Chimica

sm. [sec. XIX; dal francese oxide, da ox(ygène), ossigeno+(ac)ide, acido (sostantivo)]. Composto chimico dell'ossigeno con un qualsiasi altro elemento. Nella nomenclatura chimica tradizionale erano considerati ossidi solo i composti dell'ossigeno con elementi a carattere metallico, capaci, combinandosi con l'acqua, di formare idrossidi a carattere basico, come per esempio l'ossido di sodio, Na₂O, che dà con l'acqua l'idrossido NaOH, base fortissima. Erano anche considerati ossidi i composti dell'ossigeno con gli elementi a carattere non metallico incapaci però di combinarsi con l'acqua, come per esempio l'ossido di azoto NO. Con il nome di anidridi si indicavano invece i composti con l'ossigeno degli elementi non metallici che combinandosi con l'acqua generano composti a carattere acido. Questa nomenclatura presentava però l'inconveniente di non precisare il numero di ossidazione dell'elemento e quindi la formula dell'ossido, e inoltre quello che numerosi ossidi danno con l'acqua composti a carattere intermedio tra quello basico e quello acido; per questa ragione, la recente nomenclatura chimica ufficiale ha escluso il nome di anidridi per gli ossidi degli elementi non metallici, includendo anche questi nella categoria degli ossidi. Inoltre, secondo l'attuale nomenclatura ufficiale, i singoli ossidi devono indicarsi con nomi che precisano tanto il numero di atomi di ossigeno quanto quello dell'altro elemento contenuti nella molecola dell'ossido: così, per il composto MnO₂ può mantenersi in uso il vecchio nome di biossido di manganese (eventualmente precisando in biossido di monomanganese), mentre l'anidride permanganica della vecchia nomenclatura, Mn₂O7, deve indicarsi con il nome di eptaossido di di manganese. La precisazione è utile soprattutto per gli ossidi degli elementi che, come il manganese, possono dar luogo a due o più ossidi diversi, corrispondenti ad altrettanti numeri di ossidazione dell'elemento combinato con l'ossigeno. Per molti ossidi comuni, come per esempio i biossidi SO₂ e CO₂ dello zolfo e del carbonio, sono però rimasti radicati nell'uso i vecchi nomi di anidride carbonica, anidride solforosa, ecc.; ormai meno usati sono invece i vecchi nomi di ossidulo, protossido, subossido, ecc. che indicavano genericamente gli ossidi nei quali l'elemento legato all'ossigeno presenta un numero di ossidazione inferiore a quello che esso mostra negli ossidi più comuni. Una categoria particolare di ossidi sono i perossidi nei quali gli atomi di ossigeno sono legati anche tra loro oltre che con l'altro elemento, mentre ciò non si verifica con i normali ossidi. In parecchi ossidi, in genere di elementi a carattere metallico, l'elemento legato all'ossigeno può essere presente in due diversi stati di ossidazione; così, nel tetraossido di tripiombo Pb₃O4, il comune minio, due atomi di piombo hanno numero di ossidazione +2 e il terzo numero di ossidazione +4, per cui il composto può meglio rappresentarsi con la formula dualistica 2PbO∤PbO₂; il tetraossido di triferro, Fe₃O4, che costituisce la magnetite naturale, contiene invece ferro bivalente e ferro trivalente e corrisponde alla formula adualistica FeO∤Fe₂O₃. Nel tipo strutturale della magnetite, detto anche tipo degli spinelli, si inquadrano numerosi ossidi misti, e cioè composti formati dalla unione di due diversi ossidi, in genere metallici, secondo un preciso rapporto stechiometrico, come per esempio nello spinello MgAl₂O4, che può meglio scriversi MgO∤Al₂ O₃. In realtà, gli ossidi del tipo del minio e della magnetite e quelli misti possono anche considerarsi come dei sali: così, il minio può considerarsi come il sale di piombo bivalente dell'acido ortopiombico H4PbO4, lo spinello

può considerarsi come il sale di magnesio dell'acido metalluminico, HAlO₂. L'esame roentgengrafico della struttura del reticolo cristallino di questi composti permette di stabilire quali di essi abbiano in realtà carattere di veri ossidi misti e quali abbiano invece carattere di sali (i cosiddetti ossidi salini) oppure anche carattere intermedio tra questi due caratteri limite. Alcuni ossidi, generalmente di elementi tipicamente non metallici e che corrispondono per lo più alle anidridi della vecchia nomenclatura, sono formati da molecole discrete e isolate, spesso gassose o liquide a temperatura ambiente come per esempio quelle degli ossidi CO₂, SO₂, SO₃, ecc., ovvero da molecole doppie come quella P4O₁0 del decaossido di tetrafosforo (l'anidride fosforica della vecchia nomenclatura, più spesso rappresentata con la formula semplificata P₂O5) e quella As4O6 dell'esaossido di tetrarsenico. Altri ossidi, come in genere quelli degli elementi a carattere nettamente metallico (per esempio CaO, Fe₂O₃, ecc.) ma anche quelli di elementi a carattere semimetallico (per esempio Al₂O₃, SiO₂, ecc.) sono invece dei solidi a punto di fusione generalmente molto elevato e costituiti da reticoli cristallini nei quali si alternano, nelle tre direzioni e con simmetrie diverse, gli atomi dell'ossigeno e quelli dell'altro elemento. Sono noti ossidi di tutti gli elementi chimici, eccetto quelli più leggeri del gruppo dei gas nobili; inoltre, la maggior parte degli elementi, eccetto i metalli alcalini e alcalino-terrosi, il boro, l'alluminio e pochi altri, danno luogo ciascuno a due o più diversi ossidi, corrispondenti a differenti valenze dell'elemento. Svariati sono i metodi di preparazione degli ossidi; molti elementi metallici e non metallici si combinano direttamente con l'ossigeno a temperatura ambiente o più spesso a temperatura elevata con una reazione molto vivace e che può presentare le caratteristiche di una vera e propria combustione, specialmente quando, anziché con aria, l'ossidazione si provoca con l'ossigeno puro. Altre volte il metodo di preparazione più agevole consiste nel decomporre per azione termica l'idrossido o l'acido corrispondente, per esempio:

La decomposizione degli idrossidi si verifica a temperature molto diverse secondo la loro natura; alcuni, come gli idrossidi dell'argento e del mercurio, sono anzi del tutto instabili, e quando si tenta di prepararli per esempio aggiungendo dell'idrossido di sodio alla soluzione di un sale di argento o di mercurio essi immediatamente si decompongono in acqua e nel corrispondente ossido. Un metodo di preparazione spesso utilizzato consiste nel riscaldare all'aria a temperatura elevata i carbonati, i solfati, i nitrati o i solfuri dei metalli: nel caso dei solfuri metallici naturali l'operazione, che si indica con il nome di arrostimento, costituisce uno stadio fondamentale di alcune importanti tecnologie metallurgiche.

Ecologia: effetti ambientali

Gli ossidi di azoto sono i più diffusi inquinanti dell'atmosfera, dopo l'anidride solforosa: insieme a essa sono la causa delle piogge acide. Monossido (NO) e biossido (NO₂), essendo presenti contemporaneamente nell'aria, sono comunemente indicati come NOx: gli altri ossidi più complessi che sono presenti in quantità minori, tendono a trasformarsi in NO₂. Le fonti naturali di ossido di azoto sono la denitrificazione batterica dei terreni agricoli e le scariche elettriche, che ne producono una quantità molto superiore a quella dovuta alle attività umane: essendo però queste ultime localizzate in aree ristrette, provocano concentrazioni molto più pericolose. La formazione di ossido di azoto è determinata da tutti i processi di combustione, ma specialmente da quelli che avvengono ad alta temperatura: forti quantità ne vengono prodotte dai motori delle automobili, dagli impianti termici e dalle industrie che producono composti azotati. Si calcola che in Italia vengano immessi nell'aria, a opera dell'uomo, 1,9 milioni di tonnellate all'anno di ossido di azoto, metà dei quali prodotti dagli autoveicoli. L'ossido di carbonio CO (più esattamente monossido di carbonio) è una gas incolore, inodoro e fortemente tossico: se viene respirato si lega all'emoglobina del sangue provocando, nei casi più gravi, la morte per asfissia. Si forma durante la combustione delle sostanze organiche, quando è incompleta per difetto di ossigeno, ed è uno dei più diffusi e pericolosi inquinanti dell'atmosfera. La quantità maggiore di ossido di carbonio è prodotta dagli autoveicoli e dall'industria (impianti siderurgici e raffinerie di petrolio). Nettamente minore è l'emissione di CO delle centrali termoelettriche e degli impianti di riscaldamento, perché la combustione è meglio controllata. Tra i motori degli autoveicoli, quelli a ciclo Diesel ne emettono in minima quantità, perché la combustione del gasolio avviene in eccesso di aria. Forti concentrazioni di CO in ambienti chiusi, provocate dal cattivo funzionamento di stufe e scaldabagni (generalmente per cattiva installazione o per otturazione dei camini) o dal funzionamento di motori, provocano la morte in breve tempo: 90 minuti in presenza di 1000 ppm di CO. Concentrazioni inferiori danno esito letale dopo alcune ore: ma il fatto che il CO è inodoro impedisce alle vittime, colpite inoltre da sonnolenza, di avvertire il pericolo e aereare il locale. L'esposizione prolungata a concentrazioni di 50 p.p.m. (valore che viene spesso superato nelle vie a forte traffico) risulta notevolmente dannosa: l'affinità del CO per l'emoglobina è di oltre 200 volte superiore a quella dell'ossigeno: la carbossiemoglobina che si forma impedisce l'ossigenazione dei tessuti: i primi sintomi dell'avvelenamento sono cefalea e vertigine.

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