Descrizione generale

Popolazione mesoamericana stanziata per la maggior parte nel Guatemala (ca. 3.500.000 con i gruppi Quiché, Kakchiquel, K'erchi, Aguacateco, Ixil, Pocomán) e nel Messico (ca. 700 mila con i gruppi Mam, Chol, Tzotzil, Tzendal, Lacandoni, Itzá); nell'Honduras e nel Salvador si trovano piccoli gruppi sparsi (Mopán, Chortí, ecc.); di stirpe maya erano gli Huaxtecos del Messico nordorientale. Il tipo fisico e la cultura originaria dei Maya sono largamente influenzati da mescolamenti sia con altri ceppi indigeni sia con bianchi; i più puri sono considerati i Lacandoni, ridotti a poche centinaia; nel folclore dei vari gruppi sono però largamente presenti i temi della tradizione ancestrale.

Storia: dalle origini al declino del Vecchio Impero

Gli storici non sono ancora riusciti a chiarire le origini dei Maya, che comunque erano già insediati, nel II millennio a. C., in buona parte dell'America Centrale e precisamente nella penisola dello Yucatán e nei territori che corrispondono al Guatemala, al Belize e all'Honduras. È stato possibile, sulla base dei reperti archeologici, fissare nella storia dei Maya tre periodi fondamentali; età preclassica o formativa, dal 1500 ca. a. C. al 320 d. C.; classica (o del “Vecchio Impero”), dal 320 al 900 ca.; postclassica, la prima parte della quale è anche denominata del “Nuovo Impero”, dal 900 al 1697. Sull'età preclassica si sa poco; nei territori che formano il Guatemala, il Belize e l'Honduras dovettero insediarsi comunità tribali discese dal Nord, accomunate da una medesima lingua, ma separate in distinte città-Stato. Forse esisteva fra loro un vincolo di tipo federativo, più economico e culturale che politico. Prevalevano la coltivazione del mais e l'artigianato. Il potere si concentrava nelle mani dei sacerdoti. Monumenti e soprattutto stele datate ascrivono all'età classica i fasti più alti della cultura dei Maya in ogni campo. Il “Vecchio Impero” si suddivide in due periodi: anteriore (320-593) e posteriore (593-900). I suoi centri più importanti furono Uaxactún, Uolantún, Copán, Tikal, Piedras Negras, Palenque, Yaxchilán, Calakmul, Naachtún. Anche in età classica mancò un potere centralizzato: le città-Stato continuavano a essere autonome ed erano unite l'una all'altra solo da vincoli di natura religiosa, etnica e culturale. Nella seconda metà del sec. IX avvenimenti rimasti finora sconosciuti (le ipotesi avanzate dagli studiosi spaziano dalle epidemie ai terremoti, dall'esaurimento del mais agli uragani) dovettero provocare il declino del “Vecchio Impero”, al punto da costringere la popolazione a emigrare verso il nord, in condizioni estremamente disagiate.

Storia: dal Nuovo Impero alla conquista spagnola

I Maya si stanziarono nella penisola dello Yucatán, già abitata da secoli da tribù calate dagli altopiani guatemaltechi. Tra queste si distinguevano gli Itzá, che intorno alla metà del sec. V avevano edificato una prima volta Chichén-Itzá. In ogni modo fra la fine del sec. IX e gli inizi del X il passaggio fu totale: i Maya costruirono città, aprirono strade, eressero templi, crearono le basi di una nuova cultura. Con l'aiuto degli alleati Toltechi, giunti dal Messico, essi fecero risorgere Chichén-Itzá. Gradualmente sorsero centri urbani quali Uxmal, Kabah, Labná, Sayil, Tulúm, Azbilchaltún, Izamal, Ekab. Nel 987 fu fondata Mayapán, che sotto la dinastia dei Cocom acquistò presto potenza e prestigio. Al principio del sec. XI le tre città più importanti, Mayapán, Chichén-Itzá e Uxmal, strinsero un patto confederale, che prese il nome di Lega di Mayapán. I Maya così conobbero un nuovo splendore, ma ben presto, nel 1194, le rivalità tribali ripresero il sopravvento: il capo dei Cocom, Hunac Ceel, arruolò un esercito di mercenari toltechi e con essi riuscì a sconfiggere i Tutul Xiu di Chichén-Itzá e Uxmal. Mayapán rimase sola a dominare l'intera zona. Durò, quella supremazia, fino al 1441, quando un principe dei Tutul Xiu, Ah Xupán, si ribellò: sorretto da un esercito azteco, sconfisse i Cocom e rase al suolo Mayapán. Ma ugualmente decadde l'intera società maya ormai infeudata a quella azteca. In più, un tremendo uragano nel 1467 e una pestilenza nel 1482 decimarono la popolazione e apportarono rovine. Allo sbarco degli Spagnoli, i Maya erano ormai in decadenza. Abbattuto l'Impero azteco, i conquistadores attaccarono lo Yucatán. Francisco de Montejo iniziò le operazioni nel 1527, ma l'impresa fallì per i molti ostacoli naturali incontrati. Identico risultato ebbe una seconda campagna (1531-35). Il figlio di Montejo effettuò con miglior successo una terza invasione, dal 1540 al 1546, e il 16 gennaio 1542 il giovane Montejo fondò sulle rovine dell'antica Ti-hoo la città di Mérida. Pochi anni prima Hernán Cortés aveva completato la conquista del Guatemala e dell'Honduras. L'ultima resistenza, attorno al lago Petén Itzá, fu opposta proprio dagli Itzá, arroccati a Tayasal. La loro difesa durò più di un secolo: Tayasal cadde il 13 marzo 1697; il governatore dello Yucatán, Martín de Ursúa, la ribattezzò Nuestra Señora de los Remedios y San Pablo de los Itzáes.

Storia: la struttura della società

A somiglianza con l'impero incaico, il regime politico maya aveva strette connessioni con l'apparato religioso. I sacerdoti figuravano in testa agli strati sociali, dando alla città-Stato la fisionomia di un ordinamento teocratico. Seguivano i nobili, i militari, i commercianti, i plebei. Era praticata la schiavitù, a danno soprattutto delle genti vinte in guerra. Al vertice della struttura costituzionale era un monarca, o halach uinic (vero uomo, uomo autentico), dotato di pieni poteri nei settori legislativo, esecutivo e giudiziario. La carica non era elettiva come quella del sovrano azteco, ma ereditaria in linea maschile. Vigeva la monogamia; tuttavia, con spirito permissivo, venivano accettate certe forme di poligamia. Si poteva divorziare per ripudio. Gli studi più recenti hanno confermato che la società maya era frammentata in clan, ciascuno dei quali possedeva un appezzamento di terra; a sua volta, ogni famiglia riceveva in assegnazione un fondo da coltivare. Le tasse si pagavano con il raccolto. L'agricoltura era completamente dipendente dal calendario religioso. I Maya furono anche abili nel commercio e nella navigazione ed eccelsero pure nella costruzione di strade. In tal modo intrecciarono intensi traffici, spingendosi, sembra, fin nel sud incaico.

Religione e cultura: i sacerdoti e la teocrazia

È sotto il segno della religione che si svolse la civiltà maya del periodo classico, contraddistinto da un alto grado di omogeneità e stabilità per tutti i sei secoli della sua durata. Fu una vera unità politico-culturale che si estese su di un vasto territorio con irradiazione dal Petén centrale, prodotta, come pare, da un esclusivo controllo teocratico, mancando ogni indizio di conquiste militari, di un apparato bellico e dell'esercizio di una qualsiasi autorità civile. Per contro, quando nel periodo postclassico, dopo l'abbandono del Petén, si costituirono i “regni” dello Yucatán che frantumarono l'antica omogeneità, sopravvisse l'unità religiosa almeno nella persona di un sommo sacerdote unico, mantenuto da donazioni private, indipendente dai “re” ed estraneo alla loro politica. Tale sacerdozio, ereditario, continuava forse la suprema autorità sacerdotale e politica dell'età classica, privata ora del potere politico. Al sommo sacerdote, ancora operante all'epoca della conquista spagnola, spettava il diritto di designare tutti i sacerdoti del Paese; alla sua scuola sacerdotale, alla quale venivano avviati i figli cadetti dei capi, si apprendevano elementi nozionali e pratici della religione (ivi comprese la divinazione, la medicina e la scrittura). Questa civiltà “teocratica” classica – e forse proprio perché “teocratica” – non sembra rispondere al modello più diffuso di civiltà superiore, almeno per certi tratti (mancanza di centri urbani, economia fondata su un'agricoltura primitiva, tecniche non superiori al livello neolitico); e tuttavia ne attestano l'alto sviluppo certe superbe conquiste, quali la scrittura (glifi sillabici, oltre che ideogrammi, caso unico tra le civiltà precolombiane), l'aritmetica (un complesso e pratico sistema vigesimale; concetto dello zero), l'astronomia (il calcolo più approssimato che si conosca dell'anno solare, delle fasi lunari, delle rivoluzioni sinodicali di Venere, con esatte formule correzionali), l'arte raffinata e un'evoluta architettura non priva di soluzioni originali. Ma vediamo subito che arte e architettura rispondono a esclusive esigenze religiose: scultura e pittura riprodussero soltanto soggetti religiosi, e l'architettura servì esclusivamente alla costruzione di grandi centri cerimoniali (quasi città templari), attorno ai quali viveva, dispersa, la popolazione in capanne di materiale deperibile. Quanto alla scrittura, all'aritmetica e all'astronomia, parrebbero altrettanti strumenti di un unico grande sforzo creativo: il più elaborato sistema cronologico-calendariale che si conosca.

Religione e cultura: il calendario

A parte l'astronomia, la cui funzione calendariale può apparire ovvia, si ricorda che: tutte le iscrizioni d'età classica rinvenute sono “datazioni” epigrafiche di carattere religioso, e i tre codici originali superstiti (comunque postclassici) trattano di astronomia, di astrologia e di sequenze rituali del calendario; il sistema numerico vigesimale è sorto dal computo del tempo, per cui l'unità ha lo stesso nome del “giorno”, e gli ordini seguenti rappresentano il mese (di 20 giorni), l'anno, e cicli di 20 anni, di 400, ecc. sino all'alautun, un ciclo comprendente 64 milioni di anni; ora, poiché 20 mesi di 20 giorni superano l'anno solare, l'unità dell'ordine corrispondente all'anno, ossia l'unità del terzo ordine, anziché essere di 400 unità del primo ordine (202) è di 360 (20 per 18), ossia il più vicino possibile al numero dei giorni dell'anno (il quale veniva poi completato da un “mese” epagomeno di 5 giorni, anziché 20). La rilevazione di enormi periodi di tempo, quale l'alautun, evidentemente non richiesta da alcuna esigenza di carattere pratico, dà l'idea dell'indirizzo assunto dalla speculazione sacerdotale: si voleva determinare (cioè dominare culturalmente) il corso del tempo, volgendosi a un futuro il più lontano possibile, quasi un rendere finito l'infinito. Ma oltre che all'infinitamente grande, l'attenzione dei sacerdoti si volse all'infinitamente piccolo: si cercò di determinare ogni singolo giorno con più coincidenze naturali (astronomiche: posizione del Sole, della Luna, di Venere e di altri pianeti) possibili, e in più con una coincidenza “culturale” (artificiale) ottenuta con i ciclici ritornidi un anno sacrale di 260 giorni, detto Tzolchin, che veniva regolarmente annotato accanto all'anno solare di 365 giorni. Il Tzolchin, che determinava lo schema della vita religiosa, era forse un originario calendario festivo agricolo, connesso cioè con un ciclo di produzione agraria di 260 giorni; ma poi fu sottratto dalla speculazione sacerdotale alla sua funzione agraria e fu assunto per una sacralità assoluta che gli venne attribuita, così da registrarlo ininterrottamente (senza le pause di 105 giorni che l'avrebbero inserito nel corso dell'anno solare). Ed ecco quale risultava la designazione di ogni singolo giorno: un numero d'ordine (da uno a tredici) secondo il posto che occupava nel “mese” Tzolchin di tredici giorni, più il nome proprio che aveva ciascuno dei venti giorni del “mese” solare. In tal modo, prima che si avesse il ritorno di un giorno denominato con lo stesso numero e lo stesso nome dovevano passare ben 18.980 giorni (il minimo comune multiplo tra i 365 giorni dell'anno solare e i 260 giorni dell'anno Tzolchin), ossia 52 anni solari, uno spazio di tempo abbastanza grande per garantire l'inconfondibilità dei giorni “omonimi”.

Religione e cultura: le divinità

Anche gli dei sono raggruppati seguendo la sacra aritmetica calendariale: di pochi si conosce la personalità, di alcuni appena il nome, di altri soltanto il glifo che li designa, e di altri ancora neppure questo; ma si conoscono i raggruppamenti che dovevano essere essenziali per la speculazione sacerdotale maya: si hanno 20 dei patroni dei 20 giorni del “mese”, i 19 dei patroni dei 19 “mesi” dell'anno, i 13 dei patroni dei 13 katun (un ciclo di 360 anni, in quanto ogni katun comprende 20 anni, ed è l'unità del quarto ordine nel sistema vigesimale). Questo ciclo di 13 katun è evidentemente connesso con i 13 giorni del “mese” Tzolchin; tuttavia, come si è detto, nella tredicina Tzolchin, al posto di un nome di un dio c'è un numero d'ordine (da 1 a 13): ebbene, le prime 13 cifre del sistema maya avevano altrettante divinità patrone, il cui glifo, rappresentante la loro testa, poteva sostituire le cifre stesse. Altri gruppi divini parrebbero connessi con la divisione dello spazio anziché del tempo: i 13 dei del mondo supero (gli Oxlahuntiku) e i 9 dei del mondo infero (i Bolontiku); tuttavia i 9 inferi svolgevano a turno un patronato sui giorni di una sequenza di 9 che si ripeteva all'infinito (determinazione dell'“infero” nella qualificazione del tempo), e i 13 superi sono connessi con il patronato dei 13 katun, della tredicina Tzolchin e delle prime 13 cifre del sistema numerale. A volte una stessa divinità appare in raggruppamenti diversi. Queste sono le divinità più importanti: Itzamna, figlio del Creatore e capo del pantheon; Chac, connesso con la pioggia; Ah-Puch, in relazione con la morte e la distruzione; Ek Chuah, protettore dei viaggiatori; Ixtab, personificazione del suicidio rituale; c'è un “dio del mais”, degno di nota, e un eroe culturale (o dio del vento), Kukulkan, identificato poi con il messicano Quetzalcoatl e come questi rappresentato nella forma del serpente piumato. L'universo maya e gli dei che l'organizzano vivono grazie al sacro sistema calendariale, il che è espresso da un mito in cui si dice che il “mese” ha creato il giorno, il cielo, la terra e “le cose del cielo e della terra”. E quel sistema calendariale, che costruisce una “cronologia” la quale tiene il luogo di una “cosmologia”, fu il modo maya di sottrarre all'arbitrio (naturale) il divenire storico, e di riscattarlo alla cultura. Questa esigenza primaria è attestata dalla periodica erezione di stele in cui si annotavano in ordine: il nome del mese, il numero dei vari cicli pluriennali, degli anni, dei mesi e deigiorni trascorsi da un fantomatico anno zero, i nomi degli dei patroni, la fase lunare e altre indicazioni tuttora indecifrate. Il crollo della cultura maya classica fu segnato prima dalla rarefazione di queste stele, poi dalla riduzione dei dati iscritti, e infine dalla loro scomparsa. L'ultima attestata è dell'889, ma i centri cultuali del Petén erano già abbandonati, la giungla ricopriva le rovine, e i Maya, spostatisi nello Yucatán, iniziavano un nuovo ciclo storico in seno, ormai, alla koinè culturale messicana.

Letteratura

I Maya antichi non avevano una vera letteratura, ma solo testi religiosi, profetici, astronomici, mitologici e storici, per lo più tramandati oralmente attraverso la casta sacerdotale. La loro scrittura è stata decifrata in parte e consente di affermare che erano molto progrediti nella matematica e nella cronologia; ma i testi letterari sono pochi e poco comprensibili, e d'altra parte i dialetti maya attualmente parlati negli Stati messicani di Chiapas, Tabasco, Campeche e Yucatán, nel Guatemala e nell'Honduras sono molti (21) e talora anche molto diversi fra loro, sia pure su un fondo primigenio comune, e pertanto non di grande utilità per la comprensione delle iscrizioni antiche. I testi pervenutici sono quelli trascritti e tradotti da missionari spagnoli subito dopo la Conquista (i più importanti, sebbene forse qua e là interpolati in senso cristiano), oppure quelli raccolti dagli antropologi moderni presso le tribù maya attuali, tutte più o meno “civilizzate”. Gli uni e gli altri rispecchiano un fondo religioso e culturale comune; ma i valori poetici e letterari (“involontari”, comunque, giacché in nessun caso si intendeva fare della letteratura) risaltano maggiormente nei primi. Dall'area quiché (attuale Guatemala) deriva il testo capitale della cultura maya: il Popol Vuh, o libro della creazione del mondo, scritto verso il 1555 sulla base di tradizioni certamente preispaniche. Della stessa area si hanno gli Annali dei Cakchiquel, di notevole valore storico, e il Rabinal Achí, sorta di dialogo liturgico-teatrale, rappresentato per tre secoli dopo la Conquista, prima di essere trascritto e tradotto nel sec. XIX. Dall'area yucateca provengono vari testi, fra cui alcuni poemetti religiosi e i mitologici libri Chilam Balam, o dei sacerdoti di Maní e di Chumayel. Di grande interesse sono, infine, vari testi raccolti presso i Lacandoni, antica tribù dello Stato di Chiapas, quasi del tutto scomparsa, nonché presso i Tzotiles e i Tzeltales: preghiere, offerte alla divinità, scongiuri, ecc. I testi superstiti, resti di un ricchissimo patrimonio mitologico in gran parte perduto, e soprattutto l'incomparabile Popol Vuh, attestano l'alto livello culturale raggiunto dai Maya, definiti “i Greci d'America”. Da citare infine altri tre testi importanti della cultura maya a noi pervenuti: Codex Dresdensis, astronomico, Codex Cortesianus, astrologico, Codex Peresianus, ritualistico. § La musica era prevalentemente collettiva; gli strumenti erano a percussione e a fiato; non si hanno notizie di conoscenze tecniche di note o di sistemi musicali. È però assodato che la musica maya raggiunse forme espressive ammirevoli, adattate soprattutto alla danza e ai riti religiosi.

Arte

Le città maya, oltre a essere centri di popolazione e amministrativi, erano centri di culto. Per questo motivo esse, pur nella differente fisionomia dovuta alla struttura politica tipica dei Maya e alle diverse condizioni geografiche, presentano un'identica tipologia architettonica: templi eretti su piramidi, edifici per sacerdoti, osservatori, cortili per il gioco della pelota (sferisteri), piazze per riunioni, scambi commerciali, cerimonie religiose, ecc. Le piramidi presentano un grande slancio verso l'alto, sottolineato da lunghe scalinate non interrotte da terrazze, e i templi che le sovrastano sono ben conservati per merito dell'uso di pietre cementate con malta, dei muri spessi e dell'impiego della falsa volta (sistema di costruzione a conci aggettanti). All'interno dei palazzi si apre una serie di stanze cieche, che dovevano essere adibite a magazzini per gli arredi sacri o ad abitazioni temporanee per i sacerdoti. La scultura maya classica può essere divisa in due grandi gruppi: il primo comprendente le stele, che recano incisi complessi calcoli astronomici o raffigurazioni simboliche, e la rara scultura a tutto tondo; il secondo comprendente le sculture monumentali e architettoniche, cioè i pannelli murali, gli architravi e le decorazioni dell'interno degli edifici. La tecnica più usata appare l'alto-bassorilievo, in pietra dura o tenera, stucco o legno, con tocchi di colore sulle superfici. La scultura monumentale raggiunge l'apice a Piedras Negras, Palenque e Yaxchilán, dove i pannelli murali e i piani inclinati fiancheggianti le scalinate rappresentano in modo realistico scene di vita cerimoniale. Le sculture in legno sono assai rare, a causa della deperibilità del materiale, ma restano fortunatamente i bellissimi architravi di Tikal, centro in cui la scultura raggiunse il massimo livello in epoca classica. Notevole è la produzione di figurine fittili, spesso dipinte dopo la cottura, di cui le più raffinate provengono dall'isola di Jaina. La pittura maya era nota solo attraverso le ceramiche dipinte, finché nel 1937 e nel 1947 non si scoprirono gli affreschi di Uaxactún (prima del 633) e di Bonampak (ca. 800) che con le loro rappresentazioni di scene cerimoniali e di guerra forniscono importanti notizie sulla vita sociale e religiosa dei Maya. La ceramica maya, all'inizio del periodo classico, è per lo più nera, con decorazioni incise: si tratta di vasi cilindrici a 3 o 4 piedi, spesso con coperchio, analoghi a quelli di Teotihuacán, di cui condividono l'origine da un prototipo cinese; splendida la ceramica dipinta con scene raffiguranti vari personaggi, circondati da glifi. Nel campo delle arti minori, molto raffinate ed evolute presso i Maya, va ricordata anche la lavorazione delle pietre dure (specie giada e giadeite), con testine-ciondolo e placche incise con figure umane e glifi calendariali. Nella parte più settentrionale dell'area maya, lo Yucatán, i monumenti del periodo classico sono simili a quelli dell'area meridionale, pur con differenze, specie decorative, dovute a un'evoluzione stilistica locale: c'è infatti abbondanza di decorazioni, specie geometriche, e si dà più importanza ai palazzi che alle piramidi; inoltre la falsa volta viene usata sia come elemento di costruzione sia come monumento isolato (arco di trionfo di Labná). Gli edifici yucatechi sono decorati secondo lo stile puuc o chenes; nel primo l'ornamentazione si svolge sulla parte alta della parete, spesso sormontata da un altissimo fastigio decorativo; nel secondo i motivi sono invece diffusi su tutta l'altezza dei muri. In genere il soggetto più raffigurato è la maschera del dio della pioggia Chac. Nel periodo postclassico, l'arte dello Yucatán riprese nuovo vigore all'epoca del dominio tolteco; comparvero nuovi elementi architettonici, come le colonne, che permisero la costruzione di ambienti più ampi e che alleggerirono la struttura un poco tozza degli edifici.

Bibliografia

Per la storia

S. G. Morley, Gli antichi Maya, Firenze, 1956; L. Séjourné, Quetzalcoatl, il Serpente Piumato, Milano, 1959; E. R. Wolf, Sons of the Shaking Earth, Chicago, 1959; F. Bellotti, Terra Maya, Bari, 1963; C. Gallenkamp, I Maya. La scoperta di una civiltà scomparsa, Milano, 1965; V. W. von Hagen, Antichi imperi del sole, Milano, 1972.

Per l'arte

T. Prouskouriakoff, An Album of Maya Architecture, Washington, 1946; I. Marquina, Arquitectura prehispanica, Città di Messico, 1951; M. Covarrubias, Indian Art of Mexico and Central America, New York, 1957; M. D. Coe, The Maya, Londra, 1966; H. Wilhelmy, La civiltà dei Maya, Bari, 1985.

Per la letteratura

M. Demetrio Sodi, La literatura de los Mayas, Città di Messico, 1964; A. Z. Vogt, A. Ruz, Desarrollo cultural de los Mayas, Città di Messico, 1964; J. Alcina Franch, Miti e letterature precolombiane, Torino, 1991.

Per la religione

M. W. Makemson, The Book of the Jaguar Priest, New York, 1951; P. Aziz, Segreti templi inca, aztechi e maya, La Spezia, 1990.

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