Lessico

sm. [sec. XIV; dal latino spatíum].

1) Nell'accezione filosofica e scientifica, entità illimitata e indefinita nella quale i corpi sensibili sono contenuti e si muovono: l'uomo non riesce a immaginare nulla al di fuori dello e del tempo. Nell'accezione comune, il luogo esterno all'atmosfera terrestre, in cui si muovono i corpi celesti: lo cosmico; lanciare un missile nello ; gli eroi dello , i primi astronauti. Per la storia della conquista e dello sfruttamento dello spazio, inteso in questo senso, v. astronautica.

2) Estensione più o meno ampia ma limitata, circoscritta da vari elementi presi come punto di riferimento e in cui si trova o può essere posto qualche corpo: lo di una stanza, di un appartamento; ho bisogno di per lavorare; aereo, quello delimitato dall'immaginario prolungamento verticale dei confini dello Stato; pubblico, quello che si trova sotto o sopra un'area pubblica, come una strada o una piazza, e la cui occupazione è soggetta a una tassa; vitale, nella concezione nazista, Lebensraumin cui avrebbe dovuto dispiegarsi la "razza ariana"; per estensione, spesso scherzosamente, lo spazio e il complesso dei mezzi necessari per fare qualche cosa, per realizzare i propri fini: un bambino pieno di complessi perché in casa gli manca lo vitale.

3) Estensione di una superficie; area, territorio: la foresta si estende su un grande . In un giornale, in un libro e simili, la parte della pagina o delle pagine destinata alla stampa: il tuo articolo occupa troppo . Per estensione, in un discorso e simili, il tempo dedicato alla trattazione di un argomento: dedicare a un problema sufficiente. Con accezioni specifiche: A) in anatomia, morto, area o porzione dell'apparato respiratorio che non partecipa ai processi connessi agli scambi gassosi (cavità nasali, laringe, trachea, bronchi). B) In botanica, per intercellulari.

4) Luogo non occupato da oggetti, posto libero: se mi fai un po' di ci sto anch'io. In particolare, intervallo tra due punti, due elementi: lasciate uno tra le due righe. Con accezioni specifiche: A) in musica, ciascuno degli intervalli tra le linee del pentagramma. B) In tipografia, bianco tipografico interposto tra le lettere e le parole. Fig., agio, comodo, possibilità, opportunità: ognuno deve avere di manifestare le proprie capacità.

5) Estensione di tempo, periodo di tempo: è partito e tornato nello di un'ora.

Diritto

Per il diritto civile, colonna d'aria sovrastante il suolo; il proprietario del suolo non può opporsi alle attività dei terzi che si svolgono nello spazio (e nel sottosuolo) a un'altezza (e profondità) tale che non leda il suo interesse. Lo spazio non è di per sé un bene giuridico ma è il luogo dove sono situati i beni giuridici corporali.

Filosofia

Nella storia del pensiero e delle scienze il concetto di spazio è fondamentale ed è stato analizzato in modo diversissimo e con differenti metodi nelle diverse discipline: la considerazione dello spazio è infatti centralissima per la matematica come per la geometria, per la fisica come per la filosofia. In filosofia il concetto di spazio fu analizzato dalla prima ricerca greca in una linea realistica, che vedeva nello spazio una proprietà della materia e degli enti: tra i presocratici – dai pitagorici agli eleati, agli atomisti – domina il problema dell'estensione finita (Parmenide) o infinita (Melisso, Leucippo, Democrito), divisibile o indivisibile (Zenone) dello spazio; sino a Platone, dai cui dialoghi risulta una sostanziale identificazione tra lo spazio e quel caos iniziale informe che poi, per azione del Demiurgo, a imitazione delle Idee, assume forma e struttura, generando così tutte le cose del mondo sensibile. Secondo il concetto platonico, dunque, risulta che lo spazio è in sé informe e distinto dalle forme via via assunte: non direttamente percepibile, ma tale da rendere percepibili le cose che in esso vivono e si muovono, come uno “sfondo” universale del divenire. Aristotele nella sua Fisica definisce lo spazio un “luogo” dove i diversi corpi si muovono, entrano ed escono: qualcosa di assolutamente esistente e invariabile, così come tutte le determinazioni spaziali di alto e di basso, avanti e indietro; sicché, nello spazio, gli elementi e i corpi di differente natura si muovono ciascuno verso il suo luogo “naturale” (il fuoco sale, i corpi pesanti scendono). La tridimensionalità dello spazio, che secondo la concezione aristotelica contiene dunque tutti i corpi e gli oggetti, non impone però di considerare di natura corporea lo spazio stesso, proprio perché, se esso fosse tale, dovrebbe a sua volta rimandare a un altro spazio che lo comprendesse. In più, la concezione aristotelica dello spazio esclude tanto l'infinità quanto il vuoto: lo spazio, perché luogo di tutti gli enti mondani, è delimitato dal cielo; il vuoto, perché in esso non è data la possibilità di quelle determinazioni locali che sono per Aristotele di natura assoluta ed essenziali al concetto dello spazio; nella tarda grecità, si ritornò a posizioni vicine a quelle dei presocratici; nel periodo della Scolastica, con la sola eccezione di Guglielmo di Occam, qui come altrove anticipatore del pensiero rinascimentale, dominò incontrastata la concezione aristotelica. Lungo tutto il Rinascimento, da N. Cusano a Giordano Bruno – fondamentale a questo proposito la sua opera De l'infinito, universo e mondi – dominò invece l'idea di uno spazio senza confini, infinito come l'Universo stesso, del tutto privo di limiti fissi; concezione accolta anche da G. Galilei. R. Cartesio, che vede nell'estensione la proprietà essenziale della materia, rifiutò l'idea di uno spazio vuoto e ne riaffermò la divisibilità all'infinito. Con I. Newton e con la sua scuola prevalse l'idea di uno spazio assoluto, immobile, immutabile; G. Leibniz, al contrario, considerò lo spazio come ordine della coesistenza degli enti corporei; Spinoza lo identificò con l'estensione. Con J. Locke e gli altri empiristi, lo spazio è un'idea ricavata dall'esperienza, senza alcuna natura assoluta e determinabile su basi metafisiche: lo spazio non è per il Locke del Saggio sull'intelletto umano una realtà positiva, assoluta e indipendente dalle nostre idee, ma è anzi precisamente un'idea nata dalla percezione dei rapporti tra le cose. Contro queste tesi degli empiristi – riprese con maggior forza da G. Berkeley e da D. Hume, I. Kant rivendicò l'esattezza della conoscenza scientifica: lo spazio non è qualcosa di assolutamente esistente ed esterno al soggetto conoscente, ma è in realtà una forma che il soggetto stesso impone ai dati della sensibilità: è cioè la forma del senso esterno (come il tempo del senso interno); un'intuizione pura a priori, su cui soltanto è possibile basare giudizi scientifici universalmente validi. Dopo Kant, nel sec. XIX, l'enorme sviluppo della geometria e delle matematiche, insieme all'abbandono del presupposto del carattere unico ed esclusivo della geometria euclidea (G. Riemann, N. Lobačevskij, H. von Helmholtz su tutti), portò all'abbandono del presupposto filosofico dell'intuibilità dello spazio e della struttura fissa e stabile della nostra intuizione conoscitiva (così, poi, anche A. Einstein). Sul piano più strettamente filosofico, diverse sono le soluzioni nell'ambito del pensiero contemporaneo, soprattutto con la fenomenologia di E. Husserl e con l'esistenzialismo: M. Heidegger – in Sein und Zeit ha sviluppato, dal suo particolare punto di vista, i rari spunti husserliani e ha definito la spazialità caratteristica all'uomo in quanto essere-nel-mondo e quindi in un rapporto di lontananza-vicinanza-uso con gli enti “intramondani”; non una dimensione assoluta in cui vi sono mondo e “soggetto”, ma uno spazio che è tale solo in relazione al Dasein e che è, in definitiva, solo per esso e perché esso esiste; per M. Merleau-Ponty, sempre in una prospettiva fenomenologico-esistenzialistica, lo spazio non va concepito come un luogo o ambiente in cui le cose si collocano, ma il “mezzo” per cui il loro porsi e collocarsi diviene possibile.

Fisica: generalità

Il comune concetto di spazio e le proprietà che a esso si attribuiscono sono legati alle osservazioni e alle esperienze quotidiane sugli oggetti che ci circondano. La nostra stessa costituzione biologica ci ha condotto a una rappresentazione dell'Universo che rende per noi naturale considerare separatamente lo spazio e i corpi che in esso si trovano; questo concetto di spazio permette una comoda descrizione di molte proprietà degli oggetti, come la lunghezza di un segmento, la distanza di due punti, l'area di una superficie, il volume racchiuso da una superficie, gli angoli, la posizione di un punto rispetto a un altro ecc. Tutte queste proprietà geometriche degli oggetti possono venire trasferite nello spazio come sue proprietà, indipendenti dagli oggetti specifici, e si perviene a una descrizione precisa di quello che si chiama tridimensionale o euclideo.Come il comune concetto di spazio tridimensionale, cioè dello ordinario, è estraneo a un cieco nato, così esso si rivela inadeguato quando si studiano fenomeni che avvengono su scala immensamente maggiore di quella umana, come per esempio lo spazio dove avvengono scontri di galassie, o immensamente minore, come nella fisica atomica, nella fisica nucleare o nella fisica delle particelle fondamentali. Da una parte, nella descrizione dei fenomeni nell'immensamente grande, la teoria della relatività di Einstein critica e abbandona il concetto di spazio euclideo; dall'altro, la meccanica quantistica pone limiti alle nostre capacità di descrivere fenomeni su scala atomica e subatomica e introduce concetti diversi da quelli classici. Per esempio, lo spazio considerato nella teoria della relatività è detto -tempo di Minkowski, o cronotopo, o quadrimensionale.

Matematica: definizioni di spazio

In geometria, insieme di oggetti, da dirsi punti, che soddisfino a un insieme di assiomi. In tale definizione non si fa riferimento alla dimensione, cioè al numero di parametri reali occorrenti per individuare un punto qualunque, però quando gli spazi in questione hanno dimensione superiore a tre si parla più propriamente di iperspazio. Uno spazio così definito si dice compatto se ogni insieme infinito di punti scelto in esso ammette un punto di accumulazione anch'esso appartenente allo spazio stesso. Con euclideo si indica generalmente l'ordinario spazio a tre dimensioni, nel quale è studiata la geometria euclidea. Con tale termine si designa però anche lo spazio che consiste dell'insieme delle n-ple ordinate di numeri (reali o complessi), dove è introdotta la distanza euclidea d(x, y) tra i punti

definita come

nel caso n=3 si ha l'ordinaria distanza nello spazio rispetto a un fissato sistema di riferimento. Più propriamente tale spazio è detto spazio euclideo a n dimensioni. Lo grafico è un qualsiasi insieme di punti nel quale valgono le proprietà di incidenza della geometria proiettiva. In termini più rigorosi, uno spazio grafico di dimensione n, con n intero ≥2 è un insieme di punti nel quale si distinguono certi sottoinsiemi, detti sottospazi, a ciascuno dei quali è associato un numero intero non negativo <n, detto dimensione del sottospazio, di modo che valgano i seguenti assiomi: per ogni intero k compreso tra 0 ed n-1 esistono sottospazi di dimensioni k; si considerano come sottospazi anche l'insieme vuoto, cui si dà dimensione -1, e l'intero spazio, cui si dà dimensione n; Sh⊆Sk implica h≤k e h=k se e solo se Sh=Sk; dati due sottospazi Sh e Sk esiste il sottospazio intersezione dei due, Sh∩Sk=Si, ed esiste il sottospazio congiungente i due, cioè un sottospazio di dimensione minima u che li contenga entrambi; con le notazioni precedenti vale la relazione h+k=i+u. È detto proiettivo ogni spazio ottenuto aggiungendo a uno spazio euclideo gli elementi impropri e non mantenendo la distinzione tra elementi propri ed elementi impropri. Ogni spazio proiettivo è grafico, il viceversa non è sempre vero; si ha il seguente teorema: ogni spazio grafico irriducibile di dimensione maggiore o uguale a tre è proiettivo; per spazio grafico irriducibile s'intende uno spazio grafico che non è composto di due suoi sottospazi a intersezione vuota. Una generalizzazione degli spazi euclidei è lo metrico e cioè un insieme di punti M tale che a ogni coppia ordinata di punti x, y in M è associato un numero reale non negativo, d(x, y), detto loro distanza, di modo che siano soddisfatte le seguenti proprietà: d(x,y)=0 se e solo se x=y; d(x,y)= =d(y,x); d(x,y)+d(y,z)≥d(x,z). La terza prende il nome di disuguaglianza triangolare; la funzione d dicesi una metrica per M. In ogni spazio metrico può introdursi una topologia non appena si definiscano i dischi aperti di centro x e raggio r, con r numero reale positivo; un tale disco aperto è l'insieme dei punti di S aventi distanza minore di r dal centro P. Lo di Hilbert è un'elegante generalizzazione al caso di un numero infinito di dimensioni dello spazio metrico ordinario. I punti dello spazio di Hilbert sono le successioni (xn) di numeri reali per le quali è convergente la serie dei quadrati; la distanza tra due punti è allora la radice quadrata della somma della serie dei quadrati delle differenze delle coordinate di uguale indice (questa formula generalizza quella ordinaria della distanza tra due punti del piano metrico reale, dello spazio metrico reale a tre dimensioni ecc.). È detto funzionale un insieme di funzioni, tutte definite e continue in un unico campo di definizione nel quale si introducono i concetti di somma e sottrazione di funzioni, di moltiplicazione di una funzione per un numero, di distanza di funzioni ecc. Dicesi topologico un insieme di punti nel quale si distingue una famiglia di sottoinsiemi, che diconsi aperti, soddisfacenti alle seguenti proprietà: l'intero spazio e l'insieme vuoto sono aperti; l'unione di una famiglia qualunque di aperti è un aperto; l'intersezione di due e quindi di un numero finito di aperti è un aperto. La famiglia degli aperti è detta topologia sull'insieme dato. Un sottoinsieme C di uno spazio topologico S dicesi chiuso se C è il complementare di un aperto di S. Uno spazio topologico si dice connesso se non è l'unione di due aperti non vuoti e disgiunti. Vi sono altri modi equivalenti di introdurre il concetto di spazio topologico, per i quali si rimanda alla voce topologia. Uno spazio topologico S dicesi metrizzabile se è possibile definire una metrica per S che induca la topologia di S. Sussiste il teorema per cui uno spazio topologico regolare è metrizzabile se e solo se soddisfa al secondo assioma di numerabilità, cioè ammette una base per gli aperti che sia numerabile.

Matematica: lo spazio vettoriale

Dato un insieme V e un campo K (che può essere per esempio il campo reale o complesso), si dice che V è uno vettoriale sopra K se su V è definita un'operazione di addizione, simbolo +, ed è definita un'operazione di prodotto tra gli elementi di K con quelli di V, in modo che valgano i seguenti assiomi: V rispetto all'addizione è un gruppo abeliano; a(v+w)=av+aw, per ogni a in K e per ogni v, w in V; (a+b)v=av+bv, comunque si scelgano a, b in K e v in V; a(bv)=(ab)v; 1v=v, dove 1 è l'elemento neutro rispetto alla moltiplicazione di K. Questa definizione è una generalizzazione ottenuta dalle proprietà che godono i vettori dello spazio euclideo ordinario ed è l'ambiente più naturale nel quale studiare i sistemi di equazioni lineari. A tal fine una nozione importante è quella di dipendenza e indipendenza lineare: n vettori v₁,..., v diconsi linearmente dipendenti se esistono n elementi di K, a₁,..., an, non tutti nulli, tali che il vettore a₁v₁+...+anv sia il vettore nullo; se tali scalari non tutti nulli non esistono, gli n vettori diconsi linearmente indipendenti (combinazione). Spazi vettoriali che godono di opportune proprietà e cioè gli normati e completi, detti di Banach, sono l'ambiente idoneo per lo studio delle funzioni di variabile reale o complessa. Uno spazio vettoriale V sopra il campo reale complesso C dicesi normato se a ogni vettore v di V è associato un numero reale non negativo ||v||, detto norma di v, di modo che: ||v+w||≤||v||+||w||, per ogni v, w in V: ||av||=|a|||v||, se v sta in V e a in C; ||v||=0 implica v=0. Ogni spazio vettoriale normato V può trasformarsi in uno spazio metrico qualora si definisca la distanzatra v e w uguale a ||v-w||. Tale metrica dicesi associata alla norma. Uno spazio di Banach è allora uno spazio vettoriale normato che è completo nella metrica definita dalla sua norma, completo nel senso che ogni successione risulta essere convergente. § L'applicazione di uno spazio vettoriale su un corpo di scalari è detta forma. Una forma è quindi un caso particolare di operatore o di funzione. Essa è spesso identificata dal valore numerico che assume quando è applicata a un determinato vettore. Dato uno spazio vettoriale V (su di un corpo K), dicesi forma bilineare una corrispondenza che a ogni coppia di vettori (v, w) associa un elemento di K, <v, w>, in modo che siano soddisfatte le seguenti proprietà:

per ogni c ∊ K, uV, v V, w ∊ V. Se la forma bilineare è simmetrica, cioè se

per ogni v V, wV, la forma bilineare si dice prodotto scalare. Il prodotto scalare del vettore nullo per se stesso è nullo. Se K è il campo reale si dice prodotto scalare definito positivo un prodotto scalare tale che <v,v>, per ogni vettore v non nullo, è positivo. Ad ogni prodotto scalare definito positivo si associa una norma ponendo ||v||=<v,v>. Quindi ogni spazio vettoriale sul campo reale dotato di prodotto scalare definito positivo è normato. In uno spazio vettoriale di dimensione finita, se x₁,..., xn e y₁,..., yn sono le componenti di v e w, si ottiene per la forma bilineare un'espressione del tipo . Data una forma bilineare <v,w> in uno spazio vettoriale sul corpo K si definisce forma quadratica la corrispondenza da V in K definita da v —→ <v,v>. Se la dimensione di V è finita, rispetto a una base ortogonale, si avrà un'espressione del tipo , cioè la forma quadratica si esprime tramite una forma algebrica di secondo grado. La più immediata generalizzazione delle forme bilineari si ha nelle forme multilineari.

Matematica: gli A-moduli

A un diverso livello di astrazione, gli spazi vettoriali sopra un campo o sopra un corpo rientrano nella categoria degli A-moduli. Un A-modulo (sinistro) è un gruppo abeliano V, gli elementi (v, w,...) del quale possono essere moltiplicati (a sinistra) per gli elementi a, b,... dell'anello A, dando luogo ancora a elementi di V, in modo tale che si abbia: a(v+w)=av+aw; (a+b)v=av+bv; (ab)w=a(bw); e, se A possiede un'unità moltiplicativa, 1 tale che 1v=v. Si definisce in modo analogo un A-modulo destro, e si parla poi di A-modulo senz'altro quando le moltiplicazioni a destra e a sinistra di un v in V per un a in A coincidono.

Meccanica razionale: lo spazio delle fasi

In meccanica razionale, lo delle fasi è uno spazio a 2n dimensioni, definito per un sistema a n gradi di libertà, in cui le coordinate sono le n coordinate lagrangiane qi e gli n momenti a esse coniugati pi. Ogni punto dello spazio delle fasi rappresenta pertanto un generico stato del sistema in esame. Lo spazio delle fasi, detto anche spazio Γ, viene utilizzato soprattutto in meccanica statistica per descrivere sistemi della stessa natura in modo tale che ciascun sistema dell'insieme, in un determinato stato, viene rappresentato da un punto dello spazio delle fasi. L'evoluzione dello stato di un determinato sistema viene pertanto rappresentata dalla traiettoria di un punto di tale spazio. Se il numero di sistemi dell'insieme può ritenersi infinito, i punti rappresentativi possono distribuirsi con continuità in una regione dello spazio delle fasi. In questo caso si può definire nello spazio Γ una regione ω il cui volume, detto estensione dello delle fasi, viene calcolato mediante l'integrale

il cui valore risulta invariante per qualunque gruppo di coordinate lagrangiane scelte per rappresentare i sistemi dell'insieme. Nello spazio delle fasi valgono i seguenti due teoremi dovuti a J. Liouville: la densità di una distribuzione di punti nello spazio delle fasi non varia nel tempo, se si segue ciascun punto lungo la sua traiettoria; l'insieme di punti dello spazio delle fasi racchiuso in una qualsiasi ipersuperficie ha estensione che rimane inalterata nel tempo; ciò avviene anche se in generale la forma dell'ipersuperficie scelta si modifica nel tempo.

Psicologia

Il primo problema che si pone in riferimento alla percezione dello spazio è quello relativo alla tridimensionalità dello spazio percettivo, in contrasto con la bidimensionalità dell'immagine retinica. La sensazione di tridimensionalità viene ottenuta attraverso l'utilizzo di una serie di “indici di profondità” che consentono di collocare i diversi oggetti dello spazio percettivo a differente distanza dall'osservatore. Tali indici vengono distinti in binoculari, per il cui apprezzamento sono indispensabili entrambi gli occhi, e monoculari, che possono essere apprezzati con un solo occhio. Gli indici binoculari sono: la disparità retinica, consistente nel fatto che data la distanza tra i due occhi l'immagine che si forma su una retina è diversa da quella che si forma sull'altra retina e tale differenza è tanto maggiore quanto più vicini sono gli oggetti (su tale principio si fondano lo stereoscopio e il cosiddetto cinema in 3D); la convergenza, consistente nel fatto che quanto più un oggetto è vicino, tanto più tendono a convergere gli assi sagittali dei due occhi. Entrambi questi indici hanno una certa efficacia solo per oggetti vicini. Gli indici monoculari sono: l'accomodazione, consistente nel fatto che quanto più un oggetto è vicino, tanto maggiore deve essere la curvatura del cristallino, onde evitare i “cerchi di diffrazione” sulla retina; la grandezza familiare, consistente nello stimare la distanza di un oggetto sulla base della sua grandezza, ammesso che sia nota; la prospettiva lineare, consistente nella tendenza a stimare più distanti gli oggetti che sottendono un angolo visivo più piccolo; l'interposizione, consistente nello stimare più vicini gli oggetti che ne coprono parzialmente altri; la prospettiva aerea, consistente nello stimare più lontani gli oggetti la cui trama superficiale sia meno visibile; la parallasse monoculare, consistente nello stimare la distanza degli oggetti sulla base del loro movimento apparente in riferimento al movimento dell'osservatore: così gli oggetti vicini appaiono muoversi nella direzione opposta a quella dell'osservatore, quelli a distanza intermedia appaiono fermi e quelli molto distanti appaiono muoversi nello stesso senso dell'osservatore. Oltre a questi, si possono indicare altri indici monoculari, relativi a particolari effetti di luce, ombra e colore, alla trama della superficie, alla posizione nel campo visivo (gli oggetti posti in basso appaiono più vicini) ecc. Un altro problema relativo alla percezione dello spazio è quello della geometria dello spazio percettivo. Per molti anni si è ritenuto che tale geometria fosse euclidea, ma nel 1947 lo psicologo americano R. K. Luneburg ha dimostrato sperimentalmente che più probabilmente si tratta della geometria iperbolica di Lobačevskij. Nel 1965, poi, F. N. Shemyakin dimostrava che in determinate condizioni lo spazio percettivo seguiva la geometria di Riemann.

Sociologia

sociale: insieme dei rapporti tra individui, gruppi, classi sociali all'nterno del quale qualunque cambiamento viene percepito come movimento, anche se il soggetto fisicamente non cambia di posto. Il concetto di spazio sociale viene elaborato in modo rigoroso dai filosofi razionalisti del sec. XVII (Hobbes, Descartes, Leibniz, Spinoza), che considerano la società come un sistema razionale di relazioni spaziali tra soggetti individuali e collettivi. Nel pensiero sociologico contemporaneo, il concetto di spazio sociale ha avuto grande rilevanza nella sociologia formale di Simmel e von Wiese, per la quale lo spazio sociale è il piano su cui si svolgono i processi sociali fondamentali. Sorokin (v.) ha utilizzato il concetto di spazio sociale per spiegare la dinamica sociale e culturale. Per lo studioso statunitense, lo spazio “socio-culturale” è costituito dagli individui, dai gruppi e dai “manufatti” di cui si servono per interagire, ma anche dai sistemi di significato, che egli individua in numero di otto: linguaggio, scienza, filosofia, religione, arte, etica, diritto, tecnica. La posizione di un individuo all'interno dello spazio sociale è data da dieci coordinate: otto definiscono la sua posizione in ciascuno dei sistemi di riferimento, una la sua posizione nei gruppi a legame unico (per esempio, la parentela) e una quella nei gruppi a legame multiplo (per esempio, la classe sociale).

Geografia

Il termine spazio, in geografia, è molto spesso usato come sinonimo di territorio. In realtà, tale semplificazione è comprensibile nel caso in cui il geografo operi su situazioni empiricamente identificabili mediante rapporti fra elementi fisici e umani, ma sotto il profilo teorico-metodologico appare equivoca e richiede alcune precise definizioni. Si devono distinguere, innanzi tutto, le concezioni di assoluto e relativo. La prima rimanda alla geometria euclidea e alla posizione cartografica di ciascun punto, esattamente individuata dai valori delle coordinate geografiche (latitudine e longitudine): ogni fenomeno risulta pertanto unico e irripetibile, come pure immutabili sono le distanze fra i diversi punti dello spazio geografico. Con l'affermarsi della teoria generale della relatività di Einstein, e dunque dalla prima metà del sec. XX, lo spazio delle scienze sociali (fra cui la geografia antropica ed economica) viene a essere piuttosto concettualizzato come un campo di forze, le cui proprietà dipendono dalla distribuzione degli oggetti (masse) e dalle relazioni reciproche instaurate fra i medesimi. Uno funzionale si contrappone, così, allo uniforme, improntato da singoli caratteri, della geografia classica: ne scaturisce l'idea relativista di regione, dove inizialmente, tuttavia, l'assunzione di uno spazio isotropo, indifferente sia alle condizioni fisiche, sia ai comportamenti umani, limita la validità dei modelli organizzativi. Con l'introduzione di elementi differenziali rappresentati dalle tecnologie e dalla conseguente divisione del lavoro, dalle scelte localizzative e dai vincoli a esse frapposti non solo dalla distanza assoluta, bensì anche dalla morfologia territoriale, dagli scambi di risorse inegualmente distribuite, dalle relazioni sociopolitiche e dalla diffusione delle informazioni, lo spazio geografico si configura come prodotto sociale, regolato dal progetto del gruppo umano che lo controlla e dal ruolo che questo viene ad assumere alle diverse scale regionali, dalla locale all'internazionale.

Tecnologia

Nelle macchine alternative è detto morto il volume ancora disponibile nella camera di compressione al termine della corsa di compressione dello stantuffo. Lo spazio morto non si può mai completamente eliminare perché occorre lasciare un certo spazio tra stantuffo e cielo del cilindro, sia per il movimento delle valvole, sia perché non si possono tollerare urti tra i due elementi. Si tenta tuttavia di ridurre al minimo tale spazio disponendo opportunamente le valvole, costruendo stantuffi a scalini o unendo opportunamente i vari cilindri tra loro. Nei motori a due tempi a carter-pompa, dove, soprattutto per la presenza di un complesso manovellismo, non tutto il volume del carter può essere sfruttato per l'aspirazione e la precompressione della miscela, si chiama talvolta spazio morto, o più spesso spazio nocivo, la differenza tra il volume effettivo del carter e quello teoricamente necessario al riempimento del cilindro a parità di pressione del carter.

Bibliografia

Per la filosofia

J. Favard, Espace et dimension, Parigi, 1950; R. Saumelis, La dialectica del espacio, Madrid, 1952; M. Jammer, Concept of Space, Cambridge, 1954; H. Conrad-Martius, Der Raum, Monaco, 1958; G. S. Arcidiacono, Spazio, tempo e universo, Roma, 1961; O. F. Bollnow, Mensch und Raum, Stoccarda, 1963; M. Whiteman, Philosophy of Space and Time, and the Inner Constitution of Nature, Londra, 1967; D. B. Larson, New Light on Space and Time, Portland, 1968; G. Boniolo (a cura di), Aspetti epistemologici dello spazio e del tempo, Roma, 1987.

Per la fisica e la matematica

N. Bourbaki, Espaces vectoriels topologiques, Parigi, 1953; F. Treves, Topological Vector Spaces, Distributionsand Kernels, New York, 1967; W. G. Chinn, N. E. Steenrod, Topologie élémentaire, Parigi, 1970; M. Mamiani, Teoria dello spazio e del tempo, Roma, 1987.

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