanzio accentrò il meglio della produzione vetraria unendo alle esperienze romane il gusto per il colore proprio della tradizione orientale. La produzione del vetro nel mondo islamico fu altrettanto ricca e varia di quella del mondo romano. Famosi i vetri smaltati e dorati di Aleppo e Damasco; da Damasco provenivano anche le caratteristiche lampade per moschee, decorate con disegni epigrafici e simboli araldici, soprattutto mamelucchi. I decori, piuttosto grandi ad Aleppo e più minuti a Damasco, accolsero, dopo il sec. XIV, anche motivi cinesi (soprattutto la fenice) e una più vistosa coloritura. Nei Paesi d'Occidente l'industria vetraria attraversò un periodo di limitato sviluppo per tutto l'alto Medioevo. Successivamente, un risveglio in questo settore si ebbe nella bassa valle del Reno, i cui centri di lavorazione diedero vita ai cosiddetti vetriteutonici o merovingici, caratterizzati da decorazioni applicate a forma di grosse bugne, tipiche della produzione germanica e in particolare del boccale tedesco (il Römer) che ebbe ampia fortuna in epoche successive. Per giungere tuttavia a una produzione più sistematica e qualitativamente più alta bisogna arrivare al Medioevo inoltrato con l'organizzazione, a iniziare dal sec. X, delle vetrerie veneziane. Queste assunsero caratteri di produzione artistica vera e propria dalla fine del sec. XIII, quando furono concentrate in Murano. Il grande momento di diffusione della produzione muranese risale peraltro al sec. XV, quando l'introduzione (anche attraverso i contatti con Bisanzio e l'Estremo Oriente) di nuove tipologie e di nuovi sistemi decorativi (smalti, pittura a freddo, ecc.) resero la produzione veneziana incontrastata in tutta Europa; ciò grazie anche alla fabbricazione di un vetro di particolari doti di trasparenza e lavorabilità, il cristallino. Nel sec. XVI la decorazione incisa a punta di diamante conferì ulteriore pregio alla produzione muranese, così come la tecnica di lavorazione del vetro "a ghiaccio" (o verre craquelé), per cui sottoponendo all'azione di un agente freddo il vetro rovente, la superficie di questo, solidificata, assume un aspetto ruvido e leggermente opaco. Gli oggetti prodotti secondo questa tecnica si giovano spesso della presenza contrastante di decorazioni applicate in vetro trasparente colorato (si ricorda il bacile, del sec. XVI, conservato al Museo Vetrario di Murano). Inoltre, a quest'epoca risale la diffusione di vetri peculiari della produzione veneziana, quali i lattimi e i calcedoni. Fra il sec. XVI e il XVII i modi della produzione muranese si diffusero ampiamente in Europa, tanto da sviluppare nelle altre nazioni una produzione locale che ne riprendeva i modi, la cosiddetta façon de Venise; ciò avvenne particolarmente nelle Fiandrein Olanda, in Francia e in alcuni Paesi germanici. La supremazia veneziana andò indebolendosi nel sec. XVII, allorché in Inghilterra si diffuse la produzione di cristallo piombico, che meglio si prestava alla sfaccettatura e all'incisione. Un'altra importante innovazione fu la scoperta, in area tedesca, del cristallo potassico, che portò a ulteriori sviluppi la decorazione incisa e quella a sfaccettature, ponendo in netta supremazia europea, per qualità e possibilità di lavorazione, la produzione tedesca (centri principali furono la Boemia, la Slesia,, Potsdam), contrastata solo da quella inglese. L'uso del cristallo segnò praticamente la fine della supremazia veneziana (un certo revival lo si ebbe nel sec. XIX). Una nuova ripresa della lavorazione artistica del vetro, ormai su basi internazionali, si è avuta alla fine del sec. XIX, in coincidenza con l'Art Nouveau e lo sviluppo di nuove tipologie e di nuove forme, attraverso l'opera di artisti come Tiffany, E. Gallé, i fratelli Daum e altri. Costoro, valendosi di tecniche molto elaborate, hanno dato vita a opere originalissime creando soprattutto oggetti ornamentali, come lampade, vasi, ecc., con decorazioni ispirate a motivi vegetali o animali, o desunte dalle stampe giapponesi. Nel sec. XX la produzione artistica vetraria è rimasta strettamente connessa alle espressioni figurative delle nuove correnti artistiche, che hanno influenzato anche la fabbricazione di vetri in serie.
Bibliografia
Per l'arte
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Per la tecnica
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