Classificazione delle supernovae

sf. latino scientifico (pl. ). Particolare tipo di stelle variabili esplosive, caratterizzate da un repentino e intenso aumento di luminosità, che porta l'astro a essere visibile a occhio nudo (da cui il nome super-nova). L'aumento di luminosità così intenso è generalmente dovuto a un evento di carattere catastrofico di varia natura. Le vengono classificate in due distinti gruppi caratterizzati dalla presenza di idrogeno (SN di tipo II) o dall'assenza dello stesso (SN di tipo I) negli spettri delle fasi iniziali dell'esplosione. All'interno di queste due classi si distinguono vari sottotipi: Ia (presenza di silicio), Ib (assenza di silicio e presenza di elio) e Ic (assenza di elio) e IIP e IIL a seconda che il declino di luminosità sia lineare o contraddistinto da un periodo di luminosità pressoché costante. Tale classificazione riproduce, tuttavia, le differenze nelle proprietà degli strati esterni della stella, piuttosto che caratteristiche fisiche nell'esplosione. Analizzando altre caratteristiche è possibile, in effetti, evidenziare analogie tra differenti gruppi. Le curve di luce per le di tipo Ia si presentano pressoché identiche fra loro: mostrano una rapida impennata fino a una magnitudine assoluta visuale approssimativamente costante (Mv ~ -20, uno splendore 6 miliardi di volte più alto di quello solare) dalla quale decadono in due-tre settimane per poi declinare lentamente, e con regolarità, in tempi-scala dell'ordine di un anno. L'analisi spettrale evidenzia inoltre un'emissione distribuita su larghe bande continue, alternate da bande oscure in rapida evoluzione: vi si riconoscono le righe H e K del calcio ionizzato e di numerosi altri metalli. L'energia minima che si sviluppa in un evento di di tipo I è dell'ordine di 1049 erg (un millesimo, in media, dell'energia totale dissipata dalla stella nel corso della sua esistenza), ed essa accompagna una dispersione di massa pari a 1/10 di quella del Sole. Questa classe di compare generalmente negli aloni di tutti i tipi di galassie e sembra perciò generata da astri della Popolazione II, di massa paragonabile a quella solare. Le di tipo II e quelle di tipo Ib e Ic, invece, compaiono esclusivamente nelle galassie a spirale e irregolari, mentre si mostrano assenti in quelle ellittiche. Sono quindi associate a stelle di Popolazione I, di massa ingente (fino a 30 volte quella del Sole), che esplodono fino al collasso del nocciolo termico, e differiscono dalle del tipo Ia sia dal punto di vista fotometrico sia spettroscopico. Le curve di luce differiscono in modo sensibile fra loro per l'entità del massimo raggiunto (che, mediamente, si aggira intorno a Mv=-18,4) denotante uno splendore inferiore, non più alto di 2 miliardi di volte quello del Sole. L'andamento successivo al picco del massimo spesso tende a discendere definitivamente solo dopo un eventuale periodo di quasi-stasi che può protrarsi per 50-70 giorni. Dal punto di vista spettrale, le del tipo II mostrano la presenza di righe che manifestano imponenti effetti P Cygni conseguenti all'espansione violenta degli involucri stellari a una velocità d'espulsione di ca. 10.000 km/s, alla quale si accompagnano una dissipazione di materia pari a una decina di masse solari e una dissipazione energetica dell'ordine di 1051 erg (un decimo dell'energia totale della stella).

Modelli di supernovae tipo Ia

Si ritiene che le di tipo Ia derivino dall'esplosione completa di una nana bianca di carbonio-ossigeno in seguito ad accrescimento di materia da parte di una compagna binaria (probabilmente una gigante rossa o un'altra nana bianca). I modelli evolutivi teorici prevedono due distinte possibilità: a) il riscaldamento dovuto alla compressione della nuova materia causerebbe l'innesco di una combustione nucleare di carbonio (12C) all'interno di una nana bianca di massa molto vicina al limite di Chandrasekhar (M ~ 1,4 M¤); b) la combustione di elio (4He) nello strato di accrescimento immediatamente sopra la superficie di una nana bianca con massa abbastanza inferiore a 1,4 M¤. La propagazione dell'esplosione, con la conseguente distruzione completa dell'astro, avverrebbe poi, sia nel modello di Chandrasekhar, sia nel caso di modello sub-Chandrasekhar, o per detonazione (trasporto del calore, a velocità supersonica, per compressione dell'onda d'urto) o per deflagrazione (trasporto del calore, a velocità subsonica, per conduzione). L'evidenza della costanza del picco delle di tipo Ia è stata messa in crisi nel 1993, quando è stato possibile trovare una relazione tra luminosità del picco e ampiezza del declino (relazione di Phillips o relazione ampiezza-luminosità). Tenuto conto che le di tipo Ia, per la loro intensa luminosità e la loro omogeneità vengono utilizzate in numerosi problemi cosmologici come indicatori di distanza, è facilmente intuibile l'importanza di distinguere quale tra i vari modelli sopra accennati possa essere valido nel predire le proprietà osservate di questi oggetti.

Modelli di supernovae tipo II, Ib e Ic

Le di tipo II, Ib e Ic, invece, sono il risultato del collasso e dell'esplosione del nocciolo (core) di un stella di grande massa (M > 10 M¤) che, uscita dalla sequenza principale, comincia a bruciare elementi via via differenti (H, He, C ecc., i cui residui incombusti formano involucri concentrici) fino alla sintesi del ferro. Le reazioni di combustione di questi elementi comprendono reazioni di tipo esotermico, vale a dire processi di trasmutazione capaci di generare l'energia indispensabile alla stabilità gravitazionale e radiativa della stella stessa. È noto che procedendo oltre la sintesi del ferro per dar luogo a elementi di peso atomico superiore, le reazioni divengono endotermiche, assorbono energia anziché produrne. Pertanto, una volta pervenuta a tale ultimo stadio della propria evoluzione interna, la stella viene a mancare in modo pressoché istantaneo della necessaria energia sostentatrice. Alla carenza delle sorgenti energetiche fondamentali si aggiungono il sopravvenire di processi dissipativi imponenti, fra i quali la fotodissociazione interna dovuta alla forte densità di radiazione, e la liberazione di ingenti flussi di neutrini. L'intera massa stellare collassa allora repentinamente su se stessa provocando l'insorgere di almeno due fenomeni: 1) la drastica compressione dell'ex nocciolo termico che, per assorbimento degli elettroni liberi, si trasforma in un minuscolo corpo (solo alcune decine di chilometri di diametro) composto di un superfluido di neutroni ad altissima densità (simile a quella nucleare, cioè 1014 g/cm3), in cui la pressione interna non è determinata dalla temperatura, bensì dalla degenerazione dei neutroni; 2) l'innesco esplosivo di reazioni termonucleari in seno agli involucri gassosi superiori in conseguenza del repentino riscaldamento prodotto dalla brusca compressione gravitazionale. La produzione di energia è allora così imponente e libera da controllo che il solo possibile meccanismo di dissipazione sta nella deflagrazione degli strati stellari e nella conseguente loro dispersione negli spazi circostanti. Tutto ciò giustifica l'enorme aumento di splendore che di norma accompagna l'evento finale che pone termine alla vita di una stella. In questo quadro, le differenze tra i tipi di dipendono esclusivamente dalla perdita di massa che la stella progenitrice subisce durante le ultime fasi della sua vita prima dell'esplosione. L'assenza di idrogeno e/o di elio nelle di tipo Ib e Ic è diretta conseguenza della perdita degli involucri esterni di idrogeno e di elio, mentre l'esistenza del plateau nelle di tipo IIL è l'effetto di un involucro di idrogeno sufficientemente massiccio da intrappolare l'energia dell'esplosione e rilasciarla diluita nel tempo.

Fisica: generazione di energia

L'interpretazione dei processi fisici che sono alla base dell'apparizione delle hanno trovato notevole ausilio nel dispiego di tecniche differenziate e sofisticate di rilevamento, quali l'accertamento del flusso di radiazione energetica (X e gamma). Nel caso della SN 1987A (vedi oltre), sono stati rivelati anche alcuni neutrini che hanno consentito di verificare alcuni punti delle varie teorie. Molto ci si attende anche dalla rivelazione di radiazione gravitazionale che le teorie si attendono in concomitanza al verificarsi dell'evento. La sorgente della radiazione penetrante è da ricercarsi nei massicci processi di eccitazione elettronica (radiazione X) e nucleare (radiazione gamma) che accompagnano la proiezione e successiva espansione degli inviluppi gassosi. I neutrini – oltre che nel corso delle estreme reazioni nucleari – risultano generati in fase di collasso generale della stella allorché vengono a sintetizzarsi quasi tutti gli elementi chimici più complessi del ferro (compresi i transuranici). Infine, la radiazione gravitazionale appare connessa agli effetti relativistici scatenati dalla brusca alterazione della locale curvatura spazio-temporale per effetto della repentina alterazione del campo attrattivo della massa in collasso.

Astronomia: supernovae storiche e preistoriche

Il prodotto cui può dar luogo una – qualora l'astro non si disintegri integralmente – consiste in un piccolo astro di neutroni rotante e magneticamente attivo dal quale, per effetto di radiazione di sincrotrone suscitata da flussi elettronici, si diffonde una consistente azione eccitatrice nei confronti del circostante materiale gassoso in espansione. Un evento passato di può perciò venir rilevato grazie alla presenza di tipiche formazioni gassose, mantenute attive (in radioonde, oltre che nell'ottico e nelle bande più energetiche) dalla presenza interna di un astro a neutroni o dalle interazioni del fronte d'urto in espansione con la materia interstellare circostante. Sulla base di tali considerazioni sono state accertate numerose storiche e preistoriche. Fra quest'ultime, vanno ricordate quella esplosa verosimilmente 15.000 anni fa nella costellazione australe della Vela, ove ha dato luogo alla pulsar PSR 0833-45, sorgente eccitatrice della vasta nebulosa di Gum, e quella che, circa 30 millenni or sono, ha generato l'attuale formazione gassosa dell'Anello del Cigno. Ancor più antica (60.000 anni) è la dei Gemelli, che ha condotto alla formazione gassosa IC 443. In tempi sono state osservate: a) la del 1054 nella costellazione del Toro, ove ha dato origine alla Crab Nebula e a una pulsar ottica; b) la del 1572 in Cassiopea; c) la del 1604 in Ofiuco. La SN 1987A, ultima osservata, appartiene alla Grande Nube di Magellano, galassia satellite della nostra Galassia. Tutte le altre conosciute (diverse centinaia, a partire dalla comparsa nel 1885 in M 31 di Andromeda) sono state rilevate in galassie esterne: esse hanno consentito di dedurre un ritmo di produzione medio di una ogni 300 anni per galassia.

Astronomia: sviluppo dei modelli sulla formazione delle supernovae

La comparsa, nel 1987, di una nelle immediate vicinanze della nostra Galassia (SN 1987A nella Grande Nube di Magellano) e lo sviluppo di supercomputer in grado di effettuare complesse simulazioni hanno contribuito fortemente allo sviluppo degli studi sulle . La grande messe di dati provenienti dall'osservazione di SN 1987A ha prodotto un nuovo sviluppo di modelli degli eventi di in grado di descrivere le modalità esplosive e implosive delle , nonché quelle relative alla emissione di neutrini e alla formazione di stelle di neutroni. La SN 1987A ha rappresentato il prodotto del collasso gravitazionale cui è andata incontro la supergigante blu (tipo spettrale B3, con una massa 20 volte quella del Sole) denominata Sanduleak 202 nel catalogo omonimo delle stelle giganti presenti nella Grande Nube di Magellano. I rilevamenti da parte del telescopio spaziale Hubble e del satellite IUE per l'ultravioletto hanno permesso di identificarne l'esatta posizione celeste nonché i complessi sviluppi morfologici seguiti alla catastrofe finale, e di decifrarne diverse centinaia di spettri. Gli astronomi ritengono che la stella progenitrice di SN 1987A, giunta in fase di gigante rossa (forse 20.000 anni prima del collasso) abbia espulso una notevole parte della propria massa sotto forma di “vento stellare”. L'allontanamento del materiale gassoso non si è verificato secondo una simmetria sferica, ma è stato condizionato dal campo magnetico della stella, così da produrre una configurazione a doppio lobo – una sorta di “clessidra” gassosa – coassiale con l'asse polare. Una formazione a morfologia del tutto analoga è quella che ha dato origine alla nebulosa planetaria “occhio di gatto” visibile nella costellazione della Mosca. Nella stella massiccia la fase di gigantismo, seguita all'esaurimento dell'idrogeno contenuto nel nucleo termico, venne presto sostituita da una ripresa delle reazioni nucleari interne per effetto di una serie di collassi gravitazionali che, a temperature progressivamente crescenti fino a ~109 K, condussero a reagire l'He, l'O, il C, giungendo al Si, lo S, il Fe, per cui all'astro venne conferito il vivo splendore della tipologia spettrale B di gigante blu a forte componente ultravioletta. Le formazioni ellittiche (in realtà, dei cerchi in espansione) osservate intorno a SN 1987A rappresentano quindi le intersezioni in cui le pareti della “clessidra” vengono tuttora investite dalle sfere di materiale espulso dalla gigante rossa progenitrice. Le velocità con le quali le distanze di diseccitazione stanno ampliandosi permettono di stabilire l'epoca nella quale l'ex gigante rossa si è trasformata in astro blu ad alta temperatura: circa 10.000 anni prima dell'esplosione in .

Astronomia: onde d’urto e nucleo neutronico

Le stelle dotate di masse superiori a 8-10 volte quella solare permangono in sequenza principale per solo alcune decine di milioni d'anni. Esaurite anche le fasi reattive di post-gigantismo, la scomparsa repentina di ogni sostegno radiativo contro le forze di gravità conduce l'astro a un collasso generale che si compie in meno d'un secondo. Lo sviluppo dei modelli matematici mostra che in un così breve lasso di tempo viene a succedersi una molteplicità di processi fisici: 1) l'ex core termico crolla su se stesso, e su di esso precipita il mantello gassoso della stella. La compenetrazione violenta dei nuclei atomici (leggeri) che vi si trovano – perché generati dalle reazioni di fusione – porta alla formazione di una quantità di nuclei pesanti, di numero atomico superiore al Fe, praticamente rappresentativi di tutta la scala degli elementi; 2) la contrazione del nucleo interno favorisce massicci assorbimenti di elettroni da parte dei protoni liberi (nuclei d'idrogeno) con produzione di neutroni e dissipazione di massicci flussi di antineutrini. La dissipazione neutrinica raffredda la massa accelerandone la contrazione, la quale finisce con l'arrestarsi allorché la densità generale raggiunge i valori della materia nucleare (d=1014 g/cm3); 3) a densità nucleari il nocciolo di neutroni (r~10 km) diviene incompressibile (a meno che la compressione esterna non sia superiore alla pressione di degenerazione dei neutroni, nel qual caso la massa collassa definitivamente in buco nero); gli strati del mantello gassoso, una volta giunti a contatto, subiscono un contraccolpo compressivo che instaura un fronte d'urto di rimbalzo verso l'esterno. A differenza di quel che si supponeva, la deflagrazione catastrofica della non trae diretta origine dal fronte d'urto riflesso, in quanto – come l'analisi dei modelli suggerisce – l'energia cinetica dell'onda di compressione va a esaurirsi in prevalenza nella dissociazione dei nuclei atomici investiti. A 100-150 km dal centro stellare, il fronte d'urto si arresta; 4) a questo punto la situazione appare drammaticamente instabile. Al di sopra del fronte premono gli strati in libera caduta gravitazionale ricchi dell'ossigeno e del silicio sintetizzati nel corso delle estreme reazioni termonucleari; al di sotto, – in uno strato di 50 km di spessore – regna un ambiente permeato di nuclei atomici più leggeri (i prodotti della dissociazione) e, per di più, riscaldato dal flusso neutrinico. Si tratta di una tipica situazione critica, contemplata nel cosiddetto modello d'instabilità Rayleigh-Taylor per due fluidi a contatto, di densità diversa, nella quale la tendenza del fluido inferiore è di affluire nell'ambiente superiore. Ciò porta all'instaurarsi di energici movimenti convettivi in seno all'ambiente inferiore; 5) l'energico rimescolamento finisce con l'aprire varchi nella superficie del fronte e col capovolgere l'intera situazione. L'afflusso attraverso i varchi assume rapidamente carattere esplosivo, e l'energia compressa travolge gli strati stellari superiori provocando – in un solo quarto di secondo dalla formazione del nocciolo di neutroni – una deflagrazione globale, a carattere cataclismico, in grado di proiettare materia a un decimo della velocità della luce. La sostanziale congruità del modello evolutivo sopraesposto ha avuto conferme dai rilevamenti sul flusso dei neutrini di SN 1987A eseguiti al Gran Sasso, al Kamiokande (Giappone) e all'IMB (Irvine-Michigan-Brookhaven, Ohio); essi consentono di attribuire alla un flusso di 1058 antineutrini elettronici (la sola varietà cui i rivelatori erano sensibili), per un'energia complessiva dell'ordine di 1053 erg (alla fonte), equivalente a quella che il Sole dissiperebbe nel corso di alcuni trilioni d'anni. Le curve dei conteggi risultano divergenti dalla curva teorica per la formazione dei buchi neri, confermando con ciò che la della Grande Nube ha effettivamente dato origine a un astro di neutroni, classificandosi come del tipoII.

Astronomia: fotometria di SN 1987A

L'andamento fotometrico seguito dalla della Grande Nube ha rispecchiato, nel tempo, gli avvenimenti e i processi fisici che si sono susseguiti nei detriti espulsi all'atto dell'esplosione. La massa d'idrogeno appartenente agli strati stellari superiori è stata proiettata via ad alta velocità (~30.000 km/s) negli istanti iniziali, e le osservazioni fotometriche – insieme a quelle spettroscopiche – hanno puntualmente segnalato il picco di splendore raggiunto al momento in cui l'accrescimento della superficie radiante del guscio gassoso in espansione ha cominciato a esser vanificato dalla rarefazione e dalla formazione di polveri opache. Viceversa, il materiale disperso nelle fasi immediatamente successive comprendeva i prodotti sintetizzati nelle regioni più interne della stella al momento del collasso, fra i quali – fondamentali per l'alimentazione energetica del relitto gassoso – si sono rivelate le sostanze radioattive, a cominciare dal Ni-56. Con sette giorni di vita media, questa sostanza decade in Co-56 il quale, a sua volta, trasmuta in Fe-56 nel giro di 111 giorni; altre sostanze instabili significative comprendono il Co-57 (391 giorni di vita media) e il Ti-44 (78 anni). Nei processi di decadimento che coinvolgono queste sostanze – con l'intenso irraggiamento gamma che ne deriva – si trova racchiusa la sorgente d'energia che eccita alla luminescenza il relitto gassoso della . Il relativo decorso fotometrico appare ovviamente governato dal modo in cui si combinano, nel tempo, le singole vite medie delle sostanze reagenti. La formazione di polveri entro i residuati delle riveste un ruolo particolarmente importante nei processi di arricchimento chimico del materiale diffuso interstellare; e maggior significato acquista quando si consideri che nella composizione isotopica del materiale meteoritico che pervade il sistema solare la presenza di tali prodotti di decadimento appare del tutto normale. A partire dal 1989, nella regione circostante la della Grande Nube hanno cominciato ad apparire una serie di anelli luminosi concentrici che sono andati accrescendosi di numero e di ampiezza negli anni successivi. L'esame del fenomeno ha appurato che si tratta di echi luminosi che – in presenza di materiale interstellare diffuso nello spazio frapposto – vengono riflessi verso la Terra secondo una geometria variabile con il progredire del fronte luminoso irradiato dalla . In un campo del tutto diverso – quello cosmologico – la SN 1987A ha pur dato il proprio contributo. Il confronto delle velocità radiali (spettroscopiche) e delle velocità apparenti (astrometriche) rilevate sulle diverse strutture che la circondano (in special modo, la cintura ellittica interna) ha infatti permesso di stabilire in modo più preciso che la distanza dell'organismo siderale cui la sorgente appartiene (la Grande Nube di Magellano) è di 166.000 anni luce con un errore del 6%. Questa indicazione indipendente di scala spaziale si è dimostrata utile per una rideterminazione della costante di Hubble, grandezza essenziale per il calcolo dell'espansione cosmica.

Astronomia: supernovae e GRB

La correlazione tra GRB, o Gamma Ray Burst e era stata congetturata subito dopo la scoperta dei GRB, ma nessun dato sperimentale aveva suffragato l'ipotesi. Negli ultimi anni del sec. XX, grazie all'apporto decisivo dei satelliti per le alte energie, sono state osservati almeno un paio di casi di coincidenza tra GRB e (il GRB 250498 rivelato dal satellite italiano Beppo-SAX e la SN 1998bw sono il caso piú studiato). I dati spettroscopici sembrano indicare che la SN 1998bw sia una peculiare di tipo Ib o Ic, con luminosità del picco quasi 10 volte superiore a quella di qualsiasi altra conosciuta. Questa differenza si potrebbe spiegare con un modello di progenitore di grande massa, cioè di circa 40 masse solari, un momento angolare elevato e un forte campo magnetico. Con queste caratteristiche il residuo dell'esplosione potrebbe essere sufficientemente massiccio da collassare direttamente in un buco nero fortemente rotante. Questo tipo di esplosione viene detto ipernova, a simboleggiare la maggiore energia prodotta nell'evento rispetto alle . La produzione del GRB avverrebbe in seguito all'interazione del fronte d'onda con materiale interstellare. È da rilevare tuttavia che i modelli di ipernova, che si basano su pochissimi dati sperimentali, non sono in grado di spiegare la produzione del lampo gamma.

Bibliografia

P. J. Brancazio (a cura di), Supernovae and their Ramnents, New York, 1969; I. S. Shklowsky, Supernovae, New York, 1969; C. B. Cosmovici (a cura di), Supernovae and Supernova Remnants, Dordrecht, 1974; Autori Vari, Radiosorgenti pulsate e attività di alta energia nei resti di supernovae, Roma, 1979.

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