Definizione

Sf. [sec. XIV; dal greco galaksías]. Sistema stellare costituito da miliardi di stelle. In particolare, con l'iniziale maiuscola, indica quella galassia di cui fa parte il Sole. Questa è detta anche Via Lattea, nome che deriva da quella fascia biancastra e debolmente luminosa che percorre il cielo, pressappoco lungo un circolo massimo, attraverso le costellazioni di Aquila, Cigno, Cefeo, Cassiopea, Perseo, Auriga, Toro, Gemelli e Orione nell'emisfero boreale e dell'Unicorno, Poppa, Vela, Squadra, Scorpione e Sagittario nell'emisfero australe, e che rappresenta l'insieme di stelle disposte sul piano galattico visto dall'interno. Le altre galassie sono state in passato chiamate nebulose extragalattiche, per rendere conto dell'aspetto nebulare che, nella maggior parte dei casi, esse presentavano all'osservazione anche con potenti telescopi, nonché per confermare il fatto che tali oggetti non appartengono alla nostra Galassia, come dimostrò, nel 1926, E.P. Hubble, individuando le stelle componenti di alcune di esse.

Via Lattea: mitologia e prime interpretazioni scientifiche

Fin dall'antichità si è tentato di dare una spiegazione e di rappresentare in qualche modo il fenomeno della Via Lattea. Gli antichi Cinesi e gli Arabi vi scorsero un fiume celeste, mentre i Siamesi vi videro la pista percorsa dall'elefante bianco. Secondo la mitologia greca, la Via Lattea era la traccia lasciata da alcune gocce di latte sfuggite al seno di Giunone, e anche quella dell'incendio cosmico provocato dal carro del Sole guidato dall'inesperta mano di Fetonte. Le prime speculazioni sulla vera natura della Via Lattea risalgono ad Aristotele, Teofrasto e Democrito, che sembra sia stato il solo a intuirne la struttura siderale. Nel 1610, dopo aver perfezionato il cannocchiale, Galileo poté infine confermare che alcune plaghe della cintura celeste risultavano effettivamente risolubili in stelle. Un secolo e mezzo più tardi, l'inglese Th. Wright ebbe il merito di dare una corretta interpretazione della struttura d'insieme della Via Lattea.

Via Lattea: struttura e dimensioni

Le ricerche sulla struttura e sulle caratteristiche della Galassia si presentano difficili, perché l'osservatore terrestre si trova all'interno del sistema da osservare; ciononostante, già nel sec. XVIII W. Herschel, basandosi sulla distribuzione e sul numero di stelle delle diverse magnitudini osservate in alcune zone del cielo, aveva attribuito alla Galassia una forma lenticolare, confermata nei primi anni del sec. XX da J.C. Kapteyn. Sia il metodo di Herschel, sia quello di Kapteyn si rivelarono tuttavia insufficienti a causa della scarsa potenza dei telescopi impiegati, ma soprattutto perché non è possibile osservare visualmente tutta la Galassia. Sempre nella prima metà del sec. XX H. Shapley fornì una prima misura delle dimensioni della Galassia: egli si accorse, infatti, che gli ammassi globulari sono distribuiti su tutta la volta celeste in modo più o meno uniforme e concluse, da misure sulla stella variabile RR Lyrae appartenente agli ammassi stessi, che questi costituivano una specie di alone attorno al piano galattico, del diametro di 75.000 parsec, con il centro nella direzione della costellazione del Sagittario. Tale valore fu successivamente ridotto in base a nuovi calcoli sulle distanze stellari e per tener conto anche dell'assorbimento interstellare. Si venne così a creare una immagine della Galassia come un grande disco a spirale un po' schiacciata, del diametro massimo di ca. 90-100.000 anni luce, più gonfio al centro che sui bordi, composto da innumerevoli stelle immerse in nubi di gas e polveri interstellari, localmente concentrate rispettivamente in ammassi e nebulose; il disco ha uno spessore medio da 10.000 a 15.000 anni luce ed è avvolto in un alone pressoché sferico di ammassi globulari e stelle singole. Due di tali ammassi vennero successivamente riconosciuti come galassie poste a poca distanza dalla nostra (Nubi di Magellano). I diversi tipi di stelle non sono distribuiti uniformemente nella Galassia: le stelle di tipo O, le variabili cefeidi, le supergiganti, le associazioni O, gli ammassi aperti sono concentrati quasi esclusivamente sul piano galattico; le stelle di tipo spettrale più avanzato, le nebulose planetarie, le novae, le variabili a breve periodo RR Lyrae hanno una distribuzione più ampia, mentre gli ammassi globulari e le variabili a lungo periodo RR Lyrae presentano una distribuzione pressoché sferica. Le differenze fra le posizioni dei vari tipi di stelle nella Galassia, nonché le differenze nei rispettivi diagrammi magnitudine-indice di colore, condussero W. Baade a definire, nel 1944, il concetto di popolazione stellare, a sua volta legato all'età delle stelle che le compongono. Lo stesso metodo dei conteggi stellari adoperato da Herschel per determinare la forma della Galassia, fu applicato in forma più esatta, contando cioè il numero di stelle dei diversi tipi spettrali e delle diverse magnitudini in varie direzioni e portò alla conclusione che il Sole non si trova esattamente nel piano dell'equatore galattico (cerchio massimo perpendicolare all'asse di rotazione della Galassia e posto a 1º a N della linea centrale della Via Lattea), ma a una distanza da questo di 15 parsec verso N (assumendo che il polo N galattico, cioè la direzione N dell'asse di rotazione del disco galattico, si trovi nello stesso emisfero del polo N celeste con il quale forma un angolo di 62º). Dalle stesse misure, applicate in particolare alle stelle O e B e, in senso lato, anche alle nebulosità di gas ionizzato, si dedusse, fra il 1920 e il 1930, che anche nella Galassia esistono bracci a spirale, almeno in prossimità del Sole. Solo con l'avvento delle tecniche radioastronomiche, in particolare con l'osservazione della riga di 21 cm dell'idrogeno neutro, divenne possibile tracciare, fra il 1950 e il 1960, la posizione esatta di tali bracci, anche di quelli quasi in direzione opposta al centro galattico. Il Sole risultò così collocato sul lato interno di un braccio, detto braccio di Orione perché le associazioni O che vi si trovano sono visibili nella costellazione di Orione; la distanza del Sole dal centro della Galassia risulta pertanto di ca. 10.000 parsec. Più all'esterno si trova il braccio di Perseo, mentre più all'interno c'è il braccio del Sagittario. Negli ultimi decenni del sec. XX, sempre grazie a tecniche radioastronomiche, è stata realizzata una mappa dettagliata in cui sono riportati 4 bracci di spirale noti, uscenti dal centro della Galassia. Nel 2004, inoltre, è stato identificato con chiarezza un quinto braccio di spirale, che, però, a differenza dei precedenti, resta tutto nella porzione esterna del disco galattico. Questo braccio ha l'aspetto di una zona ad alta densità di idrogeno neutro, con origine a circa 60.000 anni luce dal centro galattico e si dipana verso l'esterno giungendo sino a 80.000 anni luce dal centro. È possibile, però, che in esso non si trovino stelle. Altro risultato della radioastronomia è stata la conferma che la Galassia è dotata di moto di rotazione attorno a se stessa, moto già previsto su basi teoriche in quanto bilancia, tramite l'accelerazione centrifuga da esso generata, l'attrazione gravitazionale che provocherebbe il collasso gravitazionale della Galassia verso il suo centro. Infatti, già nei primi decenni del sec. XX, lo studio dei moti propri e delle velocità radiali delle stelle nei pressi del Sole aveva permesso di effettuare una correlazione, soprattutto per opera di J. Oort, fra movimento, distanza dal Sole e longitudine galattica. La misura delle velocità radiali delle stelle, corretta per il moto peculiare del Sole verso il suo apice nella costellazione di Ercole, presenta, in funzione della longitudine galattica, l'andamento conforme a una rotazione galattica differenziale. La Galassia non ruota come un corpo solido: le sue diverse parti hanno differenti velocità, che crescono portandosi dal centro verso l'esterno e si stabilizzano su valori di 230 km/s, a una distanza dell'ordine di quella del Sole dal centro galattico, mentre per distanze superiori decrescono leggermente. Molto più complesso risulta il moto delle masse di gas e delle stelle che compongono il centro galattico (che, fra l'altro, è un'intensa sorgente di radiazione X e γ, indicando la presenza di fenomeni a livelli energetici piuttosto elevati). Dall'insieme delle osservazioni emergerebbe comunque che la rotazione galattica avviene in senso orario (vista dal polo N galattico), accompagnata da complessi fenomeni di espansione, sia del nucleo galattico sia dei bracci. Dalla terza legge di Keplero, applicata al periodo di rivoluzione del Sole attorno al centro galattico (valutato in ca. 200 milioni di anni), è possibile calcolare la massa totale di stelle contenuta in una sfera avente raggio uguale a quello dell'orbita solare galattica e per la Galassia si ottiene una massa dell'ordine di 160 miliardi di masse solari, concentrata in buona parte del nucleo. Misure radioastronomiche fanno inoltre ritenere che solo l'1,5% della massa galattica sia costituita da gas e polveri; la densità media galattica è allora di 0,1 masse solari al parsec cubico, ovvero di 7 · 10–23 g/cm3.

Via Lattea: campo magnetico ed età

La Galassia possiede un campo magnetico di intensità piuttosto bassa, al massimo di alcuni milionesimi di gauss, sufficiente comunque per produrre un allineamento delle particelle di polvere interstellare, osservabile mediante la polarizzazione della radiazione sia ottica sia radio. Il campo magnetico galattico, orientato presumibilmente lungo i bracci galattici, è responsabile anche delle radiazioni di fondo galattiche a lunghezze d'onda decametriche e, molto probabilmente, anche dell'evoluzione della struttura dei bracci a spirale. A questo proposito, le osservazioni dirette sono poche e quasi tutte le informazioni sono state dedotte dall'osservazione di altre galassie. L'unico dato relativamente sicuro è quello dell'età (misurata dall'età delle più antiche stelle dell'alone), che non può essere inferiore a 10 miliardi d'anni. .

Via Lattea: centro galattico

Grazie alle ricerche nell'infrarosso effettuate da diversi satelliti astronomici, tra cui IRAS e COBE, e grazie anche alla strumentazione per l'astronomia nell'infrarosso installata a partire dalla fine degli anni Sessanta del sec. XX sulla sommità del Mauna Kea (Hawaii), è stato possibile acquisire una buona conoscenza delle strutture più interne della nostra Galassia. Fra l'altro, è diventato quasi certo che il suo bulbo possegga una conformazione “a barra”. La zona della nostra Galassia su cui però si concentrano maggiormente le osservazioni è il centro galattico. Di esso sappiamo ancora poco; infatti la presenza delle polveri interstellari interposte tra noi e il nucleo galattico, assorbendo la radiazione visibile e ultravioletta, impedisce l'osservazione ottica di questa regione. L'osservazione è invece possibile nelle due regioni opposte dello spettro, cioè nella regione dei raggi X e in quella infrarossa e delle onde radio. Nel primo caso si tratta di radiazione altamente energetica che riesce ad attraversare la barriera delle polveri, nel secondo di radiazione di lunghezza d'onda tale da superare lo schermo rappresentato dai grani che costituiscono la polvere. Oggi sappiamo che la zona centrale della Galassia, di ca. 800 parsec di diametro, è costituita da un agglomerato di idrogeno neutro in rapida rotazione, entro cui si osservano nubi di idrogeno ionizzato, del radicale OH e di altre molecole interstellari più complesse. Da questa zona fuoriesce materia in rapida espansione sia lungo due bracci a spirale scoperti dai radiotelescopi (a distanza compresa tra 500 e 1000 parsec dal centro stesso e da parti opposte di esso rispetto al Sole) sia in direzioni oblique rispetto al piano equatoriale. Il fenomeno che dà origine a questa espansione è tuttora incerto; si tratta forse di gas espulsi in un'esplosione avvenuta in tempi remoti nel centro galattico. Nella parte più interna esistono alte concentrazioni di stelle di popolazione vecchia e piccoli e densi ammassi globulari. Questa zona è anche la sorgente della radiazione X scoperta dal satellite artificiale Uhuru nel 1971 e studiata in anni più recenti dall'osservatorio spaziale per raggi X Chandra. La ristretta zona centrale di ca. 20 parsec di diametro è sede di un'intensa radiosorgente, nota con il nome di Sagittarius A, in realtà composta da cinque sorgenti distinte, la più intensa delle quali corrisponde, come posizione, al centro dinamico della Galassia. Quest'ultima zona corrisponde pure a un'intensa sorgente di radiazione infrarossa, indice della presenza di masse di polveri e di associazioni molecolari (preponderante il carbonio e i suoi ossidi). Si ritiene che il parsec centrale sia costipato di astri supermassicci in frequente e reciproca interazione e sia occupato anche da un buco nero di grande massa; secondo le stime cinematiche compiute con il telescopio Keck, nello spazio di pochi mesi luce intorno al nucleo della Galassia sarebbe infatti racchiusa una massa pari a circa 2,5 milioni di volte la massa solare.

Galassie esterne: distribuzione nell'Universo

Alcune galassie hanno un nome proprio, altre vengono indicate solo con il numero d'ordine dei cataloghi nei quali sono elencate. Le galassie sono distribuite pressoché uniformemente in tutto l'Universo: le osservazioni pionieristiche di Hubble con il telescopio di 2,50 m di monte Wilson, effettuate sul 20% ca. di tutta la volta celeste, avevano dato conteggi di oltre 43.000 galassie fino alla 20a magnitudine apparente. Più recentemente, con il Telescopio Spaziale Hubble, sono state osservate due piccole regioni di cielo (1 minuto d'arco circa), poste ad alte latitudini galattiche (Hubble Deep Field Nord e Sud), dove la presenza di stelle della nostra Galassia è molto ridotta. Nelle due piccolissime zone esplorate dalle Hubble Deep Field (circa 3 centomilionesimi di tutta la sfera celeste), sono state trovate oltre 4000 galassie fino alla 30a magnitudine, il che permette di stimare che il numero di galassie presenti nell'intera volta celeste è superiore ai cento miliardi. La distribuzione delle galassie nell'Universo è importante al fine di determinare la struttura e l'origine di quest'ultimo. Il dibattito scientifico sulla distribuzione della materia su grande scala nell'Universo è molto acceso; secondo alcuni scienziati tale distribuzione avrebbe caratteristiche frattali, piuttosto che uniformi. Risposte valide a tale riguardo si aspettano dalla mappa di un quarto dell'intera volta celeste elaborata mediante il progetto Sloan Digital Sky Survey che utilizza un telescopio dedicato di 2,5 m situato all'Apache Point Observatory nel New Mexico (USA), studiato per fornire le posizioni e la luminosità assolute di più di 100 milioni di oggetti celesti, oltreché le distanze di circa un milione di galassie relativamente vicine e di 100.000 quasar.

Galassie esterne: red shift e distanze

Un dato di notevole interesse cosmologico relativo alle galassie è lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso (red shift), che costituisce l'unico dato relativo al loro movimento, in quanto la loro enorme distanza rende impossibile la misurazione, anche su intervalli di tempo molto lunghi, dei moti propri (quelli trasversali). Nel corso delle sue ricerche sulle distanze galattiche, Hubble scoprì che le galassie presentano un red shift proporzionale alla rispettiva distanza da noi con costante di proporzionalità, detta di Hubble, uguale, secondo le valutazioni effettuate con il Telescopio Spaziale Hubble, a 72 km/s Mpc. Per quanto riguarda le interpretazioni cosmologiche di tale legge, sicuramente valida per tutte le galassie per le quali sono possibili misure di distanza, si veda la voce Universo. Misure di distanza delle galassie sono possibili con una certa precisione solo fino a circa 20 milioni di parsec, distanza alla quale sono ancora singolarmente osservabili le stelle variabili cefeidi; oltre questa distanza sono utilizzabili principalmente metodi statistici fotometrici, basati sulle misure di magnitudini apparenti confrontate con le magnitudini apparenti teoriche calcolate nell'ipotesi che tutte le galassie possiedano la stessa magnitudine assoluta (dedotta da quelle galassie di cui sia stata misurata la distanza), che abbiano tutte le stesse dimensioni e che, naturalmente, non vi sia del materiale intergalattico assorbente. Misure di distanza si possono ottenere anche, ma con precisione molto inferiore, da misure di diametri angolari effettuate fotograficamente, nell'ipotesi che le galassie dello stesso tipo abbiano tutte le stesse dimensioni.

Galassie esterne: dimensioni e composizione

Le misure dei diametri apparenti delle galassie (ovvero dei diametri assoluti, qualora se ne conoscano le distanze da noi) presentano gli stessi problemi delle misure di magnitudine, per le difficoltà di misurare con esattezza la posizione dei bordi sfumati dell'immagine galattica. Le misure effettuate hanno fornito valori compresi fra 2 e 50 kpc per le galassie a spirale e intorno a pochi chiloparsec per le galassie ellittichecon l'evidente eccezione delle galassie ellittiche giganti che si trovano in prevalenza al centro di ammassi di galassie, le cui dimensioni sono considerevolmente più grandi (ben oltre i 100 kpc) e che alcuni scienziati ritengono che siano il risultato di collisioni di più galassie; la nostra Galassia, avendo un diametro di ca. 30 kpc, si presenta come una galassia di tipo medio. Di una galassia posta a una distanza così grande che non si possano distinguere le singole stelle, si può osservare solo la magnitudine integrata di tutti i corpi che la compongono: ciò vale anche per il suo tipo spettrale, che viene valutato come la media dei tipi spettrali di tutte le stelle presenti, nonché del materiale interstellare.

Raggruppamenti di galassie: il Gruppo Locale

Le galassie si trovano prevalentemente raggruppate in ammassi, contenenti da pochi oggetti fino a migliaia di g.; a loro volta gli ammassi di g. non si distribuiscono uniformemente, ma tendono a formare le strutture più grandi nell'Universo, i superammassi, al di sopra del quale l'Universo stesso appare uniforme. Ammassi e superammassi rappresentano uno scenario sistematico nell'Universo e ne riflettono nel modo più diretto i primitivi processi di aggregazione della materia. Lo spazio circostante la nostra Galassia contiene almeno dieci strutture satelliti, fra le quali si contano le due Nubi di Magellano (1/10 della massa della Galassia) e le due galassie Maffei: le rimanenti, galassie nane del tipo Scultore, non superano le dimensioni di 300 parsec circa e contengono una massa cento volte inferiore a quella della Via Lattea. A loro volta, insieme alla celebre galassia spirale M31 in Andromeda (con i suoi due satelliti maggiori), alla grande spirale M33 nel Triangolo, e a una decina di altre formazioni, la Via Lattea e le sue associate fanno parte del cosiddetto Gruppo Locale di galassie. Sono state constatate interazioni dirette fra la Via Lattea e i suoi satelliti; per esempio sussiste una corrente gassosa che trasferisce materia (idrogeno) dalle Nubi di Magellano per alimentare un disco di materia diffusa, sei volte più ampio, che le gravita intorno e il cui piano sembra piegarsi in bande opposte, distaccandosi da quello galattico, forse a causa di influenze gravitazionali o di tipo magnetico. In effetti, la Via Lattea è apparsa essere il prodotto della confluenza di strutture più antiche, per un processo che si dimostra ancora attivo in quanto, oltre al menzionato assorbimento delle due Nubi di Magellano e di alcune altre formazioni minori (alle quali si ritiene appartengano 175 stelle nane blu, scoperte nelle regioni periferiche della Via Lattea), l'evoluzione della Galassia studiata per mezzo di modelli computerizzati mostra che il suo destino si concluderà con il suo fagocitamento da parte della M31, tre volte più massiccia. La M31 dal canto suo, sarebbe stata causa, in passato, della suddivisione di un'unica galassia nelle due attuali Maffei-1 e IC 342, appartenenti al Gruppo Locale. Si ritiene che i ripetuti fenomeni di assorbimento di strutture esterne – grazie all'afflusso di materiale sempre “fresco” – prolunghi nel tempo i processi di formazione stellare, per cui parrebbe opportuno effettuare di una revisione del potere radiativo attribuito alle stelle considerate più vecchie.

Evoluzione

I processi dinamici che, oltre 10 miliardi di anni fa, si ritiene abbiano presieduto alla formazione di ogni complesso siderale simile alla nostra Galassia, spirale tipica, sono stati analizzati da numerosi teorici (C. von Weizsäcker, V.A. Marsakov, A. Sandage, F. Bertola, A. McClure ecc.) e confrontati con una mole imponente di osservazioni. Sostanzialmente, ne risulta che all'interno di una massa gassosa (idrogeno ed elio) dell'ordine di 100-130.000 anni luce di diametro, originariamente omogenea e in equilibrio fra la pressione interna e le forze autogravitazionali, l'inevitabile verificarsi di condensazioni locali abbia dato inizio, insieme alla formazione di ammassi di protostelle e alla dissipazione radiativa, a un complesso di moti turbolenti che, nel corso del tempo, si è tradotto nell'ordinata rotazione assiale di tutta la massa. Con il progredire della concentrazione di volume e, di conseguenza, con l'incremento della rotazione e delle forze centrifughe sulle componenti gassose e corpuscolari (ma non sulle masse già condensate in stelle), prese a svilupparsi l'azione degli attriti interni e delle viscosità, con il risultato di far loro perdere momento angolare e di trascinarle progressivamente verso il centro di massa e sul piano equatoriale. Il meccanismo giustifica in modo soddisfacente la formazione dei bulbi galattici e dei loro dischi e spiega anche la selezione spaziale delle popolazioni stellari, perché dimostra che le protocondensazioni che dettero origine agli ammassi globulari e alle stelle singole si sottrassero all'appiattimento cui andò incontro la componente diffusa, poiché rimasero sempre isolate da ogni interazione con tale componente e in libera gravitazione secondo orbite comunque orientate. Questa prima generazione stellare andò perciò a delineare i sistemi a simmetria sferica degli aloni galattici, costituiti da stelle di popolazione II (variabili RR Lyrae e giganti rosse) vecchie di età e povere di elementi metallici. Al contrario, nei dischi, l'abbondanza di materiale disponibile favorì la nascita di associazioni di astri di grande massa, destinate a evolvere rapidamente in supernovae che andarono ad arricchire di elementi chimici complessi la locale componente diffusa. In corrispondenza con i dischi galattici, le successive generazioni di stelle furono perciò caratterizzate dall'abbondanza di giganti e supergiganti blu (tipi O, B, A) e di astri chimicamente complessi (tipi A, F, G e stelle peculiari), vale a dire dalle stelle che vanno annoverate nella popolazione I, cui appartiene il Sole. Una classifica più rigorosa delle tipologie introduce in realtà maggiori dettagli, in quanto opera una distinzione fra popolazione I estrema e vecchia popolazione I, fra popolazione II di alone e popolazione II intermedia e, infine, popolazione del disco, in quanto attribuisce le differenti varietà al concludersi di fasi evolutive discontinue. Per quel che concerne la morfologia dei dischi galattici, è noto che questi manifestano una tipica struttura a spirale. Il meccanismo che ne presiede la genesi non è stato mai giustificato a sufficienza prima degli anni Sessanta, quando cominciò a riscuotere approvazione la teoria sviluppata dagli astrofisici C.C. Lin e F.H. Shu. Secondo tale teoria, i bulbi galattici appaiono notoriamente sede di attività violenta in conseguenza della quale, come numerose prove attestano, è possibile lo sviluppo di perturbazioni di tipo esplosivo sotto forma di “fronti d'urto”, che vengono spinti a propagarsi in direzioni radiali e contrapposte, attraverso la materia distribuita sul disco equatoriale rotante. Il fronte compressivo progredirà, allora, secondo la risultante dei due movimenti, una spirale appunto, che sarà tanto più sviluppata quanto maggiori saranno l'energia che anima la perturbazione e la rapidità della rotazione del disco. La teoria di Lin e Shu prevede che, lungo quella spirale, la densità della materia subisca incrementi pari a qualche decina di volte, sufficienti perciò a innescare, lungo la traiettoria, condensazioni di stelle e luminescenza gassosa. In tal modo, verrebbero a materializzarsi e a rendersi otticamente visibili i caratteristici bracci di cui tante galassie sono dotate. Contrariamente a quanto si credeva in passato, appare ora chiaro che una parte preponderante delle galassie possiede strutture interne “a barre”. La tesi ha trovato conferma determinante non appena le indagini in infrarosso da parte del satellite COBE hanno mostrato che anche nel bulbo (il rigonfiamento centrale del disco) della Via Lattea sussistono chiari indizi di struttura barrata. Una tale presenza sembra influire in maniera sensibile anche sull'evoluzione morfologica delle regioni galattiche centrali, in quanto essa susciterebbe correnti centripete sulla materia gassosa all'interno della “barra” e movimenti centrifughi su quella esterna. Come risultato, la concentrazione del bulbo galattico ne verrebbe accresciuta e verrebbe anche alimentata la formazione di involucri di materia interstellare (ISM) di diametro doppio della lunghezza della “barra” centrale. I radiorilevamenti sulle regioni interne della Via Lattea – con i quali è stato in effetti localizzato il gigantesco anello di nubi molecolari a 13.000 anni luce dal centro dinamico – fornirebbero una conferma indiretta dell'esistenza di una struttura barrata interna, di pari lunghezza. L'evoluzione dei modelli galattici computerizzati indica, inoltre, che alla formazione iniziale del sottile disco equatoriale rotante segue un processo di pura natura termodinamica che induce i punti-test a diffondere fuori dal disco. Gran parte della popolazione stellare dell'alone galattico dovrebbe, quindi, considerarsi il risultato di questa tendenza che, per quel che riguarda la Via Lattea, significa il raggiungimento di un crescente disordine. La medesima analisi mostra che anche le eventuali strutture spiraliformi (o “a barra”), una volta formatesi nel disco, sono destinate a distruggersi con il tempo; cosicché il risultato finale sarebbe la formazione di una galassia del tipo sferoidale, o ellittico. Come mai, si domandano gli astronomi, questo stadio non è stato ancora raggiunto dalla Via Lattea? Il problema sorge nel constatare l'attuale cospicuità del suo disco equatoriale. Secondo il regime di genesi stellare ipotizzato nel passato, la galassia avrebbe dovuto aver esaurito da tempo il proprio materiale ISM e, con esso, i processi per nuove formazioni di stelle. Nel frattempo, la diffusione termodinamica avrebbe dovuto allontanare dal piano del disco le vecchie generazioni di astri. Il sospetto, quindi, che il disco della Via Lattea continui a venire rifornito di materiale ISM esterno sta trovando credito crescente e apre nuove e inaspettate visioni sui reali processi evolutivi che modellano le grandi galassie. Un processo chiamato in causa riguarda la nascita per accorpamento successivo di componenti ISM fredde e oscure, piuttosto che a seguito della concentrazione di un'unica massa iniziale. Qualora si tratti di componenti equivalenti, il processo generativo consisterebbe in un meccanismo di coalescenza; viceversa, si definisce “cannibalismo” il processo mediante il quale sono le strutture minori a venire incorporate in una struttura più cospicua. Le osservazioni forniscono ormai numerose prove a conferma degli esiti prodotti da questi processi di accorpamento: galassie dotate di due o più bulbi (NGC 4486B), oppure prive di bulbo e ridotte alle sole regioni periferiche, e anche galassie in seno alle quali la scoperta di parti controrotanti (NGC 3626, NGC 4550) indica il permanere di situazioni dinamiche risalenti a organismi in origine estranei fra loro. Nei confronti della Via Lattea esistono anche convincenti indizi che essa possa essere effettivamente il prodotto della confluenza di strutture più antiche, processo che si dimostra tuttora attivo essendosi riscontrate interazioni palesi con i suoi numerosi satelliti (le due Nubi di Magellano, le recentissime Dwingeloo 1 e la galassia nana del Sagittario, e le quattro o cinque galassie nane del tipo Scultore). Per esempio, dalle Nubi di Magellano (1/10 della massa della Via Lattea) si origina una corrente gassosa che trasferisce idrogeno in un disco esterno a quello galattico (e sei volte più ampio), il cui piano appare piegato da bande opposte, forse a causa di influenze di natura gravitazionale o magnetica. Inoltre, l'individuazione di circa 200 stelle nane blu nelle regioni periferiche della Via Lattea lascia supporre che esse rappresentino i relitti di strutture minori assorbite nel passato. In questo scenario appare infine abbastanza probabile che – fra qualche miliardo di anni – la nostra Galassia verrà fagocitata da parte della celebre spirale M 31, in Andromeda, tre volte più massiccia .

Classificazione

Le galassie a spirale contribuiscono soltanto in misura parziale alla tipologia complessiva. Hubble nel 1925 propose una classificazione che non è certamente l'unica possibile, ma che viene tuttora utilizzata; essa prende inizialmente in considerazione le galassie di forma sferica o ellittica (il 18% del numero totale) contrassegnate dalla lettera E seguita da un numero compreso fra 0 e 7, secondo il grado crescente di appiattimento. Segue la biforcazione del ramo delle spirali normali, contrassegnate dalla lettera S e dagli indici a, b, c, secondo lo sviluppo crescente dei bracci e secondo quello delle spirali barrate, indicate con SB e con gli indici a, b, c. Bassa è la percentuale delle galassie di forma irregolare o nane (queste ultime contraddistinte dalla bassissima concentrazione siderale e dall'assenza di un vero nucleo centrale). Una tipica aggiunta a questo schema è l'introduzione delle galassie lenticolari (S0) una via intermedia tra ellittiche e spirali, caratterizzate dalla presenza di un nucleo e dall'assenza dei bracci a spirale. Lo sviluppo delle coppie di fronti d'urto radiali e contrapposte, presenti nella teoria di Lin e Shu, appare decisamente visibile nelle galassie del tipo SB in corrispondenza della “barra” caratteristica, alle cui due estremità iniziano poi ad avvolgersi i bracci spiraliformi. Se le galassie sviluppino le loro appendici in una fase anteriore, per poi disperderle, riducendosi al tipo ellittico, anche a causa di interazioni reciproche distruttive, ovvero se avvenga il contrario, costituisce un problema aperto. Le differenze morfologiche si riflettono, inoltre, anche in differenze nel contenuto galattico: le galassie spirali e quelle irregolari sono più ricche di gas interstellare e sono sede di attiva formazione stellare, al contrario delle ellittiche, che sono quasi del tutto prive di gas e quindi non formano quasi più stelle. Come conseguenza le galassie ellittiche non possiedono stelle dei tipi spettrali più primitivi (stelle O, B) e i loro colori integrati sono più uniformi e più rossi.

Protogalassie: tipologie e sviluppo

Il problema fondamentale dello studioso che si occupa di formazione galattica è capire le ragioni della grande varietà morfologica e strutturale che si osserva per le galassie e di come questa sia da porre in relazione alle differenti condizioni ambientali in cui ciascun oggetto si trova immerso. Egli si propone di rispondere a domande del tipo: quando e come si sono formate le galassie? È stato un processo formativo unico o continuo ed è tuttora in atto? Fino a che punto le varie morfologie sono da attribuirsi esclusivamente a condizioni iniziali “congenite” piuttosto che a influenze ambientali, come l'interazione con galassie vicine? Lo scenario formativo ritenuto più probabile è quello gerarchico secondo il quale dapprima si sarebbero formate, per contrazione gravitazionale di nubi gassose, protogalassie discoidali relativamente piccole che in seguito si sarebbero fuse l'una con l'altra (sempre per attrazione gravitazionale) accrescendo iterativamente strutture sempre più grandi. Questo implica che gli oggetti nati in zone a bassa densità di materia hanno avuto il tempo di evolvere in modo più indisturbato, addensando su di sé il gas intergalattico nella consueta configurazione discoidale rotante (dovuta alla conservazione del momento angolare del gas in contrazione) e dando luogo a una continua formazione di nuove stelle (in corrispondenza delle locali frammentazioni nella nube gassosa), così come avviene nelle galassie a spirale tipo la nostra. Laddove l'ambiente intergalattico risultava più denso di materia, gli episodi di interazione, collisione e fusione tra galassie vicine sono stati più frequenti. Tali processi hanno prodotto, sulla componente gassosa delle galassie formatesi in queste regioni, onde d'urto e compressioni accelerando notevolmente la nascita di stelle — dato che la formazione stellare si ha in corrispondenza di locali addensamenti di gas — e quindi consumando molto più rapidamente il materiale gassoso primordiale. Nel contempo, tali galassie hanno potuto accumulare più materia dalle regioni circostanti. Esse devono, quindi, essere più massicce, devono avere stelle in media più vecchie e un contenuto in gas nettamente inferiore, nonché mostrare una rotazione globale assai meno marcata — perché a causa delle interazioni il momento angolare iniziale non si è conservato — ed è ciò che si osserva per le galassie ellittiche. Non esistono tuttora testimonianze certe di protogalassie percepibili nelle regioni del cosmo poste ai limiti di penetrazione dei moderni mezzi d'indagine, né è ipotizzabile rinvenire qualche esemplare degli astri che le popolavano sopravvissuto, all'interno della nostra Galassia o in alcune vicine. In ogni caso, l'esistenza di una generazione di stelle, che abbia preceduto quelle attuali si deduce dalla constatazione che anche gli astri più vecchi individuati (per esempio le giganti rosse degli ammassi globulari con 10-14 miliardi di anni di età) presentano una composizione chimica sensibilmente contaminata da elementi più complessi di quelli che ci si aspetterebbe presenti nel fluido originario. Tali sostanze non possono essersi formate se non per via di processi di sintesi termonucleare, succedutisi all'interno di stelle appartenute a una generazione anteriore. Per induzione, è comunque possibile delineare la tipologia di una protogalassia: altissima luminosità per la presenza dominante di supergiganti blu; cospicua turbolenza del bulbo; intensa radiazione penetrante, dissipata nei molteplici e frequenti eventi di supernova, cui quel tipo di astri dovette certamente andare incontro nel giro delle poche centinaia di milioni d'anni della sua esistenza.

Protogalassie: radiazione di fondo

L'eco della radiazione complessivamente emessa dalle protogalassie (compresa la componente termica dissipata all'epoca delle prime fasi di condensazione e per riemissione da parte delle masse di gas e polveri disperse dalle supernovae) è percepibile ancora oggi nello spettro della radiazione cosmica di fondo. In effetti, l'osservatorio orbitante COBE (Cosmic Background Explorer), le apparecchiature dell'esperienza BOOMERANG e il satellite Wilkinson MAP hanno osservato, in modo sempre più preciso e più ampio, l'Universo al momento della formazione delle prime galassie e delle prime stelle, descrivendone anche la distribuzione. Le indagini condotte sullo spazio profondo con il telescopio spaziale Hubble e con le sue Hubble Deep Field hanno fornito altre informazioni interessanti: fra l'altro, quella di molte presenze, in ammassi localizzati a 10-12 miliardi di anni luce, di spezzoni di bracci di spirali, popolati da giganti e supergiganti blu, mescolate a galassie ellittiche evolute, a prevalente popolazione di stelle rosse. Il telescopio spaziale Hubble ha anche ripreso in alta risoluzione le strutture di alcuni cospicui ammassi di galassie remote che hanno fornito importanti elementi conoscitivi sulla statistica morfologica ed evolutiva delle galassie delle prime età. Le immagini mostrano concentrazioni di migliaia di galassie appartenenti a quasi tutte le forme classificate da Hubble; peraltro – a differenza di quanto si verifica negli ammassi a noi prossimi – il numero delle spirali e di quelle a disco risulta eccessivamente elevato rispetto alle ellittiche (circa il 30-35% della popolazione) indicando, probabilmente, che molte delle galassie ellittiche, in particolare quelle giganti, si sono formate con successive collisioni tra più oggetti. Va osservato che, al loro interno, gli effetti dovuti alle interazioni di tipo mareale o di coalescenza in atto si presentano molto profondi. Casi numerosissimi di frammentazione, o soltanto distorsione, dei loro piani equatoriali, di bulbi doppi, di “ponti” di collegamento stabilitisi fra membri diversi sono stati analizzati anche in simulazioni computerizzate e fanno comprendere che, mentre le galassie del tipo E possono considerarsi stabilizzate nella loro forma già in epoche assai vicine al big-bang, quelle di tipo S vanno incontro, col tempo, a elevate probabilità di distruzione o di alterazione, specialmente se si trovano nel cuore degli ammassi. Si comprende, quindi, come, negli ammassi vicini (più vecchi), le galassie a spirale popolino di preferenza (in misura non superiore al 5%) le regioni periferiche. Va anche ricordato che, nel corso delle campagne promosse per la ricerca delle galassie primordiali, ne è stata inaspettatamente individuata una categoria insolita, posta al limite delle possibilità dei maggiori strumenti. Tale categoria è costituita da un mezzo migliaio di BCD (Blue Compact Dwarf galaxies), galassie nane compatte appartenenti a tutti i tipi morfologici. La loro luminosità è bassa, in quanto è 100.000 volte più debole e dieci volte meno estesa di quella di una galassia normale. Esse, in ragione del contenuto – rappresentato in prevalenza da giovani astri caldi delle prime classi spettrali – sarebbero esempi di galassia di formazione recente o ancora perdurante. Il loro apparente (ma anche controverso) isolamento dagli altri ammassi di galassie sembrerebbe avvalorare questa ipotesi, giacché è da supporre che l'aggregazione con le formazioni maggiori (con eventuali fenomeni di fagocitazione) potrebbe rappresentare una fase evolutiva destinata a seguire nel tempo.

Galassie attive: radiogalassie

La presenza di cariche elettriche libere all'interno della materia diffusa, associate alla rotazione complessiva di tutto il sistema, produce in una galassia un campo magnetico generale, lungo il quale le cariche fluiscono, dissipando radiazione di sincrotrone, preferenzialmente concentrata nella banda delle radioonde. A livelli più o meno elevati, tutte le galassie sono quindi sorgenti di radiofrequenza. È noto che le regioni interne del nostro sistema siderale ne emettono, come anche quelle della vicina spirale in Andromeda M 31. Esistono, inoltre, galassie talmente attive in questa particolare banda elettromagnetica da rappresentare delle vere sorgenti peculiari, ossia le radiogalassie. La prima di esse fu scoperta nel 1944 nel Cigno ed è restata sempre la più potente sorgente di onde radio che si conosca (Cygnus A); altre vennero identificate nella Vergine (Virgo A, associata a un getto di plasma fuoriuscente dal nucleo della galassia ellittica M 87), e poi nel Centauro (Centaurus A, associata ad attività esplosiva in atto nella NGC 5128, anch'essa galassia di tipo E), nell'Orsa Maggiore (M 82), e così via, con una frequenza sempre maggiore di individuazioni da porre in relazione alle crescenti potenzialità dei radiotelescopi. Con la scoperta, a partire dagli anni Sessanta, dei quasar e delle galassie di Seyfert, il quadro delle galassie cosiddette attive, pur complicandosi in maniera notevole per quanto riguarda le caratteristiche osservative, è andato anche sempre meglio completandosi in un insieme organico e coerente. I quasar, confondibili con sorgenti stellari dotate, o meno, di variabilità in radiofrequenza, rappresentano in realtà bulbi galattici attivi, con luminosità migliaia di volte maggiore di tutti gli altri tipi di galassie attive. Le galassiedi Seyfert (scoperte da C.K. Seyfert fin dal 1943) possiedono nuclei concentrati, soverchianti in luminosità formazioni contigue, generalmente spiraliformi, e si comportano da radiosorgenti a flusso variabile. A esse è associata un'intensa componente infrarossa, che attesta la presenza di densi involucri di polveri. All'opposto, le galassie studiate da B. E. Markarian ( di Markarian) appaiono dotate di eccesso in ultravioletto di natura non termica. Anche i bulbi delle galassie N di Morgan appaiono concentrati e dotati di brillanza elevata nei confronti di un fondo molto più debole: la loro emissione, nell'ottico, presenta un eccesso nel blu, in contrasto con quanto si verifica nelle galassie normali. Altri tipi di galassie attive sono le galassie LINER (Low Ionization Nuclear Emitting Region, regione emittente nucleare a bassa ionizzazione) che esibiscono forti righe di emissione di elementi neutri o a bassa ionizzazione e che rappresentano la coda a bassa potenza delle galassie attive; gli oggetti OOV (Optical Violent Object, oggetti otticamente violenti) simili alle BL Lacertae, ma caratterizzate da righe di emissione molto larghe; galassie IRAS (dal nome del satellite che le ha identificate) molto luminose nel lontano infrarosso; galassie HII con righe sottili tipiche delle regioni di idrogeno ionizzato. Le galassie attive vengono generalmente trovate ad alti red shift e le osservazioni mostrano che la violenta attività del nucleo non sembra influenzare in maniera cospicua il resto della galassia ospite.

Galassie attive: modello unificato delle sorgenti cosmiche

Secondo il cosiddetto modello unificato, le galassie attive rappresenterebbero una fase transitoria (della durata di un centinaio di milioni di anni) della vita di una galassia normale. L'idea alla base di questo modello è che il motore responsabile dell'attività dei nuclei sia un buco nero supermassiccio (oltre un milione di masse solari) sul quale cade la materia circostante. Tale materia formerebbe una sorta di disco attorno al buco nero; la caduta di materia sul buco nero permetterebbe la conversione dell'energia gravitazionale in energia elettromagnetica. Per spiegare l'energia emessa delle galassie attive più luminose sarebbe sufficiente una conversione di circa una massa solare all'anno. La rotazione del buco nero provocherebbe l'espulsione sotto forma di getti collimati di parte della materia. Le differenti proprietà dei vari tipi di galassie attive dipenderebbero, in questo schema, sostanzialmente da due differenti parametri: la modalità di alimentazione del buco nero e la differente angolazione dalla quale viene visto il sistema. In particolare, visto in direzione dei getti, il sistema apparirebbe come un OOV o una galassia di tipo BL Lacertae, mentre la visione ad angolazioni intermedie, in virtù del differente oscuramento provocato dal gas circumnucleare, porterebbe all'osservazione di oggetti come le galassie di Seyfert. Molte altre qualità specifiche potrebbero spiegarsi mediante l'esistenza di regioni di gas più o meno compatte in regioni sempre più ampie intorno al nucleo. Le modalità di alimentazione, inoltre, possono chiarire le differenti scale di energia: i quasar sarebbero più luminosi semplicemente perché alimentati in modo più efficiente, mentre all'altro lato della scala le galassie LINER o HII avrebbero ormai quasi esaurito la materia; in più, esistono modelli che descrivono la mancata produzione radio di alcuni oggetti, con un eccesso di materia in caduta sul buco nero. Le difficoltà principali dello schema consistono nella necessità di costruire in maniera molto rapida un buco nero di massa estremamente elevata (106–1010 masse solari) e di alimentarlo in maniera efficiente. Una interessante soluzione ipotizza che una certa quantità di ammassi globulari possa trovarsi a orbitare così vicino al centro della galassia da cedere ivi massa sotto forma di stelle nella quantità e con le modalità atte a giustificare l'accrescimento di un buco nero al centro della galassia e la sua attività violenta. È probabile anche che per la formazione dei buchi neri abbiano giocato un ruolo i fenomeni di fusione tra galassie, tanto più che nelle epoche in cui le galassie attive hanno cominciato a nascere la densità dell'Universo era maggiore. Sebbene il modello unificato sia ben lontano dal poter descrivere correttamente tutte le caratteristiche dei nuclei attivi, la possibilità di utilizzare un unico processo fisico per descrivere una variegata popolazione di oggetti è estremamente attraente.

Bibliografia

H.-Y. Chiu (a cura di), Galactic Astronomy, Londra, 1971; P. W. Hodge, Galaxies, Cambridge (Massachusetts), 1971; D. W. Sciama, Modern Cosmology, Cambridge, 1971; S. J. Inglis, Planets, Stars and Galaxies, Londra, 1972; L. N. Mavridis (a cura di), Stars and the Milky Way System, Berlino, 1973; H. Fritzsch, Galassie e particelle, Torino, 1985.

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