ammasso stellare
Indicegruppo di stelle fisicamente collegate, sia per mutua attrazione gravitazionale, sia per unità di moto nello spazio. Gli ammassi stellari possono avere forme diversissime, sia irregolari che regolari (sferiche); possono avere dimensioni lineari differenti anche per ordini di grandezza, comprese fra qualche parsec e centinaia di parsec; possono comprendere da poche stelle fino a centinaia di migliaia o milioni di stelle; possono, all'interno della Galassia, essere posti a distanze dalla Terra svariatissime, mentre rispetto alla Galassia stessa, al cui moto partecipano, possono trovarsi sia sull'alone sia sui bracci. Ammassi stellari sono stati osservati anche nelle galassie esterne, come, per esempio, nella galassia di Andromeda. Uno dei problemi fondamentali relativi agli ammassi stellari è quello della determinazione della loro distanza; la soluzione sta, in genere, nel diagramma di Hertzsprung-Russell degli ammassi stellari stessi, o equivalentemente nel diagramma magnitudine-indice di colore. Tracciato il diagramma è facile, confrontandolo con il diagramma analogo per le stelle più vicine, o addirittura con il Sole (magnitudine assoluta+5m, indice di colore+0,60), dedurre la distanza d dalla relazione M=m+5–5 log d fra distanza d, magnitudine assoluta M e magnitudine apparente m (a meno di fattori correttivi per l'assorbimento interstellare). Gli ammassi stellari sono solitamente suddivisi in due tipi, secondo l'aspetto, cioè secondo la distribuzione delle stelle entro l'ammasso stesso; tra i due tipi, detti ammassi aperti o galattici e globulari , non vi è continuità, nel senso che le loro caratteristiche fisiche possono assumere intervalli di valori che in genere non sono sovrapponibili. Gli ammassi aperti o galattici hanno questo nome in quanto si trovano all'interno o nei pressi dei bracci della Galassia; hanno dimensioni lineari inferiori a una decina di parsec e sono composti da un numero di stelle in genere non superiore al migliaio; hanno di conseguenza densità piuttosto basse, inferiori a 10 stelle per parsec cubico. Nella Galassia se ne conoscono ca. 900, ma il loro numero, grazie anche ai recenti rilievi fotografici di tutta la sfera celeste, effettuati all'Osservatorio di m. Palomar, sembra destinato ad aumentare. I più famosi ammassi aperti sono quelli delle Pleiadi, e delle Iadi, nella costellazione del Toro, e il Praesepe nella costellazione del Cancro. L'astronomo statunitense Robert J. Trumpler ha stabilito una classificazione degli ammassi aperti basata sulle seguenti tre caratteristiche: concentrazione di stelle verso il centro dell'ammasso (siglata con numeri romani, da I, forte concentrazione, a IV, bassa concentrazione); classificazione delle stelle secondo la magnitudine (da 1, quando tutte le stelle hanno all'incirca la stessa magnitudine, a 3, quando vi è un grande intervallo di magnitudini); numero di stelle dell'ammasso (p, meno di 50 stelle; m, da 50 a 100 stelle; r, più di 100 stelle). Con questo criterio le Pleiadi, per esempio, sono classificate II 3r, le Iadi II 3m e così via. Gli ammassi aperti di tipo IV sono da collegare, per similitudine, con le associazioni, gruppi molto diversi di stelle dello stesso tipo. La relazione fra classificazione di Trumpler e storia evolutiva degli ammassi non è chiara. Gli ammassi globulari presentano una caratteristica forma a simmetria sferica e contengono da 10.000 a un milione di stelle, maggiormente concentrate verso il centro dell'ammasso, dove la densità raggiunge anche il valore di 1000 stelle per parsec cubico, essendo le dimensioni lineari comprese fra una decina e un centinaio di parsec. L'ammasso globulare più noto e più vicino alla Terra è ϖ Centauri, invisibile dall'emisfero boreale e posto a ca. 20.000 anni luce. La distribuzione degli ammassi globulari rispetto alla Galassia è caratteristica in quanto occupano un volume approssimativamente sferico, del diametro di ca. 100.000 anni luce attorno al centro della Galassia. Le loro caratteristiche orbitali sono in parte diverse da quelle delle cosiddette stelle di alone che, pur essendosi formate dalla stessa condensazione che diede origine agli ammassi stellari, viaggiano “solitarie” su orbite in media più eccentriche e vicine al nucleo. Questo fatto ha suggerito di recente l'ipotesi che tali differenze siano state prodotte col tempo da particolari meccanismi dinamici. Pare che gli ammassi stellari, che nelle fasi iniziali di formazione galattica avevano orbite molto eccentriche e con passaggi ravvicinati al nucleo, abbiano subito una sorta di attrito (attrito dinamico) che ne ha provocato la “caduta” sul nucleo e quindi la sparizione dalla popolazione iniziale. Tale ipotesi sarebbe suffragata anche dalla constatazione che la massa totale degli ammassi stellari in tal modo scomparsi e inghiottiti nel nucleo – deducibile dal confronto con la distribuzione delle stelle di alone – è proprio dello stesso ordine di grandezza della massa del buco nero massiccio presente in tutte le galassie analizzate. Un altro meccanismo dinamico importante ai fini dell'evoluzione degli ammassi globulari è rappresentato dall'interazione gravitazionale col bulge. Il rigonfiamento centrale nella distribuzione di materia delle galassie esercita sugli ammassi stellari, e in particolare su quelli che vi transitano nei pressi, una cospicua forza mareale (simile a quella, dovuta alla Luna e al Sole, che provoca le maree sulla Terra) che tende a disgregarli strappandone le stelle più periferiche e poco massicce. Alla fine del sec. XX, durante la fase di verifica iniziale del funzionamento del primo dei 4 telescopi VLT (installati nel deserto di Atacama, in Cile), si è potuto rilevare nelle regioni più esterne dell'ammasso globulare NGC 6712 (distante 23.000 anni luce, nella costellazione dello Scudo) una particolare carenza di astri di piccola massa, carenza che ci si attende proprio dal meccanismo di “evaporazione” stellare causata dall'interazione mareale col bulge della nostra galassia, all'interno del quale questo ammasso si stima sia transitato solo qualche milione di anni fa. Una importante problematica riguarda la determinazione dell'età degli ammassi globulari, determinazione resa possibile dal fatto che, presumibilmente, tutte le stelle di un ammasso si sono formate nella stessa epoca. Ne consegue che dal valore minimo della luminosità assoluta delle stelle che, per “invecchiamento”, sono uscite dalla sequenza principale, si può risalire alla loro attuale fase evolutiva e dunque all'età dell'ammasso. La luminosità assoluta, però, dipende, oltre che da quella apparente (facilmente misurabile), dalla distanza dall'osservatore. Quindi, in ultima analisi, la bontà della stima dell'età dipende fortemente dalla precisione sulla misura della distanza. Finora alcune di queste stime fornivano, per taluni ammassi stellari, un'età di 15-18 miliardi di anni, addirittura superiore a quella stimata per l'intero universo. Tale paradosso sembra essersi risolto grazie ai nuovi e accuratissimi dati astrometrici forniti dal satellite Hipparcos. L'astrofisico statunitense Neil Reid, usando le precise misure di distanza di una decina di stelle di alone coeve a quelle degli ammassi stellari più antichi, è riuscito a determinarne la luminosità assoluta e, di conseguenza, quella delle stelle con analoghe caratteristiche chimico-fisiche appartenenti agli ammassi. Ciò ha consentito di “calibrare” accuratamente la distribuzione complessiva “magnitudine-colore” delle stelle di questi ultimi e quindi la distanza e l'età dei medesimi. La prima è risultata maggiore di quanto in precedenza ritenuto, mentre la seconda si è rivelata di 11-13 miliardi di anni per gli ammassi stellari più vecchi, quindi compatibile con l'età dell'universo. Anche quest'ultima grandezza ha subito un aggiustamento in eccesso di ca. il 10%, in quanto la magnitudine assoluta delle variabili RR Lyrae, situate negli ammassi stellari e usate come indicatori per la determinazione indiretta delle distanze cosmologiche (e quindi della costante di Hubble), è stata oggetto di una corrispondente correzione .
Bibliografia
C. Flammarion, Astronomie Populaire, Parigi, 1960; M. Capaccioli, Il divenire dell'universo, Roma, 1985.