invecchiaménto (biologia)
processo attraverso il quale l'organismo di un essere vivente subisce alterazioni delle strutture cellulari e molecolari a causa del progressivo avanzare degli anni. L'invecchiamento, in termini evolutivi, rappresenta un sottoprodotto della selezione naturale. Infatti in una popolazione i caratteri ereditari sono selezionati favorevolmente se l'individuo portatore riesce a riprodursi, in altre parole se li trasmette alla progenie, mentre tutti i caratteri ereditari sfavorevoli alla sopravvivenza in età giovanile solo più raramente consentiranno la riproduzione. Pertanto, a differenza dei geni dannosi precoci, quelli tardivi tendono ad accumularsi in una popolazione perché i portatori si possono riprodurre: manca quindi una pressione selettiva che agisca a sfavore dell'invecchiamento e di tutte le patologie a esso associate. Insieme alla teoria evolutiva, molti esperimenti hanno indicato che esistono innumerevoli percorsi biochimici determinati geneticamente che condizionano la longevità, e teoricamente potrebbero essere modificati a favore dell'allungamento della vita; contestualmente numerosi studi hanno fornito una maggior comprensione dei meccanismi molecolari legati all'invecchiamento, partendo dalla considerazione che la longevità di ciascun organismo dipende dall'equilibrio continuo e dinamico fra una serie di cambiamenti negativi e tutte le azioni atte al recupero ed alla riparazione di danni da essi causati. L'invecchiamento viene definito attraverso due criteri fondamentali, uno di ordine statistico e uno di ordine biologico. Il primo prevede che più si va avanti nel corso della vita, maggiore è la probabilità di morte; tale definizione, apparentemente scontata, prende in considerazione tutte le possibili combinazioni degli eventi responsabili della morte che, con il progredire dell'età, hanno maggiore probabilità di verificarsi e riflette la natura progressiva e continua dell'invecchiamento: nell'ultimo secolo la scoperta degli antibiotici e le sempre più attente pratiche igieniche hanno aumentato la vita media nei paesi occidentali, riducendo drasticamente la probabilità di morte in giovanissima età, ma nulla ha ancora ritardato o rallentato il processo intrinseco dell'invecchiamento e la progressiva degenerazione delle funzioni fisiologiche, ovvero modificato la probabilità totale di morte con il procedere della vita. Il criterio biologico, invece, prende in considerazione quei caratteristici mutamenti del fenotipo che avvengono progressivamente in tutti gli individui e che sono dovuti a processi con un limite temporale. Tale concetto è utile per distinguere i processi fisiologici legati all'invecchiamento, che avvengono in tempi più o meno precoci in tutti gli individui di una popolazione, dalle malattie dell'età avanzata, quali il cancro o le patologie cardiache, che invece colpiscono solo alcuni. Per tentare di ordinare e classificare tutti i processi finora noti legati all'invecchiamento, si parte da una suddivisione iniziale legata al tipo di tessuti coinvolti: labili, stabili e perenni. Il primo tipo è formato da cellule che si dividono per mitosi durante tutta la vita, come quelle della cute o delle mucose. Il secondo tipo è invece formato da cellule che, una volta raggiunta l'età adulta, subiscono la divisione mitotica solo in casi particolari, come ad esempio avviene nel tessuto osseo o in quello muscolare striato. I tessuti perenni, infine, sono quelli in cui le cellule, una volta che l'organismo ha completato il suo sviluppo, non si riproducono più, come nel caso del tessuto cerebrale. Alla luce di tale distinzione, è possibile classificare i fenomeni biochimici legati all'invecchiamento in due grandi categorie: quelli che causano delle alterazioni del patrimonio genetico, e che quindi esplicano la loro funzione in maniera più evidente nelle cellule dotate di capacità riproduttive, e quelli che invece danneggiano le strutture o altre molecole costituenti le cellule, e che quindi rivestono un ruolo significativo nella degenerazione e nell'invecchiamento delle cellule stabili e perenni. Gli eventi collegati alla riproduzione cellulare sono quelli relativi all'usura dei telomeri, le estremità dei cromosomi, e all'instabilità genomica del DNA nucleare. Al progressivo accorciamento dei telomeri è stata attribuita la limitata possibilità di divisione delle cellule umane in coltura, strettamente correlata a un ostacolo nelle capacità rigenerative dell'organismo e quindi all'insorgere dell'invecchiamento. È stato inoltre dimostrato che i telomeri rappresentano l'orologio cellulare, cioè segnano l'età di una cellula a partire dalle prime divisioni dopo la fecondazione fino all'individuo adulto. Era già stato osservato, infatti, che la massima capacità proliferativa si aveva in cellule prelevate da embrioni, mentre colture in vitro di cellule provenienti da tessuti adulti si dividevano un minor numero di volte: il numero di divisioni cellulari era inversamente proporzionale all'età del donatore. A partire da quest'osservazione è stato scoperto che durante il susseguirsi delle divisioni cellulari le sequenze situate alle estremità dei cromosomi vanno progressivamente perdute e i telomeri si accorciano: la lunghezza di queste regioni di DNA è un chiaro indicatore delle divisioni cellulari già avvenute e di quelle ancora possibili prima che la popolazione cellulare perda la possibilità di dividersi. Chiaramente la perdita dei telomeri non può avvenire nelle cellule germinali, dove il ruolo della telomerasi, l'enzima responsabile della corretta duplicazione dei telomeri, è essenziale: se ad ogni divisione dei gameti si avesse l'accorciamento dei telomeri, nel giro di poche generazioni i cromosomi perderebbero molte informazioni, con effetti chiaramente disastrosi per la discendenza. Il meccanismo di corretta duplicazione dei telomeri, però, funziona in maniera pienamente efficiente nelle cellule embrionali ed in quelle infantili, mentre in quelle somatiche dell'adulto causa la perdita progressiva dei telomeri, e pertanto ne determina l'invecchiamento. La prova inconfutabile del ruolo della telomerasi nel datare una cellula è stata data inserendo in cellule “anziane” il gene per una subunità attiva dell'enzima: il ripristino dei telomeri le ha rese di nuovo “giovani”, cioè in grado di generare una più grande popolazione cellulare. Bisogna però escludere l'applicazione di questa tecnica per impedire l'invecchiamento progressivo e finora ineluttabile di un individuo: l'usura dei telomeri funziona da meccanismo di controllo per impedire la crescita illimitata di una popolazione cellulare, costituendo quindi una barriera naturale all'insorgenza dei tumori; le cellule tumorali, infatti, sfuggono all'accorciamento dei telomeri. Da ciò appare chiaro che pensare di introdurre l'attività della telomerasi in cellule normali potrebbe avere come conseguenza quella di trasformarle in cellule maligne. Esistono molte evidenze a favore del collegamento fra l'accorciamento dei telomeri e una riduzione del periodo di vita, e in particolare della vitalità di alcuni organi o apparati; per esempio, in arterie sottoposte a stress per una notevole dinamica ematica è stato evidenziato un ricambio cellulare molto intenso: non è da escludere che le cellule senescenti, fisiologicamente alterate, progressivamente si accumulino e interferiscano con il normale funzionamento del tessuto di cui fanno parte. Il concetto di instabilità genomica, anch'esso preso in considerazione come causa dell'invecchiamento, pone le sue basi sulla considerazione che, con il progredire dell'età, le cellule tendono ad accumulare errori nella sequenza del DNA, come riarrangiamenti, perdita di sequenze ripetute, o addirittura alterazioni nel numero dei cromosomi. Tali cambiamenti sono stati osservati in organi in cui è sempre attiva la divisione cellulare, come il fegato, e nel genoma dei linfociti, anche se con una frequenza molto bassa. Alterazioni del DNA costituenti il nucleolo correlate con l'invecchiamento sono state inizialmente evidenziate in individui affetti dalla sindrome di Werner, malattia dovuta ad una singola mutazione sul gene WRN che perde completamente la sua funzionalità. Tale patologia è contraddistinta dall'accorciamento della vita accompagnato dalla precoce comparsa dei caratteri tipici della vecchiaia; al livello cellulare si osserva l'accumulo di alterazioni cromosomiche, con un'alta frequenza di delezioni e riarrangiamenti del materiale ereditario. Il clonaggio del gene WRN ha permesso di stabilire che questo codifica per un enzima della famiglia dei geni recQ ad attività di DNA elicasi; le proteine di questo gruppo, già caratterizzate in altri organismi, sono implicate negli eventi di ricombinazione del DNA, nella correttezza della segregazione dei cromosomi sia durante la mitosi sia durante la meiosi, e quindi nel globale mantenimento di un corretto patrimonio genetico durante la vita di ciascun organismo. La loro azione si esplica durante la formazione delle forche di replicazione del DNA, forse perché rimuovono da questa molecola le strutture secondarie. In loro assenza le forche di replicazione non potrebbero più proseguire, e tale stasi potrebbe facilitare l'insorgenza di eventi di ricombinazione indesiderati. Un ulteriore aspetto collegato con l'invecchiamento riguarda i ROS (Reactive Oxygen Species), gruppi di ossigeno reattivo normalmente prodotti dal metabolismo cellulare, che sono in grado di causare danni cumulativi. Una piccola percentuale dell'ossigeno utilizzato viene, infatti, ridotta chimicamente mediante l'acquisto di un elettrone e convertita in ROS, come anione superossido, perossido di idrogeno o radicale ossidrile. È stato dimostrato che i ROS inducono danni indiscriminati a livello proteico, lipidico, e anche negli acidi nucleici, compreso il DNA mitocondriale, coinvolto nell'instabilità del genoma. In esemplari di Drosophila melanogaster geneticamente trasformati, e provvisti di geni estranei con capacità antiossidanti, è stato registrato un allungamento della vita del 34% rispetto a un controllo non transgenico. Nel topo, inoltre, individui in cui vengono resi silenti i geni per le proteine GPX1, SOD1 e SOD3, tutte con attività di perossidasi, mostrano un rallentamento dell'invecchiamento. L'osservazione più significativa è legata al fatto che in questi organismi le cellule di molti tessuti hanno perso la capacità di riprodursi, e quindi più difficilmente possono ovviare all'accumularsi di alterazioni, mentre non dovrebbero risentire del progressivo accorciamento dei telomeri, fenomeno che si attua nelle cellule con intensa attività mitotica. Nell'uomo tessuti di questo tipo sono soprattutto quello cerebrale, quello cardiaco e quello muscolare striato, che quindi dovrebbero risentire maggiormente della dannosa attività dei ROS. L'instabilità genetica evidenziata nel DNA dei mitocondri mostra i suoi effetti legati all'invecchiamento nei tessuti stabili e soprattutto in quelli perenni, in cui le cellule non subiscono più la mitosi; in queste molecole di DNA la frequenza di mutazione è da 10 a 20 volte più alta rispetto al genoma nucleare. Si crede che tali mutazioni possano compromettere la funzionalità mitocondriale, e in particolare il buon funzionamento della fosforilazione ossidativa e del trasporto degli elettroni; le conseguenze sarebbero sia legate a una diminuzione della sintesi di ATP, con una limitazione dell'accumulo di energia, sia al fatto che una disfunzione nel trasporto degli elettroni aumenterebbe la produzione intracellulare di radicali liberi. A conferma di tali ipotesi è stato osservato che nelle malattie ereditarie legate al DNA mitocondriale si registrano in individui giovani malattie tipiche dell'età avanzata, come quelle neurodegenerative, demenza, sordità, malattie cardiache e debilitazione muscolare; si ritiene che probabilmente una riduzione progressiva nella produzione di energia da parte dei mitocondri nelle cellule nervose e in quelle muscolari possa contribuire alla comparsa dei sintomi tipici dell'invecchiamento e delle malattie degli anziani. L'amplificazione e il sequenziamento di DNA mitocondriale estratto da cellule del muscolo scheletrico di individui anziani sani ha evidenziato l'accumulo di mutazioni per delezione casuali, nessuna più frequente di altre, anche se le cellule sono tutte caratterizzate dalla carenza di attività dell'enzima citocromo C ossidasi, coinvolto nella catena di trasporto degli elettroni. Con buona probabilità l'accumulo di mutazioni casuali nel DNA mitocondriale può svolgere una generalizzata azione inibitoria sulla funzionalità dei mitocondri stessi, e contribuisce così all'insorgere dei fenomeni collegati all'invecchiamento. L'accumulo di radicali liberi, cioè di molecole che normalmente sono solo degli intermediari in specifici processi chimici, può generare altre reazioni chimiche, quali ad esempio la formazione di molecole polimeriche inattive che interferiscono con l'attività cellulare. Molti dati sperimentali sono ormai a favore dell'ipotesi che alcune sostanze antiossidanti naturali, quali la vitamina E e la vitamina C, possono inattivare i radicali liberi e bilanciare gli effetti deleteri delle sostanze ossidanti. È stato anche dimostrato che la pelle è provvista di un naturale sistema antiossidante, rappresentato da componenti sia enzimatici sia strutturali, che viene fortemente potenziato dall'assunzione alimentare di fragole, glutatione, melatonina e vitamina E. Molti dati clinici hanno recentemente dimostrato che l'assunzione alimentare controllata di queste sostanze ha un benefico effetto anche sul sistema immunitario, riduce il rischio di arteriosclerosi e di malattie cardiache. Partendo da alcuni studi condotti sulla necrosi muscolare e sulle miopatie genetiche, è stato dimostrato che il ferro stimola e potenzia la formazione di radicali liberi tossici e altamente reattivi, e con essi danni ossidativi. Una limitazione nell'assunzione di ferro attraverso l'alimentazione può prevenire quindi i danni ossidativi che si accumulano, con il progredire dell'età, in tutti i compartimenti cellulari, nei tessuti e negli organi. Queste conoscenze si sono rivelate utili per la ricerca di trattamenti per quelle patologie che determinano un invecchiamento precoce, sia in campo gerontologico, sia in campo cosmetologico. È stato poi dimostrato che gli stress ossidativi diminuiscono in funzione con una riduzione ragionevole dell'apporto calorico; contemporaneamente si evidenziano un aumento delle funzioni atte alla prevenzione e alla riparazione di danni al DNA. Da alcune ricerche è emerso inoltre che una riduzione delle calorie immesse nell'organismo con la dieta aumenti la fedeltà di duplicazione del DNA, tenga sotto controllo l'espressione di geni oncogeni e aumenti l'efficienza del sistema immunitario. Tutti i fenomeni descritti, però, rappresentano un insieme di eventi casuali, che svolgono la loro azione in contrapposizione con la tendenza alla longevità tipica di tutti i sistemi cellulari. L'universalità del processo di invecchiamento, che si ritrova in tutte le specie viventi, suggerisce invece che esista anche un sistema geneticamente programmato, responsabile della durata della vita e del progressivo variare dell'aspetto verso il fenotipo anziano. Così come esistono geni che controllano l'accrescimento e lo sviluppo, è possibile ipotizzare la presenza di geni strettamente connessi con la capacità di difendere la cellula da vari danni, quali quelli ossidativi, che durante il corso della vita vengono resi silenti, e non possono più esplicare la loro funzione: tale inibizione potrebbe corrispondere a un sistema di regolazione della durata complessiva della vita. Gli studi genetici hanno portato alla scoperta di alcuni geni coinvolti nei processi di invecchiamento, soprattutto nel nematode Caenorhabditis elegants e in Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta. Per quanto riguarda la prima specie animale, sono stati recentemente isolati dei mutanti per il gene daf-2 che presentavano un periodo vitale più lungo del normale; è stato in seguito dimostrato che tale gene controlla la produzione di un fattore proteico che viene prodotto e secreto indistintamente da tutte le cellule costituenti l'organismo, ma ne determina la lunghezza della vita. In Drosophila melanogaster è stato evidenziato un gene a funzioni analoghe, chiamato methuselah, che probabilmente ha un ruolo nella trasduzione di segnali che determinano l'invecchiamento, e la cui riduzione di attività allunga la vita. È stato possibile anche selezionare un ceppo mutante del moscerino della frutta che si riproduce tardivamente e posticipa l'invecchiamento, a conferma della teoria evolutiva che vede la riproduzione come momento unico ed essenziale, dopo il quale non si subisce più la selezione naturale. È stata anche messa in evidenza una proteina, detta p66, codificata dal genoma murino e che ha un'attività del tutto simile a quella del gene daf-2 del nematode: eliminato dalle cellule staminali il gene che la codifica, si ottiene una generazione di topi del tutto sani che vivono il 35% in più rispetto a una popolazione di controllo, provvista del gene preso in considerazione. Ad azione opposta è il prodotto del gene Klotho, che corrisponde a un fattore umorale in mancanza del quale si registra un notevole accorciamento della vita e l'insorgenza di molte patologie collegate con l'invecchiamento. Nella fisiologia umana esistono chiari esempi in cui i livelli di fattori endocrini diminuiscono con l'età: il livello di estrogeni diminuisce rapidamente con la menopausa, ed è collegato con la lenta ma progressiva comparsa di fenomeni degenerativi come l'atrofia della pelle, l'osteoporosi, l'arteriosclerosi, e la perdita di facoltà cognitive; altri fattori endocrini, compresi l'ormone della crescita e il testosterone, diminuiscono con l'età, ma la loro relazione con i processi relativi all'invecchiamento non è assolutamente chiara. Per cercare una conferma all'ipotesi che esista un controllo genetico dell'invecchiamento nei mammiferi, e in particolare nell'uomo, l'attenzione è stata focalizzata sull'apoptosi, il programma genetico di suicidio cellulare, che viene determinata da molti fattori, quali ormoni steroidei, danni al DNA, o risposte a stimoli di varia natura. L'apoptosi implica l'attivazione di una famiglia di proteasi e di nucleasi che determinano la degradazione progressiva delle strutture cellulari e la rimozione dei legami di membrana con le cellule contigue. Tali eventi sono collegati con la sopra citata attività dei mitocondri, in quanto questi organuli, degradandosi, rilasciano nell'ambiente cellulare le loro proteine funzionali, inattivando così la catena di trasporto degli elettroni e liberando ROS. Quindi è possibile ipotizzare che questo tipo di morte cellulare, controllata geneticamente, sia collegata con l'invecchiamento. Alcuni dati, però, non sostengono tale ipotesi: ad esempio, il numero totale di neuroni corticali diminuisce solo del 10% con l'avanzare dell'età e, sebbene alcuni regioni del cervello mostrino una frequenza leggermente più alta di apoptosi, non è affatto chiaro come queste piccole variazioni possano determinare i notevoli cambiamenti funzionali che avvengono nella vecchiaia. Se è vero che le cause dell'insorgere della senilità sono così limitate, è possibile ipotizzare degli interventi farmacologici atti a prevenirla, o quanto meno a ritardarla; assumendo però di non poter intervenire sulla mortalità, che avviene per cause non sempre strettamente collegate con il manifestarsi dell'invecchiamento. Socialmente, le implicazioni correlate con il rallentamento dei processi di invecchiamento sono notevolmente complesse; la longevità può, infatti, collegarsi con un'ulteriore diminuzione delle nascite, con l'aumento dello stato globale di salute e con una maggiore richiesta di produttività da parte di individui considerati fino a oggi anziani.