Tra XX e XXI secolo
- Introduzione
- USA, dall'egemonia al predominio
- America Latina: la democrazia difficile
- La polveriera Medio Oriente
- Il subcontinente indiano
- La deriva dell'Africa
- Il Giappone e l'Asia orientale
- L'ascesa della potenza Cina
- L'Europa verso nuovi assetti
- L'Italia: si consolida il bipolarismo
- Approfondimenti
- Riepilogando
La deriva dell'Africa
A quasi mezzo secolo dalla sua decolonizzazione, l'Africa presenta uno scenario storico-politico ed economico carico d'ombre. Se è vero che il riuscito collaudo della giovane democrazia multirazziale del Sudafrica, confermato dall'elezione alla presidenza del successore di Mandela, Thabo Mbeki (1999), rappresenta un importante esempio e stimolo per il futuro del continente, è altrettanto vero che, salvo eccezioni come la Tunisia e il Senegal, il ricambio dei gruppi dirigenti africani è avvenuto e avviene ancora perlopiù attraverso vie extraistituzionali e in forme violente. Il susseguirsi di colpi di Stato, di dittature, di guerre civili, religiose o etniche (in alcuni casi casi al limite del genocidio, come in Burundi e in Ruanda negli anni '60 e ancora nel 1994) ha scandito le vicende africane del periodo successivo all'indipendenza, ma ha anche posto una pesante ipoteca sullo sviluppo economico del continente. La sua partecipazione al commercio mondiale, già ridotta negli anni '60 (3%) è crollata all'1 % negli anni '90. Particolarmente colpita è la regione subsahariana, flagellata da AIDS (che interessa nella regione quasi 30 milioni di abitanti), carestie, sottoalimentazione e sottosviluppo cronico. A condizionare il panorama africano contribuisce non solo il retaggio etnico-religiosi coloniale, ma anche la presenza ultramillenaria dell'Islam, all'origine di una complessa e frastagliata frontiera, che, mentre isola in parte dal resto del continente il Nordafrica (solidale al Medio Oriente e inserito nella Lega Araba), attraversa l'Africa orientale e quella del Sahel, concorrendo a intaccare la già precaria coesione interna di importanti Paesi. Tale è il caso, per esempio, della Nigeria, il più popoloso Stato africano, già teatro della guerra secessionista del Biafra (1966-69) e periodicamente lacerata ancora negli anni '90 e nel 2000-2002 da conflitti etnici a sfondo religioso nelle regioni musulmane settentrionali e centrali. È ancora il caso del Sudan, il maggior Stato africano per superficie, dove il predominio delle élite musulmane del nord è contrastato da una guerriglia quasi ventennale delle popolazioni cristiane e animiste del sud, che ha prodotto un milione di morti. O il caso della sterile guerra che nel 1998-2000 ha contrapposto l'Etiopia, a maggioranza cristiano-copta, all'Eritrea, a maggioranza musulmana.
Conflitti interetnici legati alla povertà o al degrado, ma molto spesso al controllo paracoloniale delle risorse (soprattutto materie prime, come uranio, oro, diamanti, petrolio e legni pregiati), si sono prodotti ancora in Liberia (1989-1997), Sierra Leone (1989-1998), Angola (1999-2002), Centrafrica e Costa d'Avorio (dal 2002). Il caso senz'altro più emblematico della profonda crisi in cui versa il Continente Nero è quello dell'ex Zaire, divenuto Repubblica Democratica del Congo dopo l'abbattimento della trentennale dittatura del maresciallo Mobutu Sese Seiko (1995-1997), deflagrato dal 1998-1999 in quella che viene definita la prima guerra mondiale africana e che vede coinvolte truppe di almeno cinque Paesi (Angola, Ruanda, Uganda, Zambia e Zimbabwe) e ha già seminato oltre 2 milioni di morti. Ma l'Africa non è solo ripiegata su se stessa, essa condivide e patisce le contraddizioni, gli sconvolgimenti, le paure e le speranze del resto del mondo, come gli attentati terroristici che, sempre nel 1998, hanno preso di mira le ambasciate degli Stati Uniti a Nairobi, in Kenya e a Dar es-Salam, in Tanzania. Naufraugata così l'illusione solidaristica del panafricanesimo, ma andata in frantumi anche la pretesa realpolitik del padri nobili dell'unità africana di poter preservare almeno le frontiere coloniali, gli Stati africani si sono trovati a dover ridefinire, se non a rifondare, i loro reciproci rapporti e, insieme, il proprio statuto continentale. Da ciò è scaturito il processo che nel 2001 ha trasformato la vecchia Organizzazione dell'Unità Africana (QUA), creata nel 1963, in Unione Africana (UA), dotata, sul modello europeo, di proprie istituzioni comunitarie (conferenza dei capi di Stato e di governo, parlamento, corte di giustizia, consiglio economico e sociale, segretariato), e affiancata da un organismo di promozione dello sviluppo (New economic partnership for the African Development, NEPAD).
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