zólfo
IndiceLessico
sm. [sec. XIII; latino sulphur -ŭris].
1) Elemento chimico di simbolo S, di peso atomico 32,065 e di numero atomico 16. Noto e utilizzato fin dall'antichità, fu individuato quale elemento a opera di A. Lavoisier e poi di Thenerd e di L. Gay-Lussac.
2) Coloranti allo zolfo, classe di coloranti formata da composti di varia origine, la cui preparazione viene però ugualmente condotta per riscaldamento con zolfo o polisolfuro di sodio. Si tratta di coloranti al tino per i quali la riossidazione viene fatta per esposizione delle fibre all'aria. Da un punto di vista cromoforo coprono tutta la gamma dei colori dal grigio-giallo al nero. Industrialmente sono applicati per lo più a prodotti naturali, soprattutto cotone e in minima parte a fibre sintetiche.
Zolfo. Il minerale nel caratteristico abito bipiramidale.
De Agostini Picture Library/C. Bevilacqua
Zolfo. La miniera di Trabonella, presso Caltanissetta.
De Agostini Picture Library/M. Leigheb
Chimica: generalità
L'atmosfera contiene solo tracce di composti dello zolfo, principalmente sotto forma di anidride solforosa e di solfuro di idrogeno; nella crosta terrestre lo zolfo occupa il sedicesimo posto nella scala di abbondanza degli elementi chimici e ne costituisce il 5×10-4%. Esso è probabilmente assai più abbondante nello strato della Terra sottostante la litosfera, che si ritiene costituito principalmente da ossidi e da solfuri di metalli pesanti. Nella crosta terrestre, oltre che allo stato nativo, lo zolfo si rinviene più abbondantemente combinato sotto forma di solfati, come il gesso, l'anidrite, la baritina, e numerosi altri, e sotto forma di solfuro di metalli pesanti, come la pirite, la blenda, la calcopirite, ecc. I carboni fossili contengono una percentuale di zolfo che si aggira in media sull'1-1,5% ed è generalmente presente sotto forma di solfuri metallici; quantità anche maggiori di zolfo, sotto forma di elemento libero discioltovi e di composti organici, si hanno nei petroli grezzi. Una certa quantità di solfati e taluni composti organici dello zolfo, come gli amminoacidi metionina e cisteina, la vitamina B1, ecc., sono contenuti in tutti gli organismi viventi e sono a questi indispensabili. Lo zolfo naturale si trova per la maggior parte in due tipi di giacimenti, le solfatare e le solfare. Nella solfatara si forma per riduzione dell'acido solfidrico delle emanazioni vulcaniche tardive e si deposita in cristalli e incrostazioni nei crateri, alle bocche delle fumarole e sulle lave. Famose sono le solfatare di Pozzuoli nei Campi Flegrei e le fumarole dell'Etna e dell'isola di Vulcano; la stessa origine hanno i “crateri di zolfo” del Giappone e lo zolfo che accompagna il cinabro nella zona del Monte Amiata. Maggior importanza geologica ed economica hanno i depositi di zolfo delle solfare, giacimenti di origine sedimentaria d'ambiente lagunare salmastro, nei quali lo zolfo è accompagnato da gesso, argille, calcari e depositi silicei (tripoli). Molto note sono le solfare italiane, distribuite lungo il margine esterno appenninico e lungo le Madonie in Sicilia, che nel loro insieme costituiscono una caratteristica formazione di età miocenica, nota con il nome di “orizzonte gessoso-solfifero”. Le più importanti solfare italiane si trovano in Romagna, nelle Marche e soprattutto in Sicilia dove lo zolfo è presente in banchi e strati alternati a calcare, accompagnato da gesso e da minerali caratteristici (celestina, calcite, aragonite), delimitati superiormente da una formazione calcareo-argillosa pliocenica e inferiormente da depositi di tripoli e calcari miocenici. L'origine dello zolfo siciliano è stata attribuita alla riduzione del gesso attuata da sostanze bituminose: il solfato di calcio si sarebbe trasformato in solfuro e quindi con successive reazioni in solfidrato e infine in carbonato di calcio e zolfo. Alcuni autori sostengono invece l'origine endogena secondo cui lo zolfo deriverebbe da soluzioni termali solfidriche risalite lungo le litoclasi delle rocce calcaree che fanno da letto all'orizzonte gessoso-solfifero. Più recentemente è stata avanzata l'ipotesi dell'azione biochimica di tiobatteri riducenti sul solfato di calcio con successiva azione ossidante di altri solfobatteri per la separazione dell'elemento. In passato il minerale veniva estratto dai giacimenti siciliani col metodo dei calcaroni, costituiti da cumuli semisferici di minerale disposti su un piano inclinato di materiale roccioso o di cemento. Lo zolfo veniva incendiato e una parte di esso, pari al 30-50%, bruciava fornendo il calore che portava a fusione la rimanente parte dello zolfo: questa colava lungo il piano inclinato in appositi recipienti di raccolta. Il metodo dei calcaroni, poco conveniente per le grandi quantità di zolfo perse come combustibile e per l'intenso inquinamento dell'atmosfera causato dall'anidride solforosa generata dalla loro combustione, fu poi sostituito dai forni Gill. Essi, pur basandosi in sostanza sullo stesso principio, diminuivano, attraverso un opportuno sistema per il recupero del calore, la quantità di zolfo utilizzata come combustibile e consentivano di recuperare in media il 75% dello zolfo contenuto nel minerale. Successivamente, si sono introdotti, in particolare per il trattamento dei minerali poveri, i metodi di flottazione, che forniscono dei concentrati all'80-90% di zolfo, poi trattati direttamente per fusione. Lo zolfo siciliano contiene spesso impurezze di bitume, che ne peggiorano la qualità; esse vengono eliminate purificando lo zolfo per distillazione o per sublimazione: in quest'ultimo caso i vapori di zolfo vengono condensati direttamente allo stato solido sulle pareti di grandi camere in muratura, ottenendo il prodotto indicato in commercio con il nome di "fiori di zolfo". Hanno assunto grande importanza i giacimenti americani della Louisiana e del Texas, che, per le loro caratteristiche geologiche, consentono un metodo di estrazione particolarmente economico quale il metodo Frasch. Tale procedimento consiste nel perforare il terreno, introducendovi delle trivelle costituite da tre tubi concentrici, fino a raggiungere il giacimento solfifero. Nel tubo esterno si introduce acqua surriscaldata a 165 ºC e a 18 atm, che fa fondere lo zolfo con cui viene a contatto, mentre dal tubo centrale si inietta aria compressa a 35 atm in modo da provocare la risalita dello zolfo fuso attraverso l'intercapedine centrale. L'emulsione acquosa che viene in superficie è raccolta in grandi vasche rivestite di legno e lasciata raffreddare; raffreddandosi, l'acqua si separa dallo zolfo allo stato solido e già abbastanza puro per poter essere direttamente usato per la maggior parte dei suoi impieghi. Negli ultimi anni ha assunto grande importanza la produzione di zolfo elementare dai petroli e dai gas naturali. Nei prodotti ottenuti dalla lavorazione dei petroli lo zolfo rappresenta sempre una impurezza altamente nociva, che deve comunque venir parzialmente o completamente eliminata. Ciò si consegue trasformando, attraverso opportuni trattamenti, lo zolfo contenutovi in solfuro di idrogeno, dal quale poi si recupera lo zolfo. Il solfuro di idrogeno rappresenta inoltre in parte la forma sotto la quale lo zolfo è contenuto in molti gas naturali, accanto a metano, anidride carbonica e idrocarburi leggeri: per esempio il gas degli enormi giacimenti gassosi di Lacq in Francia, che forniscono attualmente una produzione di 3000 t al giorno di zolfo, contengono il 15% di solfuro di idrogeno, e altri gas naturali ne sono ancora più ricchi. Sia i gas di raffineria sia quelli naturali vengono frazionati in modo da ottenere un solfuro di idrogeno molto concentrato, che si ossida poi a zolfo libero mediante procedimenti diversi. Quantità di zolfo notevoli, anche se assai inferiori, si ottengono anche dalla depurazione del gas illuminante e del gas di cokeria, mentre hanno attualmente scarsa importanza i processi per la produzione di zolfo libero da solfati naturali come il gesso e da solfuri metallici come la pirite: questi ultimi costituiscono però la materia prima dalla quale, accanto ai corrispondenti ossidi metallici destinati ai processi metallurgici, si ottiene direttamente il composto dello zolfo più importante, cioè l'anidride solforosa. Lo zolfo è costituito in natura da una miscela di quattro diversi isotopi aventi numero di massa 32, 33, 34 e 36; sono inoltre noti altri sei isotopi artificiali tutti fortemente radioattivi, tra i quali quello più stabile, lo zolfo-35, viene utilizzato con tracciante radioattivo nelle ricerche di chimica e di biologia. Lo zolfo è una tipica sostanza polimorfa, della quale sono note varie modificazioni allotropiche diverse nelle loro proprietà fisiche. La forma dello zolfo termodinamicamente stabile a temperatura ambiente è lo zolfo α, che presenta un reticolo cristallino del sistema rombico e si rinviene in natura in cristalli per lo più a bipiramide rombica talvolta anche di grandi dimensioni e dal caratteristico colore giallo citrino. Riscaldata rapidamente, questa forma allotropica dello zolfo fonde a 112,8 ºC; se invece il riscaldamento viene effettuato abbastanza lentamente, lo zolfo α si trasforma (a 95,3 ºC) nella forma allotropica indicata con il nome di zolfo β, che presenta un reticolo cristallino monoclino e fonde a 119,3 ºC. Al di sotto dei 95,3 ºC la forma β torna a trasformarsi in quella α, ma se viene rapidamente raffreddata può conservarsi abbastanza a lungo. Ambedue le varietà sono costituite da molecole S8, formate da otto atomi di zolfo disposti su due piani diversi a formare un anello: da qui il nome di cicloottazolfo con il quale le due varietà vengono indicate nella nomenclatura scientifica. Con metodi particolari si possono poi preparare altre varietà cristalline dello zolfo come il cicloesazolfo, formato da molecole esaatomiche S6, il cicloeptazolfo, formato da molecole eptaatomiche S7, il ciclododecazolfo, formato da molecole S₁₂, e inoltre delle varietà amorfe e colloidali. Tutte queste forme dello zolfo sono instabili e, più o meno rapidamente, si trasformano in zolfo α a temperatura inferiore ai 95,3 ºC, in zolfo β a temperatura più elevata. A una temperatura appena superiore a quella di fusione, lo zolfo si presenta come un liquido mobile di colore giallo; aumentando la temperatura, la sua viscosità a mano a mano si accresce fino a raggiungere un massimo a 187 ºC, temperatura alla quale un recipiente che contenga lo zolfo fuso può venir capovolto senza che il liquido coli all'esterno. Contemporaneamente all'aumento di viscosità si manifesta un incupimento del colore, che alla temperatura di massima viscosità si presenta di un rosso cupo. Aumentando la temperatura oltre i 187 ºC, la viscosità diminuisce gradualmente e il colore torna a schiarirsi fino a che, alla temperatura di 444,6 ºC, lo zolfo entra in ebollizione, trasformandosi in un vapore di colore giallo chiaro. Alla temperatura di ebollizione del liquido il vapore è costituito da molecole S8 che, aumentando ulteriormente la temperatura del vapore, si trasforma gradualmente in molecole S6, poi in molecole S4 e S2 e infine, intorno ai 1500 ºC, in atomi liberi. Il singolare comportamento dello zolfo fuso è dovuto alla trasformazione delle molecole S8 dello zolfo solido o appena al di sopra del suo punto di fusione in molecole giganti a struttura filamentosa che, con il crescere della temperatura, si frazionano gradualmente in molecole dello stesso tipo ma di dimensioni minori. Tutti questi fenomeni sono reversibili e, diminuendo la temperatura dello zolfo fuso in prossimità del punto di ebollizione, si ripetono in senso inverso. Per brusco raffreddamento, ottenuto per esempio versandolo in acqua, lo zolfo fuso a 170-250 ºC si trasforma nella varietà solida nota con il nome di zolfo plastico o zolfo elastico, di colore ambrato più o meno carico, che presenta la struttura di un liquido sottoraffreddato, ad altissima viscosità; col tempo, lo zolfo plastico perde la sua elasticità e si trasforma gradualmente in zolfo α. Questo e tutte le altre modificazioni dello zolfo sono in pratica insolubili in acqua; in condizioni adatte si possono però ottenere delle soluzioni colloidali di zolfo in acqua anche assai stabili e che si presentano in genere di colore biancastro e di aspetto più o meno lattiginoso. Lo zolfo presenta invece una certa solubilità nei solventi organici come il benzene, il toluene e gli idrocarburi in genere e inoltre l'etere dietilico e il cloroformio. Il suo solvente migliore è però il solfuro di carbonio, che a temperatura ambiente discioglie circa metà del suo peso di zolfo α e ne discioglie quantità molto maggiori a caldo; lo zolfo plastico è invece pressoché insolubile anche in questo solvente. A temperatura ambiente lo zolfo è chimicamente poco reattivo, ma la sua reattività aumenta molto con il crescere della temperatura. A temperatura ambiente lo zolfo finemente macinato si ossida molto lentamente all'aria producendo anidride solforosa e un poco di acido solforico; intorno ai 250 ºC lo zolfo fuso a contatto con l'aria si incendia invece spontaneamente e brucia con fiamma azzurra trasformandosi in anidride solforosa, SO2. A 150-200 ºC lo zolfo si combina con l'idrogeno, H2S; si combina inoltre direttamente con il fluoro, il cloro e il bromo ma non con lo iodio e con l'azoto. Con quasi tutti i metalli reagisce lentamente a freddo, rapidamente e spesso violentemente a caldo, formando i corrispondenti solfuri.
Chimica: i composti dello zolfo
Nei suoi composti lo zolfo presenta numeri di ossidazione diversi, da quello -2 nel solfuro di idrogeno H2S e nei solfuri a quello +4 nell'anidride solforosa e nei solfiti e a quello +6 nell'anidride solforica, nell'acido solforico e nei solfati. Data la sua posizione nel sistema periodico degli elementi, lo zolfo tende a comportarsi come elemento elettronegativo, formando con gli elementi fortemente elettropositivi composti a carattere ionico, come per esempio il solfuro di sodio, e con gli altri elementi composti di tipo covalente, come per esempio il solfuro di carbonio, CS2, e i cloruri di zolfo SCl2 e S2Cl2, tutti liquidi volatili. Con il fluoro lo zolfo forma un difluoruro SF2, un tetrafluoruro SF4 e un esafluoruro SF6, tutti gassosi a temperatura ambiente. Tra i cloruri di zolfo quello più stabile è il monocloruro S2Cl2, che presenta una struttura Cl–S–S–Cl con un legame tra i due atomi di zolfo; è un liquido di colore rosso, che si ottiene per combinazione tra gli elementi e che ha trovato impiego in processi di vulcanizzazione della gomma. Per azione di un eccesso di cloro si trasforma nel dicloruro SCl2, anch'esso di colore rosso, e poi nel tetracloruro SCl4, solido e assai instabile. Tutti i cloruri dello zolfo reagiscono energicamente con l'acqua liberando acido cloridrico, anidride solforosa e zolfo elementare. Altri composti dello zolfo, come i solfuri, gli idrosolfiti, l'anidride solforosa, l'anidride solforica, gli acidi corrispondenti, ecc. sono sostanze di grande importanza tecnica.
Biochimica
Lo zolfo è uno degli elementi essenziali alla vita, trovandosi negli amminoacidi cisteina, cistina e metionina, in ormoni proteici quali l'insulina, l'ossitocina e la vasopressina, negli enzimi la cui attività enzimatica è legata alla presenza di uno o più gruppi solfidrici, e in alcune vitamine. Biologicamente rilevante è il ciclo dello zolfo in natura: i solfati presenti nel terreno vengono sintetizzati dai vegetali, raggiungendo, tramite le proteine vegetali, gli organismi animali; questi ultimi, in parte nelle urine, in parte attraverso i processi di putrefazione a opera dei batteri aerobi e anaerobi, eliminano, rispettivamente sotto forma di solfato e di idrogeno solforato, lo zolfo, che ritorna così al terreno, ricominciando il ciclo. Le formazioni geologiche terrestri contengono troppo poco zolfo per giustificare la quantità di solfati presenti nelle acque e disponibili per la biosfera. Infatti, la maggior parte dello zolfo proviene dall'atmosfera dove esso è presente sotto forma di idrogeno solforato e di anidride solforosa, composti volatili che si combinano con il vapore acqueo e con la pioggia, e sono trasportati verso la litosfera e l'idrosfera, sotto forma di ioni solfato. Un'altra fonte di solfati è rappresentata dalla decomposizione delle sostanze organiche e la messa in circolazione dello zolfo presente nelle proteine vegetali e animali. Lo zolfo atmosferico deriva per ca. il 40% dalle attività umane che utilizzano combustibili contenenti zolfo (carbone, petrolio, gas di petrolio liquefatto, legno, biomasse), il restante 60% proviene dall'idrosfera dove sono presenti batteri (detti appunto solfobatteri) che metabolizzano i solfati presenti nelle acque producendo acido solfidrico che è volatile. Lo zolfo finemente suddiviso in è tossico in quantità massicce. Lo zolfo elementare è poco solubile, ma reagisce direttamente con le proteine formando solfuro di idrogeno, il più tossico composto inorganico dello zolfo; esso infatti, oltre a irritare le vie respiratorie e gli occhi, è un veleno del sistema nervoso in grado di portare alla morte. Si ritiene che nell'aria una concentrazione di 0,028 g/m3 sia la massima tollerabile, anche se sopportabile per alcune ore. Analoga azione sul sistema nervoso è provocata dal solfuro di carbonio. Minore tossicità presenta il biossido di zolfo, che tuttavia, formando acido solforico sulle superfici umide e quindi sulle mucose, irrita le vie respiratorie. Non si è invece avuta conferma che il pulviscolo di zolfo, assorbito dai polmoni durante l'estrazione e la lavorazione dello zolfo, provochi danni gravi.
Industria: produzione
La produzione mondiale di zolfo viene assorbita da impieghi diversi, tra i quali il più importante è quello dell'industria chimica per la produzione di suoi composti, tra cui soprattutto l'acido solforico, l'anidride solforosa e i solfiti, il solfuro di carbonio, ecc. Quantità minori ma pur sempre elevate vengono poi assorbite dai processi di vulcanizzazione della gomma, dall'uso agricolo, in particolare quello in viticoltura contro l'oidio, dalla produzione dei coloranti cosiddetti allo zolfo ecc. Un uso tradizionale è quello, accanto al salnitro e al carbone, nella preparazione della polvere pirica.