Verso nuovi equilibri
La guerra civile nella ex Iugoslavia
Solo Tito, grazie al proprio carisma, seppe tenere unita la Repubblica Federativa Socialista di Iugoslavia, formata da un mosaico di popoli molto eterogeneo. Alla sua morte, infatti, nelle diverse repubbliche federate vennero emergendo forti spinte separatiste. Durante gli anni '80, le forze centrifughe crebbero costantemente d'intensità. Per risolvere il problema, volendo scongiurare una guerra civile che sembrava sempre più vicina, nel 1991 il presidente della Bosnia-Erzegovina, Alia Izetbegovic, propose la trasformazione della federazione in una comunità di Stati sovrani. Tale proposta non fu presa in considerazione dal governo della confinante Serbia, osteggiata dal leader dei comunisti locali, Slobodan Milosevic. Mancando l'accordo, le repubbliche iugoslave di Slovenia e Croazia proclamarono unilateralmente l'indipendenza e, nel marzo 1992, un referendum popolare sancì analoga decisione da parte della Bosnia. Mentre la Slovenia conseguì l'obiettivo in modo quasi del tutto indolore, diversamente accadde per Croazia e Bosnia. In esse, infatti, intervenne l'esercito federale iugoslavo di Belgrado (capitale serba e federale). Ne è seguita una guerra civile di gravi proporzioni, risoltasi solo sul finire del 1995, quando, in seguito agli accordi di Dayton mediati dal presidente americano Clinton e sottoscritti a Parigi dagli interessati (14 dicembre 1995), sono terminate le ostilità. Dal conflitto è uscita particolarmente provata la capitale bosniaca Sarajevo, assediata a lungo dalle forze serbe.