segnale

Indice

Lessico

sm. [sec. XIV; latino tardo signāle, da signum, segno].

1) Indicazione, segno convenzionale o convenuto di varia natura, che serve per comunicare, per avvertire, per ordinare: uno sparo era il segnale della partenza; attendere il segnale stabilito; segnale di pericolo, di aiuto. Concretamente, oggetto, strumento, dispositivo che serve a segnalare: segnale stradale, segno convenzionale, disegno o scritta apposti su pannelli tenuti alti e lateralmente alla sede stradale (segnale verticale) oppure segno o scritta tracciati sulla sede stradale (segnale orizzontale), facenti parte della segnaletica, un complesso organico stabilito per legge e teso a disciplinare il traffico.Segnale d'allarme, dispositivo che sui treni consente al viaggiatore di bloccarne la marcia in caso di assoluta necessità; consiste in una manopola, posta in ciascuno scompartimento o nelle testate del vagone open space, che tirata provoca una depressione nella condotta principale del circuito frenante e mette automaticamente in funzione la frenatura d'emergenza. Segnale di soccorso, quello lanciato per chiedere aiuto in montagna: può essere ottico (bandierine, vestiti, fuochi, lanterne ecc.) o acustico (fischi e grida) e deve essere ripetuto sei volte in un minuto e con l'intervallo di un minuto.

2) Fig., indizio, sintomo: proteste che erano segnale di un vasto malcontento. Anticamente, segno in genere: “diede assai manifesto segnale ciò esser vero” (G. Boccaccio).

3) Segnalibro, segnacarte: mettere un segnale nel volume.

4) In psicologia, generalmente stimolo che convoglia un'informazione, relativamente a determinati criteri. Così, per esempio, viene detto segnale lo stimolo specifico che va rilevato rispetto agli altri stimoli che costituiscono il rumore di fondo, da cui esso va discriminato.

5) In etologia, stimolo-segnale, o più semplicemente segnale, qualsiasi elemento di comunicazione prodotto da un animale (emittente) che sia capace di determinare un cambiamento di comportamento (reazione) in un altro animale (ricevente).

6) In elettronica e nelle telecomunicazioni, grandezza fisica variabile, utilizzata per rappresentare informazioni e messaggi di vario tipo e di varia natura.

7) Negli automatismi, qualunque grandezza direttamente implicata in un processo di regolazione e di controllo.

8) In informatica, variazione di valore di una data grandezza fisica, di durata limitata, tale da poter essere percepita dagli organi di senso o rivelata da un idoneo apparecchio, associata a una data quantità di informazione. I segnali possono essere acustici, ottici, meccanici, elettrici; altri segnali, associati a quantità di informazione molto più elevata, sono compresi in tracciati di potenziali bioelettrici, per esempio elettrocardiogrammi ed elettroencefalogrammi.

9) Nelle ferrovie e in marina, mezzi ausiliari di natura acustica o visiva la cui funzione è di trasmettere istruzioni o avvisi al personale lavorante.

Tecnologia dell'informazione: generalità

La nozione di segnale è utilizzata in vari settori della tecnologia dell'informazione e ha ampia rilevanza anche in molti altri rami della scienza e della tecnica. Nei riguardi del tipo di informazione trattata, è possibile distinguere il segnale audio, che rappresenta l'andamento nel tempo dell'informazione relativa a messaggi vocali, musicali, ecc., il segnale video, che rappresenta la distribuzione su un piano e in funzione del tempo delle informazioni di luminanza e crominanza relativi a immagini fisse o in movimento, e il segnale di controllo, che rappresenta l'andamento di vari tipi di informazioni relative a strumentazioni, sistemi elettrici, meccanici o di altra natura. Nei riguardi del tipo di applicazione, si parla di segnale telegrafico, telefonico, radiofonico, televisivo, ecc. con riferimento al tipo di servizio indicato; in questi casi il segnale assume caratteristiche ben precise, relative al periodo storico e al tipo di tecnologia utilizzata per la singola applicazione.

Tecnologia dell'informazione: tipologie di segnale

Un primo tipo di classificazione riguarda il numero delle variabili indipendenti utilizzate per definire il segnale considerato. Nel caso, per esempio, di un segnale audio interessa rappresentare l'andamento nel tempo della pressione acustica relativa al messaggio sonoro considerato: in questo caso si dice che il segnale audio è di tipo monodimensionale, in quanto si tratta di una grandezza (la pressione acustica) in funzione di una sola variabile indipendente, cioè il tempo. Nel caso invece di un'immagine in bianco e nero, si tratta di considerare l'andamento di una grandezza fisica, la luminanza, in funzione di due coordinate spaziali relative all'altezza e alla larghezza della pagina (rettangolare) da rappresentare: si parla allora di segnale bidimensionale, poiché si tratta di una grandezza funzione di due variabili. In altri casi più complessi si possono anche considerare segnali a molte dimensioni (multidimensionali). Da quanto detto si può comprendere che il segnale non è assimilabile soltanto ad andamenti di grandezze fisiche concrete, ma, in senso più astratto, a delle funzioni matematiche di tipo generale. Segnali analogici e digitali. Un segnale si dice analogico quando sia la variabile indipendente (il tempo oppure lo spazio) sia la grandezza rappresentata sono quantità di tipo continuo (in un certo intervallo); per esempio, una tensione elettrica in un circuito può rappresentare un andamento nel tempo di una grandezza continua, ed è quindi assimilabile a un segnale analogico. Nella tecnica moderna delle comunicazioni, ai segnali di tipo analogico si sono via via affiancati quelli di tipo digitale. Due le caratteristiche che distinguono i secondi dai primi: a) la variabile indipendente, che non è più continua, ma è definita in un insieme discreto di punti; per esempio, in un segnale audio, rinunciando alla conoscenza della pressione acustica in tutti gli istanti di un certo intervallo, ciò corrisponde a considerare solo la pressione in certi istanti preassegnati; il passaggio dalla variabile continua a quella discreta è detto campionamento; b) la grandezza fisica di interesse, che non è essa stessa definita su un intervallo continuo, ma solo su certi livelli preassegnati; il passaggio da grandezze continue a grandezze discrete è detto processo di quantizzazione. Nella teoria dell'informazione sono studiati tutti i problemi legati alla trasformazione di segnali analogici in digitali, e viceversa. In particolare, è di grande interesse che tale trasformazione avvenga senza perdita di informazione in relazione al messaggio considerato; a questo proposito le considerazioni teoriche di base sono riassunte in una serie di enunciati noti come "il teorema del campionamento" (o teorema di Shannon). Dal punto di vista applicativo, esistono opportuni circuiti elettronici che consentono, con varie modalità e per vari casi, di effettuare tale trasformazione: precisamente gli ADC (Analog to Digital Converter, convertitori analogico-digitali) permettono di trasformare segnali analogici nei corrispondenti segnali digitali, mentre i DAC (Digital to Analog Converter, convertitori digitali analogici) permettono di eseguire il processo inverso. Quanto detto vale sia per segnali monodimensionali sia per quelli multidimensionali. Essendo in ultima analisi corrispondente a un insieme discreto di quantità discrete, un segnale digitale può essere rappresentato con sequenze di numeri, da cui il termine segnale numerico (in inglese digital signal, tradotto in modo improprio come segnale digitale); precisamente, un segnale digitale monodimensionale corrisponde a una stringa di numeri (in termini matematici, vettore), uno digitale bidimensionale a una tabella di numeri (in termini matematici, matrice). I segnali audio, video e di controllo sono in origine di tipo analogico, ma possono essere trasformati in forma digitale; i segnali telefonici, radiofonici e televisivi possono assumere forma analogica o digitale, a seconda della tecnologia usata; il segnale telegrafico, infine, che consiste in messaggi alfanumerici composti da un numero finito di simboli, può essere considerato come un segnale originariamente di natura digitale.

Tecnologia dell'informazione: processi di elaborazione del segnale

Nelle telecomunicazioni, i vari tipi di segnali subiscono una serie di modifiche e operazioni atte a rendere agevole la comunicazione a distanza e lo sviluppo dei vari servizi di interesse. Le principali operazioni effettuate sul segnale sono: a) l'acquisizione, processo di trasformazione dell'informazione originaria in un segnale di tipo elettrico (tale operazione è effettuata con opportuni trasduttori, come microfoni, telecamere, macchine fotografiche digitali, ecc.); b) la restituzione in forma fruibile, processo inverso al precedente, atto a ricostruire un modello del messaggio originale in forma fruibile dall'utente (attraverso opportuni apparati, quali altoparlanti, auricolari, schermi elettronici, ecc.); c) la memorizzazione, processo in grado di conservare l'informazione di interesse in forma tale da poter essere utilizzata successivamente (attraverso nastri magnetici, CD-ROM, DVD, ecc.); d) la trasmissione, processo corrispondente all'invio a distanza del segnale, normalmente sotto forma di campo elettromagnetico irradiato (come onde radio, microonde, fascetti ottici convogliati in cavi a fibra ottica, ecc.); tenuto conto della velocità di trasmissione sempre molto prossima alla velocità della luce, ciò permette di inviare segnali a distanza in tempi quasi trascurabili (su scala terrestre); e) l'elaborazione, insieme di processi atti a migliorarne le caratteristiche, in modo da rendere il messaggio contenuto maggiormente immune da varie forme di degradazione e in modo da rendere possibili (o agevolare) i processi di trasduzione, memorizzazione e trasmissione. Fra i processi di elaborazione del segnale si possono citare la modulazione (il segnale assegnato viene trasformato in uno nuovo con caratteristiche più adatte alla trasmissione a distanza) e la multiplazione (più segnali vengono messi insieme in modo da ottenerne uno nuovo, che può quindi essere trattato come un tutto unico). In generale i vari tipi di elaborazione possono essere effettuati in modo molto più semplice e versatile sui segnali digitali piuttosto che su quelli analogici. Dato infatti che i segnali digitali, come detto, sono assimilabili a sequenze numeriche, l'elaborazione può essere realizzata con un opportuno insieme di calcoli numerici, definito algoritmo di elaborazione, implementato su opportuni dispositivi di calcolo elettronico detti DSP (Digital Signal Processor, processore di segnali digitali). Per contro, qualunque elaborazione su un segnale analogico consiste nell'uso di un opportuno circuito elettronico analogico, che risulta normalmente di difficile progettazione e di utilizzazione poco versatile.

Tecnologia dell'informazione: analisi spettrale del segnale

Molto utilizzata nello studio dei segnali è la cosiddetta analisi spettrale. Essa consiste nell'effettuare sul segnale dato una opportuna trasformazione (trasformazione di Fourier): per segnali monodimensionali si ottiene così lo spettro di frequenza del segnale, dal quale si possono dedurre informazioni utili circa il modo con cui sono distribuite le variazioni e le oscillazioni del segnale stesso. Lo spettro di un segnale monodimensionale corrisponde all'andamento in frequenza di due grandezze, precisamente l'ampiezza e la fase: si ottengono così gli spettri di ampiezza e di fase in funzione della frequenza, la cui misura viene effettuata in Hz. Per segnali bidimensionali l'analisi spettrale dà luogo ai cosiddetti spettri bidimensionali, di ampiezza e fase in funzione di due variabili spettrali, la frequenza orizzontale e la frequenza verticale. Nel caso di segnali analogici, la considerazione degli spettri di ampiezza e di fase è importante soprattutto a livello teorico; nel caso di quelli digitali, invece, gli spettri possono essere ottenuti effettivamente, e in modo molto semplice e pratico, con dei particolari algoritmi detti DFT (Discrete Fourier Transform, trasformate discrete di Fourier). La loro determinazione è pratica comune nei processi di elaborazione digitale del segnale. A questo proposito esiste un importante algoritmo per ottenere la trasformata DFT, che consiste nell'effettuare i calcoli in modo particolarmente efficiente, secondo un metodo detto FFT (Fast Fourier Transform, trasformata di Fourier veloce). Tale metodo può essere agevolmente implementato su vari tipi di DSP, così che è molto facile trasformare un segnale digitale nei sui spettri di ampiezza e di fase (che risultano a loro volta di natura digitale) e viceversa. Tale trasformazione può essere effettuata in tempo reale, cioè con velocità di calcolo compatibile con il procedere della sequenza numerica che rappresenta il segnale stesso. Un algoritmo di elaborazione è definito "nel dominio del tempo" quando viene svolto senza l'uso di trasformate dirette o inverse, "nel dominio della frequenza" nel caso contrario.

Tecnologia dell'informazione: quantità di informazione del segnale

A ogni segnale è associata una certa quantità di informazione, che corrisponde a quanto di nuovo è presente nel messaggio contenuto nel segnale stesso, rispetto alle conoscenze acquisite in precedenza dall'utente fruitore del segnale. Nel caso di segnali analogici, la definizione della quantità di informazione in essi contenuta è piuttosto difficile da definire e calcolare. Nel caso di quelli digitali, viene considerata per prima cosa la quantità di informazione corrispondente a una scelta fra due quantità equiprobabili (per esempio la scelta fra bianco e nero, fra 0 e 1, ecc.), detta scelta binaria: tale quantità di informazione viene presa come valore di riferimento e viene denominata bit. Occorre notare che, se l'utente fruitore ha già qualche conoscenza che gli consente di sapere a priori che la scelta non è equiprobabile (per esempio, se, nel particolare contesto, egli sa che è più facile che il colore sia bianco piuttosto che nero), l'informazione non è più equiprobabile e non risulta più uguale a un bit. Un messaggio complesso, espresso in forma digitale, può essere pensato come l'insieme di un gran numero di scelte binarie e pertanto gli può essere attribuita una certa quantità di informazione (ossia un certo numero di bit). Ovviamente non è detto che i singoli campioni del segnale siano tutti equiprobabili, poiché la probabilità di un certo campione spesso dipende dalla sequenza dei campioni precedenti (per esempio, se il messaggio consistesse nella trasmissione di parole in lingua italiana, alla sequenza corrispondente alle lettere "perch" è quasi sicuro che segua la lettera "é", e quindi i campioni corrispondenti a quest'ultima lettera non portano informazione, essendo già noti all'utente). Queste considerazioni danno luogo, nell'analisi dei segnali, a molti procedimenti per ridurre al minimo tutte le informazioni non essenziali, i cosiddetti algoritmi di riduzione di ridondanza, essenziali nei riguardi dei segnali audio e video (per immagini fisse o in movimento) poiché permettono di ridurre notevolmente, a parità di informazione trasmessa, la lunghezza dei messaggi da considerare. Quando il segnale corrisponde a messaggi che evolvono nel tempo (come quello vocale), si considera la quantità di informazione che transita per ogni secondo, misurata quindi in bit/s.

Tecnologia dell'informazione: degradazione del segnale

In tutte le fasi in cui un certo segnale viene considerato (generazione, memorizzazione, trasmissione, ecc.) capita spesso che esso risulti degradato, rendendo difficile o impossibile il recupero del messaggio in esso contenuto. Tale degradazione viene spesso schematizzata come un ulteriore segnale (non desiderato) sovrapposto a quello utile, a cui si dà il nome generico di "rumore". Fra i vari tipi di rumori presenti, si possono distinguere quelli correlati e quelli incorrelati. Il rumore correlato corrisponde a un andamento che in qualche modo trae origine dal segnale utile, disturbandone però la fruizione: per esempio, nel caso del segnale audio, un segnale di eco sovrapposto corrisponde alla ripetizione e sovrapposizione di un segnale quasi uguale a quello utile, ma ritardato di un piccolo intervallo temporale (se l'intervallo è superiore al secondo il risultato può essere anche piacevole, ma se è di solo qualche decimo di secondo, l'eco può rendere incomprensibile il segnale stesso, come nel caso di certe forti riverberazioni acustiche); un altro esempio può essere quello relativo a immagini "mosse", nelle quali un'immagine simile a quella utile si sovrappone alla precedente creando fastidiosi effetti visivi. Il rumore incorrelato corrisponde a segnali non desiderati che traggono origine da fonti del tutto diverse rispetto alla fonte principale di informazione considerata; i vari tipi di rumore danno luogo a degradazione del segnale, che a seconda dei casi può causare, o meno, perdita di informazione rispetto al messaggio di interesse. Molti algoritmi di elaborazione hanno lo scopo di eliminare o ridurre gli effetti dei rumore, rendendo migliore la fruizione dell'informazione desiderata. Tali algoritmi sono spesso molto efficienti e possono dare risultati insospettabili, in quando in molti casi la presenza del rumore nasconde e maschera l'informazione utile senza però distruggerla del tutto. In particolare, nei segnali digitali è spesso presente un rumore di tipo analogico sovrapposto a essi: in questi casi il recupero del segnale corretto è spesso integrale, in quanto il rumore, pur deformando notevolmente le forme d'onda ricevute, non riesce a distruggere l'informazione binaria d'interesse. Il rumore su segnali digitali viene caratterizzato dalla probabilità che un certo campione sia interpretato in modo erroneo; a tale quantità si dà il nome di "probabilità di errore". I segnali digitali con probabilità di errore sufficientemente bassa possono essere recuperati integralmente (per esempio introducendo una certa codifica nel segnale, ovvero una certa ridondanza); quando la probabilità di errore è invece troppo elevata si può avere la perdita totale e repentina dell'informazione utile. Questa è una proprietà che caratterizza molti tipi di segnali digitali: al crescere del rumore, infatti, la fruizione prima risulta perfetta, poi, repentinamente, del tutto impossibile. Di contro, i segnali analogici, al crescere del rumore, tendono a manifestare degradazioni di tipo continuo e progressivo. Molto spesso il rumore può essere discriminato rispetto al segnale ricorrendo a un trattamento nel dominio della frequenza, particolarmente quando il segnale e il rumore hanno componenti spettrali in bande di frequenza poco, o per niente, sovrapposte: in questo caso si ottiene la riduzione del rumore attraverso un filtraggio, che attenua le bande di frequenza a esso relative. Il filtraggio viene effettuato su entrambi i tipi di segnali (analogici e digitali), ma può dare luogo a perdita di informazione utile se la banda di rumore è parzialmente sovrapposta alla banda del segnale.

Tecnologia dell'informazione: il segnale audio

Il segnale audio corrisponde genericamente a messaggi sonori (vocali, musicali, segnalazioni acustiche, ecc.). La qualità di informazione richiesta è legata al tipo di applicazione ed è in genere rappresentata della banda delle frequenze necessarie per ottenere una riproduzione accettabile. Questa caratteristica dipende fondamentalmente dalla sensibilità dell'orecchio umano, che riesce ad apprezzare frequenze da pochi Hz fino a ca. 15 kHz. Inoltre è dimostrato che l'orecchio è molto sensibile agli spettri di ampiezza (che corrispondono al peso relativo che hanno le varie componenti spettrali del segnale), ma quasi per nulla agli spettri di fase (il che corrisponde al fatto che ciascuna componente spettrale potrebbe essere traslata a piacere nel tempo senza provocare alterazioni apprezzabili nella sensazione uditiva). La banda di frequenza suddetta corrisponde, nel caso di segnali musicali, alla possibilità di trasmettere senza distorsioni di timbro il suono dei vari strumenti musicali, e, nel caso di segnali vocali, alla possibilità non solo di riconoscere il parlatore, ma anche di giudicare il parlato riprodotto pressoché indistinguibile da quello naturale. Di contro, nelle applicazioni telefoniche, è stato definito uno standard molto più ridotto, sulla base dell'esigenza di ridurre il più possibile la banda di frequenza garantendo il solo riconoscimento del parlato e del parlatore (anche se con timbro alquanto diverso da quello naturale). Ciò ha portato a definire il segnale telefonico come un particolare segnale audio con banda di frequenza compresa tra i 300 e i 3400 Hz (assolutamente inadatta per la trasmissione fedele di segnali musicali). Al di sopra dello standard telefonico sono stati successivamente definiti vari altri standard, e precisamente audio normale (da 50 a 4500 Hz), audio musicale (da 30 a 12.000 Hz), audio in alta fedeltà (da almeno 30 ad almeno 15.000 Hz). Il segnale audio è per sua natura di tipo analogico, ma può essere trasformato in forma digitale con indubbi vantaggi per la sua trasmissione e memorizzazione. Il segnale audio digitale viene campionato con un numero di campioni/s pari ad almeno il doppio della frequenza massima considerata (in ottemperanza al teorema del campionamento): pertanto si va da 8000 campioni/s per il segnale telefonico fino a 44.100 campioni / s per quello audio in alta fedeltà. Per definire univocamente le caratteristiche del segnale audio digitale è anche necessario definire il livello di quantizzazione, cioè il numero di bit trasmessi per ogni campione di segnale. Da questo punto di vista, il segnale telefonico utilizza 8 bit per campione, mentre quello audio ad alta fedeltà ne utilizza 16, in modo da riprodurre in modo adeguato i livelli di energia sonora che vanno dal pianissimo al fortissimo. Ne segue che, per il segnale telefonico, lo standard prevede 8000 x 8 = 64 kbit/s, corrispondenti alla velocità di trasmissione del segnale PCM (Pulse Code Modulation, modulazione a codice di impulsi), introdotto in telefonia negli anni Sessanta del XX secolo. Secondo un differente standard PCM utilizzato negli Stati Uniti, essendo considerati solo 7 bit per campione, si ottiene una velocità di trasmissione pari a 8000 x 7 = 56 kbit/s. Per il segnale audio in alta fedeltà, risulta invece 44.100 x 16 = 705,6 kbit/s. Occorre notare che, mentre per la trasmissione del segnale digitale è comune esprimere la velocità in bit/s, nel caso in cui detto segnale debba essere memorizzato si preferisce esprimere la quantità di informazione digitale in byte. Pertanto, nella memorizzazione di segnali digitali in alta fedeltà, essendo ogni campione da 16 bit pari a due byte, si ottiene 44.100 x 2 x 60 = 5.292.000 byte per ogni minuto di suono registrato. Poiché inoltre il byte è una quantità di informazione usata soprattutto in informatica, è pratica comune considerare il kbyte pari non a 1000, bensì a 1024 byte, e così il Mbyte pari non a 1.000.000, bensì a 1024 x 1024 = 1.048.576 byte. Pertanto un minuto di segnale sonoro in alta fedeltà corrisponde a 5.292.000 / 1.048.576 ≡ 5,05 Mbyte, quantità utile per valutare il tempo massimo di registrazione effettuabile su un certo supporto (per esempio, su un comune CD-ROM, essendo memorizzati due canali stereofonici in alta fedeltà, si ha la possibilità di memorizzare ca. 80 minuti di segnale audio a 5,05 x 2 = 10,1 Mbyte al minuto).

Tecnologia dell'informazione: sistemi di codifica del segnale audio

Negli ultimi decenni del XX secolo sono stati fatti molti studi per ridurre la ridondanza del segnale audio, al fine di rendere più piccola la quantità di informazione binaria da trasmettere o memorizzare secondo i vari standard. Sono state così introdotte degli opportuni sistemi di codifica in grado di rendere minore il numero di bit/s a parità di qualità di trasmissione. Il sistema di codifica più comunemente adottato è lo standard Mp3 (Motion Picture Expert Group - Audio Layer 3), che permette di ridurre il numero di bit di un fattore fino a 12. Il fattore di riduzione non è fisso, poiché la codifica di compressione MP3 agisce in modo adattativo a seconda del tipo di segnale audio considerato. Per i segnali di tipo musicale si ottengono comunemente fattori di riduzione variabili da 10 a 12. Pertanto, nel migliore dei casi, a un minuto di segnale audio stereofonico in alta fedeltà corrispondono, in codifica Mp3, ca. 10,1 / 12 = 0,84 Mbyte; pertanto, un CD-ROM nel quale il segnale musicale fosse memorizzato in Mp3 potrebbe contenere fino a un massimo di 80 x 12 = 960 minuti di musica. L'uso dei sistemi di codifica deve presupporre in fase di fruizione un'opportuna decodifica da effettuarsi con opportuni algoritmi di decompressione del segnale. Tali algoritmi possono essere in tempo differito (nel qual caso, dato un file in Mp3, questo viene convertito nel segnale dato attraverso un processore che non provvede a fornire la sua immediata fruizione uditiva) oppure in tempo reale (nel qual caso la decompressione del file Mp3 deve avvenire nello stesso tempo in cui la musica viene ascoltata dall'utente). Quest'ultima possibilità è ormai comunemente adottata in quasi tutti i modelli di lettori di CD musicali (i quali sono in grado di accettare in ingresso dei file di tipo Mp3) grazie alla realizzazione di dispositivi DSP sufficientemente potenti e veloci. In ogni caso la codifica Mp3 è largamente utilizzata per inviare brani musicali attraverso Internet, stante la non eccessiva quantità di informazione da trasmettere. Anche nel campo dello standard telefonico sono state introdotte varie tecniche di codifica al fine di ridurre il numero di bit/s necessari per la trasmissione. Per esempio la tecnica DPCM (Differential Pulse Code Modulation) si basa su un particolare algoritmo che utilizzando alcuni campioni precedenti permette di effettuare una predizione su basi statistiche del campione in oggetto. In questo modo si può trasmettere solo la differenza fra il campione e la sua predizione, permettendo un sostanziale risparmio sul numero di bit da trasmettere. Con la tecnica DPCM si riesce a codificare segnali telefonici con soli 16 kbit/s. Risultati ancora migliori si possono ottenere con i vocoder (voice-coder, codificatori vocali), nei quali la sorgente di segnale vocale viene simulata con opportuni generatori di segnale (che simulano la parte vocalica dei suoni emessi) e con sorgenti di rumore (che ne simulano la parte consonantica). Il tratto di emissione del suono viene simulato con un opportuno filtro digitale. In questo modo viene realizzato un buon modello dell'emissione di voce umana. Nella sezione trasmittente del vocoder viene effettuata un'analisi del tratto solo al fine di individuare i parametri del modello simulativo (ampiezza delle sorgenti vocali e consonantiche, coefficienti del filtro di emissione), poi trasmessi in forma binaria, in modo che nell'apparato di ricezione, applicati a un modello simulato, possano generare (in termini tecnici, sintetizzare) un segnale vocale simile a quello di interesse. Tale sistema, pur non adatto alla trasmissione di segnali musicali, ma solo di quelli vocali e, anche per questi ultimi, con una ricezione non del tutto perfetta, permette di ottenere un'enorme riduzione sulla quantità di informazione da trasmettere, arrivando fino ad appena 2400 bit/s. Sull'esempio del vocoder sono stati realizzati molti dispositivi per il riconoscimento e per la sintesi del segnale vocale: i primi consistono in opportuni algoritmi in grado di acquisire il segnale vocale (come grandezza di ingresso) e di fornire il testo alfanumerico del messaggio di interesse (come grandezza di uscita); i secondi hanno funzione opposta, sono cioè in grado di sintetizzare un segnale vocale a fronte di un testo scritto preassegnato. Gli algoritmi di riconoscimento e sintesi sono molto complessi, e la complessità risulta maggiore per i primi rispetto ai secondi; sono infatti previste funzionalità ad alto livello, come la formulazione astratta del significato semantico del messaggio, la presenza e classificazione di fonemi, di parole costituenti il testo e di regole grammaticali. Alcuni sintetizzatori operano su un vocabolario limitato, altri senza restrizioni. Per quanto riguarda i riconoscitori di segnale vocale, occorre distinguere i riconoscitori destinati a parlatori prefissati (speaker-dependent) da quelli adatti a parlatori non prefissati (speaker-indepentent): i primi (speaker-dependent) operano in una prima fase di apprendimento, durante la quale il parlatore pronunzia alcune frasi prefissate al fine di permettere di ottenere la messa a punto di alcuni parametri interni al riconoscitore; successivamente il parlatore potrà pronunciare frasi di tipo generale, ma non potrà essere sostituito da altro parlatore. Nei secondi (speaker-independent) il sistema permette di riconoscere tratti di vocale indipendentemente dal parlatore, ma ristretti in particolari linguistici e semantici (per esempio la richiesta di orari di treni, numeri telefonici, ecc.). Molto spesso i riconoscitori vocali sono abbinati a programmi di scrittura su calcolatori e perciò abilitati a riconoscere particolari comandi nell'ambito suddetto (per esempio "vai a capo", "apri una tabella", ecc.).

Tecnologia dell'informazione: sistemi di recupero del segnale audio

Particolari algoritmi di elaborazione del segnale vocale sono disponibili per permettere l'acquisizione e il recupero di registrazioni degradate e di interesse storico. Di norma tali algoritmi non sono in tempo reale, poiché le fasi di acquisizione e di elaborazione sono molto complesse e spesso prevedono numerosi tentativi di ottimizzazione: il prodotto ottenuto sarà pertanto fruibile solo al termine di tutte le fasi previste. La prima fase consiste nell'acquisizione del segnale dalla sorgente disponibile, il più delle volte un vecchio disco in vinile, su un'opportuna scheda elettronica connessa con un elaboratore nel quale sono stati impostati i parametri prescelti per la conversione in forma digitale (normalmente, se il tratto sonoro è destinato alla masterizzazione su un CD musicale, il campionamento è fissato sullo standard ad alta fedeltà, a seconda dei casi, monofonico o stereofonico); nella seconda fase è possibile riascoltare il brano acquisito, analizzandone la forma d'onda. Essendo i campioni molto numerosi (per esempio 44.100 al secondo), della forma d'onda si riesce ad apprezzare solo l'inviluppo, che tuttavia permette di separare i vari tratti del pezzo vocale o musicale in esame. Successivamente è possibile espandere la scala, esaminando in dettaglio tratti sonori più brevi e di maggiore interesse. L'espansione può proseguire fino a vedere sullo schermo solo qualche centinaia di campioni. Molto utile nella fase di analisi è la trasformazione della forma d'onda in spettro di frequenza, così da ottenere uno spettrogramma; a questo scopo il sistema di elaborazione dispone di una sezione in grado di effettuare la trasformata di Fourier del segnale, sulla base dell'algoritmo FFT. Nella trasformata, detta "a breve termine", è preso in considerazione solo qualche migliaio di campioni sonori, quindi una finestra temporale molto limitata: si ottiene così uno spettro valido solo in un piccolo tratto di segnale audio. Facendo scorrere la finestra temporale lungo tutto il segnale a disposizione, si ottengono vari spettri corrispondenti a istanti successivi del messaggio sonoro. Lo spettrogramma consiste nella rappresentazione degli spettri di ampiezza ottenuti in funzione del tempo (la rappresentazione dello spettro di fase non viene effettuata perché poco significativa nell'ambito dei segnali audio). Lo spettrogramma è in grado di fornire informazioni supplementari rispetto a quelle ottenibili dall'osservazione della forma d'onda, quali la presenza di voci differenti, o di differenti strumenti musicali, ciascuno caratterizzato spesso da un proprio spettro di ampiezza, o quella del rumore, che si può manifestare come uno spettro diffuso, simile cioè a tutte le frequenze (caso del cosiddetto rumore bianco), o come fruscio, con spettro particolare presente in certi intervalli di frequenza, o ancora come impulsi localizzati nel tempo (click), riconoscibili da tratti spettrali molto appariscenti presenti in tutte le frequenze in istanti particolari. Le informazioni utili che si possono trarre da uno spettrogramma riguardano soprattutto la analisi della sovrapposizione spettrale fra componenti di segnale e di rumore, in vista della riduzione di quest'ultimo. La fase più importante nella elaborazione del segnale audio riguarda proprio la riduzione (o l'eliminazione) del rumore (fase di de-noising). La riduzione del fruscio, che è la prima causa di degradazione di tratti sonori ottenuti da vecchi dischi di vinile ed è dovuto alla presenza di imperfezioni sul solco fonografico generate dal lungo uso o da puntine di lettura in non perfetto stato, viene effettuata con metodi di cancellazione spettrale: per prima cosa è necessario acquisire un piccolo segmento (pochi secondi) di solo rumore (fruscio in assenza di segnale), a partire dal quale si effettua il calcolo dello spettro di ampiezza; tale spettro viene quindi sottratto (in tutto o in parte) allo spettro del segnale rumoroso. Il risultato che si ottiene è rilevante, poiché il nuovo segnale appare di qualità superiore e spesso con elementi sonori prima del tutto mascherati. Dato che può creare forti distorsioni di fase (a cui l'orecchio non è del tutto insensibile) e poiché si basa sull'ipotesi che le caratteristiche spettrali del rumore rimangano invariate in tutto il pezzo sonoro (cioè simili al segmento di rumore preso come riferimento), tale procedimento è spesso sostituito da metodologie più evolute. Per la riduzione del click, disturbo dovuto a imperfezioni puntiformi del disco o a graffi che intersecano più solchi successivi, viene analizzata la forma d'onda nel dominio del tempo ed eliminato il difetto oppure viene applicato un filtraggio molto localizzato nel tempo: in tal modo la forma d'onda risulta comunque danneggiata, ma la sensazione sonora è giudicata soggettivamente migliore.

Tecnologia dell'informazione: il segnale video

Il segnale video corrisponde all'insieme delle informazioni necessarie per trasmettere a distanza o per memorizzare immagini in movimento, monocromatiche o a colori, e può essere analogico o digitale. Nel caso di quello analogico, si definisce "segnale video in banda base" quel tipo di segnale così come è stato generato dalle telecamere basate sull'iconoscopio; pertanto il segnale video in banda base è privo di tutti quei processi di modulazione che vengono utilizzati per associare a esso altre informazioni (per esempio il segnale audio) e per permetterne la trasmissione a distanza. I parametri che definiscono il segnale video in banda base sono: formato dell'immagine; numero delle linee orizzontali relative al singolo quadro; frequenza di ripetizione di quadro; segnali di sincronismo di riga e di quadro; larghezza di banda necessaria alla trasmissione fedele dell'immagine. A seconda della scelta del valore di questi parametri sono stati stabiliti vari tipi di standard. La definizione della qualità dell'immagine si basa sull'ipotesi che l'osservatore si ponga di fronte allo schermo a una distanza pari a cinque volte l'altezza dell'immagine stessa e che pertanto tale altezza sia vista sotto un angolo pari a ca. 1/5 = 0,2 radianti (corrispondente a un angolo di ca. 690'). Poiché si è visto che la capacità di percezione visiva (acuità visiva) è mediamente di ca. un angolo pari a 1' (gli oggetti visti sotto quest'angolo sono percepiti infatti in maniera non perfettamente distinta), è stato stabilito che il numero delle righe orizzontali dell'immagine deve essere dell'ordine di grandezza di 690. Di qui sono scaturite diverse proposte che hanno dato luogo ai vari standard di risoluzione verticale (625 righe in Europa, 525 nei Stati Uniti, 819 in Francia). Per quanto riguarda la definizione orizzontale, quest'ultima è legata a quella verticale sulla base del fattore di forma dell'immagine (tipicamente 4/3 o 16/9) e permette di definire la larghezza di banda del segnale video in banda base, partendo dalla considerazione che la più rapida oscillazione di luminanza in senso orizzontale è strettamente legata alla massima frequenza ammissibile sul segnale video. Allo scopo di garantire all'osservatore l'illusione di una evoluzione continua della scena, il numero di immagini al secondo da trasmettere è stato scelto uguale a 25 in Europa e a 30 negli Stati Uniti; tale illusione risulta infatti adeguata se il numero di immagini che si susseguono è almeno pari a 20 al secondo (in caso contrario la successione dà luogo a una sensazione visiva discontinua, non essendo completamente integrata dal fenomeno di persistenza delle immagini sulla retina). Il limite di 20 però non è sufficiente per eliminare la sensazione di sfarfallio percepita fra una immagine e quella successiva. Per superare questo inconveniente viene raddoppiata la frequenza di variazione di luminosità su ogni zona dello schermo senza raddoppiare il numero delle immagini esplorate al secondo. Questa tecnica (interallacciamento) è essenziale quando viene utilizzato come visore uno schermo a raggi catodici, ma potrebbe essere non necessaria per altri tipi di schermi, come quelli a cristalli liquidi (LCD) che presentano immagini fisse. Poiché però lo standard del segnale video è stato messo a punto proprio in funzione dei cinescopi, la tecnica dell'interallacciamento è considerata in tutti gli standard del segnale video in banda base. Nello standard europeo la frequenza di riga risulta pari a 25 x 625 = 15.625 Hz, corrispondenti a un periodo di 64 microsecondi: di questi, 52 sono utilizzati per formare una linea dell'immagine e i rimanenti 12 per inserire l'appropriato segnale di sincronismo di linea. Delle 625 linee a disposizione, ca. 585 sono utilizzate per l'immagine e le rimanenti 40 per inserire gli opportuni segnali di sincronismo di quadro, simili a quelli di sincronismo orizzontale, ma di numero e di durata differenti. Di particolare interesse è la considerazione dello spettro in frequenza del segnale video in banda base. Le caratteristiche di tale spettro possono essere facilmente dedotte considerando il caso limite della trasmissione di un'immagine fissa: in questo caso, lo spettro sarebbe esattamente periodico con frequenza fondamentale pari a 25 Hz e le armoniche di tale frequenza avrebbero vario peso, ma particolarmente intensa sarebbe l'armonica a 15.625 Hz (che è un multiplo di 25), corrispondente alla frequenza di riga. Pertanto, nell'immagine fissa si otterebbe uno spettro con periodicità quasi a 15.625 Hz. Il movimento dell'immagine annulla ogni periodicità dello spettro, ma non completamente, poiché il movimento delle parti dell'immagine è lento rispetto al movimento di scansione delle immagini sul cinescopio. Per quanto riguarda la frequenza massima del segnale video in banda base, nello standard europeo si è stabilito un valore di 5 MHz. Il colore viene aggiunto al segnale monocromatico utilizzando un opportuno segnale sinusoidale alla frequenza di 4,43 MHz, la sottoportante di crominanza. Tale sottoportante, sommata al segnale di luminanza, fornisce in ogni punto dell'immagine due informazioni aggiuntive, ottenute con una modulazione congiunta di ampiezza e di fase. Per permettere un'agevole demodulazione dei segnali di crominanza, all'inizio di ogni linea viene trasmesso un treno di alternanze a 4,43 MHz, di fase e ampiezza costanti. Tali alternanze forniscono i riferimenti di ampiezza e di fase del segnale di crominanza lungo la linea esplorata. Come detto in precedenza, il segnale video analogico è stato via via affiancato da quello digitale; la trasformazione del primo nel secondo avviene tramite campionamento e quantizzazione della forma d'onda: si ottiene così un segnale digitale con un numero estremamente alto di bit al secondo, inadatto sia alla trasmissione sia alla memorizzazione. Queste ultime sono rese possibili sulla base di tecniche di elaborazione che riducono drasticamente la ridondanza di tali segnali e che vengono classificare come tecniche di elaborazione di immagini in movimento.

Tecnologia dell'informazione: segnali telegrafici

Il segnale telegrafico, che ha rilevanza soprattutto storica, essendo i messaggi di tipo telegrafico ormai inviati con tecnologie digitali di tipo alfanumerico (servizio telex), rappresenta il primo segnale elettrico utilizzato per la trasmissione a distanza messaggi scritti, direttamente o per mezzo di telescriventi. Si tratta di un segnale di tipo digitale trasmesso come treni di impulsi di corrente lungo conduttori di linea. Nei messaggi telegrafici veniva utilizzato il codice Morse, mentre nel caso delle telescriventi venivano inviati treni di impulsi opportunamente codificati (6 impulsi, di cui 1 detto di start, seguito da 5 impulsi utili, detti di riposo o di lavoro). La banda di frequenza utilizzata dal segnale telegrafico è estremamente limitata, se confrontata con i moderni segnali digitali, e corrisponde a non più di qualche centinaio di bit al secondo.

Tecnologia dell'informazione: segnali radiofonici

Il segnale radiofonico corrisponde alla modulazione di messaggi audio prodotti in studi radiofonici, in modo da renderne possibile l'emissione come onde elettromagnetiche. La qualità del segnale audio trasmesso è tipicamente del tipo "audio musicale" (con banda da ca. 30 a ca. 12.000 Hz), mentre quella del segnale in ricezione è largamente dipendente dal tipo di modulazione impiegata. Il primo tipo di modulazione usata in radiofonia è stata la modulazione di ampiezza, nelle bande delle onde lunghe, medie e corte. Particolarmente rilevante è la radiodiffusione in onde corte la cui caratteristica fondamentale è quella di essere irradiate utilizzando la riflessione ionosferica, permettendo così coperture di tipo intercontinentale senza l'ausilio di ripetitori o di tratte via satellite. La modulazione di ampiezza non è però compatibile con la qualità audio ad alta fedeltà ed è soggetta a vari tipi di rumore, additivo o da inteferenza (fading). Nelle moderne trasmissioni radiofoniche, accanto ai tradizionali canali in modulazione di ampiezza, ha assunto grande rilevanza la modulazione di frequenza, universalmente adottata per trasmissioni locali di elevata qualità.

Tecnologia dell'informazione: segnale telefonico

In telefonia, segnale di centrale o di linea, segnale acustico generato nella centrale telefonica, sul tono fisso di 450 Hz, per informare l'abbonato delle varie condizioni operative (libero, occupato, ecc.) che possono sussistere in relazione all'instaurazione del collegamento telefonico. Il segnale di libero si attiva dopo lo sgancio del microtelefono e corrisponde all'invio del ritmo della lettera "a" del codice Morse (punto, pausa, linea): avverte l'utente che è attiva la connessione con gli organi di centrale, i quali sono a disposizione per la ricezione degli impulsi (o dei toni) di selezione. Il segnale di occupato, corrispondente al ritmo della lettera "e" del codice Morse (punto, pausa, punto), avverte l'utente che la comunicazione non è possibile o perché il destinatario della chiamata si trova in condizioni di occupato, o perché non sono momentaneamente disponibili gli apparati di selezione in centrale o le linee di connessione per instradare la comunicazione. Il segnale di libero o di controllo di chiamata avverte l'utente che la chiamata è in corso e che il destinatario della chiamata sta ricevendo il quello di suoneria; questo segnale, inviato in concomitanza con quello di suoneria all'utente chiamato, corrisponde a segnalazioni acustiche di lunga durata (circa un secondo) inviate a intervalli di circa di 4¸5 secondi. Segnali di vario tipo vengono poi inviati in relazione a chiamate a centralini passanti o a inclusione di operatori. Occorre notare che tali tipi di segnali di centrale avevano validità soprattutto in relazione a centrali di tipo elettromeccanico; per centrali di tipo elettronico essi sono stati mantenuti, anche se le informazioni di interesse dell'utente sono in numero molto maggiore e possono essere evidenziate con telefoni forniti di opportuno display. Inoltre, nel caso di telefonia mobile alcuni segnali sono stati soppressi o sostituiti da messaggi vocali in chiaro, ovvero da informazioni alfanumeriche visualizzate sul display.

Trasporti: ferrovie

I segnali utilizzati per il segnalamento ferroviario servono a trasmettere al personale di macchina l'ordine o l'avviso indicati dai posti di controllo del traffico o dai sistemi automatizzati; di norma si usano segnali ottici di avviso e imperativi (segnali di prima categoria) costituiti da luci di vari colori; i primi precedono sempre i secondi, oppure indicano riduzioni di velocità per deviazioni o rallentamenti causati da lavori in corso lungo la linea, nel qual caso sono mobili e temporanei; i secondi obbligano i convogli a rispettare immediatamente l'indicazione fornita; nei sistemi di segnalamento automatici i segnali vengono ripetuti nella cabina di guida della motrice; si usano anche segnali di avviso acustici (petardi, fischi, campane, risuonatori) che hanno l'unico compito di richiamare l'attenzione sui segnali ottici in caso di scarsa visibilità (per esempio, presenza di nebbia). Un segnale deve avere buona visibilità a grande distanza e soprattutto deve essere di immediata interpretazione; per tale motivo sono universalmente adottati segnali ottici a semaforo a fuoco di colore, sia posti su colonnette (stanti), sia su tralicci a portale lungo la linea oppure a sbalzo, soprattutto nelle stazioni; sono costituiti da una luce fissa di colore rosso per segnalare l'ordine di arresto, verde per l'avviso di via libera, giallo per l'ordine di procedere con cautela o nei segnali di avviso; secondo i casi, la composizione di due luci o di più luci indica una particolare segnalazione (per esempio, via libera a velocità ridotta). I segnali luminosi possono essere posti in basso lungo i binari nelle stazioni e negli smistamenti; questi, chiamati “marmotte”, sono a luce bianca per la via libera, a luce violetta per l'arresto; le luci tutte bianche disposte a L indicano via libera sul tracciato rettilineo oppure in deviata; spesso le marmotte sono rotanti. Ogni luce è fornita da un faro provvisto di una forte lente per una perfetta visione a grande distanza, e di uno schermo rotante a tre colori; un dispositivo d'intermittenza permette di fornire un'indicazione di velocità ottenuta con due segnali accoppiati, uno a luce fissa, l'altro lampeggiante. La disposizione delle luci sugli stanti serve a fornire anche un'indicazione direzionale: per esempio in prossimità di uno scambio si usano due semafori, uno in posizione più elevata rispetto all'altro per indicare la marcia sul tracciato rettilineo, uno posto più in basso lateralmente che indica la marcia in deviata. I segnali vengono azionati direttamente dai circuiti di binario o manualmente dai posti di blocco, attraverso un circuito elettrico: per maggior sicurezza, quando non passa corrente il segnale resta sempre sul rosso impedendo così per guasti lungo la linea che i convogli si muovano su binari già impegnati; il verde e il giallo si hanno cambiando la polarità nel circuito.

Trasporti: marina

I segnali utilizzati nel segnalamento marittimo sono di tipo acustico, ottico, diurni e notturni, radar e radioelettrici; quelli usati per la segnalazione sono ottici diurni (a bandiera, a teli) e notturni (lampi di luce); per la segnalazione di soccorso i segnali sono costituiti da fuochi d'artificio, candelotti fumogeni e segnali radio a frequenza costante. I segnali acustici sono mezzi ausiliari utilizzati in caso di scarsa visibilità e comprendono campane, nautofoni, sirene e fischi; possono essere localizzati sia a bordo, sia a terra su fari o altri edifici, sia su boe o altri galleggianti che li fanno entrare in funzione a causa del moto ondoso; si utilizzano anche apparati subacquei elettromagnetici acustici i cui segnali vengono captati dagli idrofoni di bordo fino a 50 miglia di distanza. I segnali ottici diurni comprendono, oltre agli edifici dei fari e ai sostegni dei fanali, i gavitelli, le boe, le mede e i dromi: le mede sono strutture di forme diverse, più di frequente tralicci o sistemi di aste (a volte recanti un fanale, nel qual caso vengono chiamate mede luminose), che servono a delimitare di norma rotte difficili, il canale d'accesso a porti situati in bassi fondali, l'allineamento per la corretta entrata in un porto; i dromi sono costruzioni caratteristiche poste in punti salienti della costa onde facilitarne l'avvistamento. I gavitelli e le boe sono galleggianti singoli o a gruppi, ancorati sul fondo per delimitare scogli, secche, passaggi, allineamenti nei porti; le boe possono avere piccoli fanali a luci fisse o intermittenti. I segnali ottici notturni comprendono i fari, i battelli faro e fanale, i fanali fissi o galleggianti; la loro caratteristica è di essere visibili a grande distanza con ogni condizione di mare; servono quali punti di riferimento per le navi, oltre a segnalare zone o punti pericolosi; i fanali, in particolare, indicano i limiti di una zona di mare navigabile, un pericolo isolato, l'imboccatura di un porto o di un canale, le dighe foranee e le banchine; i battelli faro e fanale vengono di norma ancorati su secche in zone di mare frequentate. I segnali radar sono costituiti da emettitori attivi o passivi di onde radar: comprendono radar-fari, radar-riflettori, radar-risponditori; sono utilizzati soprattutto per la radar-navigazione. I segnali radioelettrici si avvalgono di apparati radio ricetrasmittenti che possono essere localizzati a terra e sui natanti, anche su piccole imbarcazioni; oltre al noto SOS, sono utilizzati segnali in codice, sempre accompagnati dal punto nave, per la richiesta di urgente soccorso medico, per avaria e per altre necessità, quando la trasmissione a voce è impossibilitata per qualsiasi motivo; da terra vengono trasmessi alle navi segnali continui a frequenze determinate per l'individuazione di punti prestabiliti lungo le coste. Nel sistema di segnalamento internazionale adottato dall'Italia (sistema combinato A) si usano cinque gruppi di segnali fissi o galleggianti: laterali, cardinali, di pericolo isolato, di acque libere, particolari; tra i segnali per le entrate nei porti (segnali laterali) si distinguono quelli da lasciare a sinistra, di colore rosso, e quelli da lasciare a destra, di colore verde, comprendenti rispettivamente boe cilindriche di colore rosso sormontate da miraglio rosso cilindrico, e boe coniche di colore verde con un miraglio conico facoltativo; entrambe possono avere fanali con luce di colore corrispondente. I segnali posti in mare lungo le coste (segnali cardinali) sono costituiti da boe a fuso di colore giallo e nero, con miragli formati da due coni neri sovvrapposti sormontati da un fanale a luce bianca intermittente con frequenza da 50 a 120 lampi al minuto. I segnali di pericolo isolato fisso sono costituiti da boe ad asta o a fuso, di colore nero con una o più larghe fasce rosse orizzontali, sormontate da miragli a forma di due sfere nere sovrapposte, che possono recare un fanale a luce bianca a gruppi di due lampi; i pericoli nuovi (per esempio una nave affondata) vengono segnalati con coppie di boe del tipo suddetto su una delle quali può essere installato un radar-risponditore. I segnali di acque libere comprendono boe sferiche, ad asta o a fuso, dipinte a settori verticali alternati in rosso e bianco, hanno un miraglio sferico rosso provvisto di luce bianca intermittente oppure a lampi lunghi; i segnali particolari hanno una forma qualsiasi, ma sono sempre di colore giallo; recano fanali che emettono una luce intermittente di tipo e periodo propri di ciascun segnale; questi vengono utilizzati in tutti quei casi che non sono previsti per l'uso degli altri segnali. Tutti i segnali utilizzati per il segnalamento vengono correttamente riportati sulle carte nautiche con l'indicazione della loro funzione, dell'esatta posizione e delle caratteristiche della luce emessa, onde evitare possibili confusioni con altri simili, e per una loro corretta interpretazione.

Diritto

Il Codice Penale punisce chiunque omette di collocare impianti o apparecchiature segnaletiche destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia. È punito anche chiunque omette di collocare i segnali o i ripari prescritti dalla legge o dall'autorità per impedire pericoli alle persone in un luogo di pubblico transito, ovvero rimuove i segnali o i ripari suddetti, o spegne i fanali collocati come segnali.

Topografia

Riferimento di varia natura atto a materializzare o a individuare punti sul terreno da utilizzare nel rilevamento topografico, gravimetrico, magnetico o marittimo. Si distinguono in segnali permanenti e segnali provvisori. Quelli permanenti devono avere carattere di stabilità, univocità e conservazione nel tempo. Quelli provvisori vengono ubicati solo per il tempo strettamente necessario alle operazioni di rilevamento, come picchetti, biffe, paline, mire. I segnali possono essere costituiti da manufatti, quali antenne, tralicci, croci, guglie, ma anche edifici regolari e possibilmente simmetrici rispetto a un asse, quali torri e campanili, oppure segnalizzati da pilastrini metallici o in muratura e da centrini o piastrine o chiodi fissati a blocchi di calcestruzzo murati su roccia quando il terreno è scoperto. I segnali relativi ai vertici trigonometrici, ai capisaldi di livellazione, ai punti gravimetrici, magnetici e marittimi delle rispettive reti nazionali sono protetti dalla legge 3 giugno 1935 n. 1024 che fa divieto di distruggere, rimuovere, deteriorare o comunque rendere inservibili i segnali dell'Istituto Geografico Militare, dell'Istituto Idrografico della Marina, del Catasto e di altri Enti di Stato. Di tali punti vengono compilate dettagliate monografie dalle quali risulta, oltre che le coordinate e la quota, anche una dettagliata descrizione del punto e uno schizzo o una fotografia del segnale.

Psicologia

La teoria della detezione del segnale è una teoria psicofisica, basata sulla teoria statistica della decisione, che si contrappone ai modelli psicofisici classici in quanto consente di tener conto anche dei fattori soggettivi che possono intervenire nel rilevamento (o detezione) di uno stimolo. La teoria della detezione del segnale nacque negli anni Cinquanta e si proponeva inizialmente di studiare il comportamento percettivo di un addetto a uno schermo radar. In tale situazione, alla presenza di un oggetto da rilevare corrisponderà sullo schermo la comparsa di un punto luminoso. Sullo schermo si ha però la presenza continua di punti luminosi, anche se di intensità media minore, dovuti a disturbi di fondo dell'apparecchiatura (detti rumore). L'operatore dovrà ogni volta che compare un punto stabilire se questo è dovuto al rumore o alla comparsa di un oggetto rilevato dal radar. Mediante la teoria della detezione del segnale è possibile rilevare due parametri, con cui determinare il comportamento dell'operatore (e in generale di chiunque debba rilevare la presenza o l'assenza di uno stimolo, come avviene nella determinazione delle soglie nella psicofisica): il primo parametro, detto , indica la differenza tra la media delle intensità degli stimoli dovuti al rumore e di quelli significativi; il secondo, detto beta, indica il criterio soggettivo usato dall'osservatore. Se infatti è facile discriminare alcuni stimoli secondo la loro intensità (nell'esempio fatto, nessuno stimolo molto debole sarà significativo e nessuno molto intenso sarà dovuto a rumore), per altri la cosa non è però altrettanto semplice; si potranno infatti avere i più forti stimoli dovuti a rumore pari per intensità ai più deboli significativi. Qui interviene il criterio soggettivo dell'operatore, che potrà stabilire di volta in volta, secondo le circostanze, quale sia la strategia ottimale nell'attribuire il carattere di rumore o di significatività agli stimoli in arrivo, decidendo in pratica qual è l'intensità al di sopra della quale ogni stimolo va considerato significativo e al di sotto rumore. Per stabilire il valore ottimale di beta si fa ricorso alla teoria dei giochi, che consente di calcolare il valore delle scelte esatte (identificazioni o rifiuti corretti) e il costo degli errori (falsi allarmi e omissioni). La teoria della detezione del segnale è stata applicata particolarmente negli studi sulla soluzione dei problemi sulla memoria, sull'attenzione e sulla vigilanza.

Etologia

L'emissione, la ricezione e lo scambio di segnale sono alla base della comunicazione animale. In quanto stimoli, i segnali sono recepiti attraverso gli organi di senso; pertanto esistono segnali ottici, costituiti dalla luce emessa o riflessa dall'individuo che emette il segnale, acustici, rappresentati da suoni prodotti dall'emittente, chimici (feromoni), tattili e elettrici. I segnali ottici sono contenuti in movimenti, posizioni, colori ecc. assunti o esibiti da un certo individuo; quelli acustici si avvalgono di vibrazioni di frequenza sonora o ultrasonora; quelli chimici sono contenuti in speciali sostanze odorose (feromoni), quelli tattili in particolari modalità di palpazione e quelli elettrici, probabilmente limitati ai soli Pesci, nella produzione di campi elettrici di determinati voltaggio e intensità. Nel linguaggio corrente, tuttavia, spesso si indicano come segnali gli elementi comportamentali (posizioni, movimenti ecc.) adottati da un individuo per produrre il segnale; ma in termini più ristretti, il comportamento che contiene segnali dovrebbe essere detto esibizione, cerimonia, cerimoniale ecc.; inoltre esiste una certa libertà nel definire “che cosa” costituisce un segnale; per esempio i segnali acustici degli Uccelli talvolta vengono identificati in semplici note, talaltra in intere frasi canore. I segnali chimici (olfattivi), invece, in quanto continui, sono rappresentati dagli odori in se stessi. Per essere efficace, un segnale deve distinguersi nettamente dal complesso degli stimoli cui il ricevente è continuamente soggetto e questo ha determinato una certa correlazione fra le caratteristiche del segnale e l'ambiente in cui gli organismi vivono; per esempio, molti uccelli dei canneti, nei quali esiste un continuo fruscio di fondo, possiedono canti ritmici e secchi, mentre quelli dei boschi, dove il rumore di fondo è scarso, hanno canti meno forti e più melodici. Inoltre i segnali tendono a essere “esagerati”, in modo da essere immediatamente identificati fra gli altri stimoli. Molti segnali derivano evolutivamente da movimenti intenzionali, dei quali rappresentano in genere l'accenno iniziale, e pertanto hanno acquistato il significato di movimenti espressivi. Tutti gli animali comunicano in qualche periodo della loro vita, per esempio durante la riproduzione; sicché l'emissione di segnali è propria di tutto il regno animale, ma è particolarmente abbondante nelle specie sociali e direttamente proporzionale al grado di socialità. Esistono tuttavia segnali che si sono evoluti in contesti di relazioni interspecifiche, come quelli fra specie simbionti, o facenti parte di catene mimetiche ecc. Affinché un segnale si affermi come tale è necessario che sia emesso in circostanze specifiche e che esista un suo potenziale ricevitore. Il ricevitore del segnale opera come agente selettivo a favore o a sfavore delle caratteristiche del segnale e, in ultima analisi, del segnale nel suo complesso. In altre parole, la possibilità che un comportamento evolva in funzione di segnale è legata inscindibilmente al fatto che un animale adotti quel comportamento in determinati contesti di comunicazione e che un altro animale risponda al comportamento del primo in modo congruente; emittente e ricevente (ovvero segnale e risposta al segnale) devono cioè coevolvere. Il fatto che gli animali rispondano talvolta più prontamente a stimoli supernormali che a stimoli normali suggerisce la potenzialità evolutiva dei segnali ad acquisire caratteristiche sempre più “esagerate”, ma questo non si verifica facilmente perché le caratteristiche che rendono il segnale particolarmente evidente spesso rendono anche l'individuo che lo emette più visibile ai predatori, dal cui intervento deriverà un effetto di controselezione. È rilevante che alcuni segnali possono sortire effetti diversi in riceventi diversi, come è il caso dei segnali territoriali (olfattivi, sonori, ottici) che hanno effetto repulsivo sui maschi della stessa specie mentre attirano le femmine. Segnali si sono evoluti anche per la comunicazione interspecifica, come fra specie legate da rapporti di simbiosi mutualistica o unilaterale, nelle quali sia necessario mantenere rapporti di vicinanza o contatto, nei contesti della minaccia e nel mimetismo. Talvolta i segnali emessi con i comportamenti di allarme e di minaccia difensiva sono generalizzati, cioè sono comprensibili da specie diverse (per esempio i richiami di allarme in certi uccelli canori o la minaccia espressa tramite sibili, soffi, ringhi ecc., comuni a mammiferi, uccelli e rettili).

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