solfùro

sm. [sec. XVIII; da solfo]. Composto chimico binario costituito dallo zolfo e da un elemento più elettropositivo dello zolfo stesso, nel quale lo zolfo si comporta da elemento bivalente, come per esempio nel solfuro di sodio, Na₂S, e nel solfuro di carbonio, CS₂. I composti binari dello zolfo con elementi più elettronegativi si indicano invece con altri nomi (per esempio il composto SCl₂col nome di cloruro di zolfo). I solfuri dei metalli pesanti sono composti a carattere di sali e possono considerarsi come sali dell'acido solfidrico, H₂S: oltre ai sali neutri del tipo Na₂S, senz'altro indicati con il nome di solfuro, l'acido solfidrico può formare con i metalli alcalini e alcalino-terrosi dei sali acidi o idrogenosali, comunemente indicati con il nome di solfidrati (per esempio quello di sodio, NaHS). I solfuri dei metalli alcalini sono molto solubili in acqua, quelli neutri dei metalli alcalino-terrosi poco solubili e quelli dei metalli pesanti, che sono in genere di colore nero o molto scuro, del tutto insolubili; molti solfuri vengono decomposti dagli acidi forti, anche diluiti, sviluppando acido solfidrico gassoso, altri, come quelli di rame, di mercurio, di argento, di piombo ecc., sono insolubili negli acidi diluiti e precipitano dalle soluzioni dei sali del metallo facendovi gorgogliare una corrente di acido solfidrico. Vari solfuri costituiscono in natura minerali importanti e diffusi, come la galena, la blenda, il cinabro ecc. Altri si preparano per azione di acido solfidrico sugli ossidi, sugli idrossidi ed eventualmente sui sali dei corrispondenti metalli, oppure per sintesi diretta dagli elementi, oppure ancora riducendo i corrispondenti solfati con carbone ad alta temperatura. I solfuri degli elementi a carattere debolmente elettropositivo sono invece composti di tipo covalente, come il solfuro di carbonio, il quale, a differenza dei solfuri metallici che sono tutti solidi a temperatura ambiente, è un liquido facilmente volatile.