popolazione dell'antica America Meridionale, localizzata nella zona di Cuzco di cui si ignora l'epoca esatta del primo insediamento.

Storia: generalità

Si sa che la società incaica cominciò a consolidarsi verso la fine del sec. XII e soprattutto agli inizi del XIII. Subito dopo prese avvio la fase espansiva. Ne derivarono scontri con i popoli limitrofi, conclusisi sempre con la vittoria degli Inca. Ciò accadde anche, intorno alla metà del sec. XIV, in coincidenza con il tramonto dell'impero di Tiahuanaco, che aveva dominato la zona del lago Titicaca. Gli artefici delle prime conquiste furono gli incas (il termine è qui usato nella sua seconda accezione, cioè in quella di “signore”, “imperatore”) delle due grandi dinastie Hurincusco (o Hurin Sáyac) e Hanancusco (o Hanan Sáyac): cioè, Sinchi Rocca, Lloque Yupanqui, Mayta Capac (espugnatore della fortezza di Tiahuanaco e fondatore di Arequipa), Capac Yupanqui, Rocca, Yahuar Huacac. Nel 1438 salì al trono Pachacútec: sotto il suo scettro lo Stato incaico raggiunse il massimo della potenza, riuscendo fra l'altro a debellare il regno degli Huanca e a sottomettere definitivamente, più a nord, quello del Gran Chimúecimo inca, Túpac Yupanqui (1471-93), riorganizzò l'impero, che prese il nome di Tahuantinsuyo: la parola significava “le quattro (tahua) regioni (suyo) unite”. Queste quattro regioni erano: Collasuyo, Antisuyo, Chinchayusuyo e Cuntisuyo. Come capitale fu confermata Cuzco. Túpac Yupanqui e il suo successore Huayna Cápac (1493-1525) estesero i confini dello Stato a S fino al fiume Maule, nel Cile, e a N fino a Quito, con avamposti che penetravano nell'attuale Colombia. Ma ormai l'impero era in declino, minato dalle mollezze e dalla corruzione. Huayna Cápac, trascurando la legittima consorte dalla quale aveva avuto il figlio Huáscar, si unì a una principessa della tribù degli Scyris (Quito), che gli diede un secondo figlio, Atahualpa. Prima di morire, il sovrano divise il Tahuantinsuyo in due regni di pari grandezza, che affidò rispettivamente a Huáscar e ad Atahualpa. Costoro si contesero il potere unico e scesero in campo l'uno contro l'altro. Proprio al culmine di quel conflitto giunsero i conquistatori spagnoli di F. Pizarro. Huáscar venne ucciso nel 1532 per ordine di Atahualpa; questi, catturato da Pizarro, fu assassinato l'anno seguente. Si concluse in tal modo la vita dell'impero incaico, divenuto colonia del re di Spagna. La sua impronta, però, rimase nella storia latino-americana, perché esso aveva rappresentato il centro di una progredita civiltà.

Storia: l'organizzazione politica e sociale

Da molti definito erroneamente “socialista”, lo Stato degli Inca aveva una struttura politica verticale: capo assoluto era l'imperatore, o inca, fonte primaria di tutti i poteri. Egli, venerato come figlio del Sole, assegnava i singoli incarichi di governo e li ripartiva secondo una rigida gerarchia di caste. I membri della famiglia imperiale costituivano l'aristocrazia dirigente e fra loro il sovrano sceglieva i più alti funzionari. Seguivano i curacas, ossia dignitari di rango inferiore, pur sempre importanti. L'impero era così amministrato nelle sue maggiori circoscrizioni territoriali: alla guida di ciascuna delle regioni del Tahuantinsuyo l'inca poneva un viceré (apo), generalmente designato fra i suoi parenti più stretti (fratelli o zii); le province erano affidate ai tukrikuk, o governatori. Non esistevano organi di rappresentanza popolare. Sacerdoti e militari collaboravano con i politici alla gestione del potere. L'unità di base della società incaica era l'ayllu, istituzione precedente alla formazione dell'impero e mantenuta dagli Inca, ma organizzata in modo da togliergli ogni tendenza autonomistica. Mentre l'ayllu preincaico era costituito da un gruppo umano apparentato o considerato tale, insediato in un determinato territorio e venerante un antenato comune di cui si conservava la tomba o la mummia, l'impero incaico lo privò delle sue caratteristiche “etniche” e religiose e ne fece un'unità territoriale a livello amministrativo. Costituì nuovi ayllu, in tale funzione, affidandoli come feudi a personaggi importanti che, dopo morti, tenevano il luogo dell'antenato comune. Ogni imperatore inoltre iniziava un nuovo ayllu regale di cui venivano a far parte tutti i figli maschi, escluso il primogenito, destinato a diventare imperatore e come tale a fondare un proprio ayllu. Ogni ayllu era governato da un capo eletto dai suoi membri e da un Consiglio di anziani. I beni erano della comunità, non dei singoli. Quanto al diritto di proprietà, esso apparteneva all'inca, monarca assoluto di origine divina; egli, tuttavia, ne disponeva il godimento, dividendo i beni dello Stato in tre porzioni: la prima la cedeva al dio Sole, la seconda la riservava a se stesso, la terza la consegnava agli ayllu. La coltivazione delle terre del Sole e dell'inca spettava alla comunità. L'uomo comune era monogamo; poligamo poteva essere soltanto il nobile. L'inca aveva una moglie principale (coya) – che per purezza castale generalmente era una sua sorella – e varie mogli secondarie o concubine. Il villac umu, sommo sacerdote, apparteneva di diritto all'ayllu reale, a conferma dello spirito teocratico che informava l'impero. Non si hanno testimonianze di opere letterarie: bisogna perciò accontentarsi delle tradizioni orali, raccolte e tramandate dai cronisti spagnoli della conquista. Si ha notizia soprattutto di canti e ballate che esaltavano le imprese degli imperatori e che venivano eseguiti in occasione di speciali cerimonie. Aedi di corte composero anche poemi epici, detti o cantati dinanzi al sovrano. Nulla di scritto, comunque. L'unico strumento di cui si sa che in qualche modo potesse servire a “scrivere” o “registrare” era il quipo: una cordella principale da cui penzolavano spaghi più piccoli, che fissavano con il linguaggio dei nodi i rilievi compiuti da chi li maneggiava. E chi li maneggiava era il quipu-kamayoc, cioè una specie di scriba o di interprete ufficiale che serviva ai funzionari governativi per compiere calcoli e censimenti. Quanto alle comunicazioni, gli Inca ebbero un sistema viario abbastanza efficiente. Due furono le arterie principali: la strada regia o andina (Cápac-nan), lunga 5200 km, che dal limite settentrionale attraverso l'Ecuador, il Perú, la Bolivia, una fascia dell'Argentina e il Cile fino al Maule, correva lungo la Cordigliera e si concludeva a Purumauca, la stazione più a sud; e la strada costiera, lunga oltre 4000 km, che scendeva da Túmbes, a nord, anch'essa fino al fiume Maule. Poiché non conoscevano la ruota, gli Inca non avevano bisogno di larghi fondi stradali: questi erano percorsi a piedi, sia dalle truppe, sia dai funzionari, sia dai corrieri.

Religione

Il sistema religioso che edificava e sosteneva la struttura imperiale degli Inca si configura come un politeismo orientato dal culto del dio-Sole, Inti, quasi una personificazione divina dell'Impero. A Inti si offrivano quotidianamente pasti e sacrifici di lama. Solstizi ed equinozi erano alla base di un calendario festivo tipicamente solare. In tutti i templi Inti aveva qualche forma di venerazione, tanto che ai primi cronisti spagnoli ogni tempio apparve come un “tempio del Sole” per antonomasia e ogni sacerdote come “sacerdote del Sole”. I cronisti spagnoli chiamarono anche “vergini del Sole” certe fanciulle adibite a varie funzioni sacrali pubbliche strettamente connesse con la regalità: denominazione che non traduceva né la denominazione indigena (acllacuna, “donne scelte”, le “elette”) né la concezione inca. A capitale dell'Impero sorgeva il più importante tempio del Sole, il cosiddetto Coricancha, dove ardeva un fuoco solare perenne. Il Coricancha era una specie di Pantheon che accoglieva tutte le divinità ufficialmente riconosciute, le tradizionali divinità inca, e quelle delle varie popolazioni sottomesse: Illapa (“Tuono-Lampo”), un dio comune a tutta la regione andina; Pachacamac, una specie di Essere Supremo della costa centrale, immesso dalla conquista inca nel novero degli dei governati da Inti; una serie di “madri” divine: Madre Luna (Mama-Quilla) sposa di Inti, Madre Mare (Mama Cocha) evidentemente connessa con un'esperienza ignota agli Inca fino alla conquista della regione costiera, Madre Terra (Pacha Mama) importante dea pan-peruviana, e Madre Mais (Mama Sara) che, nel culto privato, poteva anche identificarsi con singole piante di mais eccezionalmente cresciute. Oltre agli dei veri e propri, il Coricancha accoglieva anche certi oggetti venerati, detti huaca, che, in un certo senso, avevano la capacità di concentrare in sé la sacralità dei territori conquistati, da cui essi provenivano. Si potrebbe dire che li rappresentavano sul piano della religione, confermando alla città di Cuzco che li ospitava il ruolo di capitale dell'impero. Genericamente col termine huaca si designavano cose (immagini, pietre, alberi, ecc.), luoghi (sorgenti, alture, ecc.) ed edifici (cappelle, tombe, ecc.) considerati “sacri” o sedi di manifestazioni del “sacro”. Rispetto al culto delle innumerevoli huaca locali, che a livello religioso poteva compromettere l'unità dell'impero, si ebbero due atteggiamenti ufficiali: da un lato si cercò di assorbire le huaca più importanti, accogliendole materialmente o simbolicamente nel Coricancha, sotto la giurisdizione del dio Inti; dall'altro si cercò di distruggere le restanti, come fece il nono imperatore, Pachacútec (“Riformatore del Mondo”), detto per questo “nemico delle huaca”. All'edificazione religiosa dell'impero si opponevano, oltre allo huaca, anche i culti degli antenati locali, per la loro capacità di realizzare un gruppo umano vincolato dal culto di un antenato comune (ayllu), e perciò stesso svincolato, entro certi limiti, dalla più vasta comunità costituente l'impero. L'impero mantenne gli ayllu, ma li privò delle loro caratteristiche “etniche” e religiose. L'impero si suddivise in due metà, la “superiore” e la “inferiore”, a loro volta suddivise in due sezioni: si ebbero così quattro seyu, determinati da due linee ideali intersecantesi a Cuzco, che diventava il centro culturale comune, un mondo aperto alla conquista o da recepire nello schema quadripartito dell'impero, detto “Terra delle Quattro Regioni” (Tahuantinsuyo). L'inca, l'imperatore, risiedente a Cuzco, era il “figlio del Sole” (Intip churin), un dio vivente. Della sua stessa famiglia era il sommo sacerdote, il villac umu. In questo processo unificatore va vista anche la riforma religiosa dell'ottavo imperatore Hatum Tupac, che introdusse il culto di Viracocha e ne assunse il nome. Viracocha era un eroe culturale delle popolazioni andine, o forse un “creatore ozioso”, ricordato in vari miti ma mai fatto oggetto di culto. I suoi primi e unici templi furono appunto eretti da Hatum Tupac, che assegnò a Viracocha il carattere di “padre” universale, sostituendo i singoli “antenati” dei vari gruppi etnici. Con l'acquisizione di Viracocha nacquero complesse elaborazioni teologiche (tra cui si ricorda l'investitura della sovranità, trasmessa da Viracocha a Inti e da Inti all'imperatore e le formule per cui ogni sacrificio solare diventava un'offerta a Viracocha nel nome di Inti), che si espressero talvolta in preghiere-inni di elevato valore spirituale ed estetico.

Arte

Gli Inca lasciarono tracce notevoli della loro presenza in tutte le aree in cui si diffusero. Restano ovunque molte costruzioni, in adobes sulla costa e in pietra sull'altopiano, che presentano sempre caratteristiche aperture trapezoidali. Nella zona di Cuzco si costruiva con grandi blocchi di pietre poligonali (bastioni, muri di sostegno) oppure con blocchi di pietra rettangolari (edifici). L'architettura incaica è visibile in tutta la sua mole e bellezza a Machu Picchu, città riscoperta nel 1911 da Hiram Bingham. La ceramica incaica lucida e policroma produsse vasi e altri recipienti di eccellente fattura. Per quanto riguarda la metallurgia, l'innovazione più importante fu la diffusione dell'uso del bronzo in tutto l'impero, ma gli oggetti più belli (figurine, ornamenti, oreficerie varie) sono in oro e in argento; la produzione dovette essere abbondantissima e di valore inestimabile (si pensi al famoso giardino annesso al Tempio del Sole di Cuzco, con riproduzioni in oro di figure di divinità, di animali e di piante), ma venne in gran parte distrutta dagli Spagnoli. Opere pregevolissime furono realizzate dagli artigiani di corte non solo nel campo dell'oreficeria e della ceramica, ma anche in quello della tessitura e della glittica.

Bibliografia

Per la storia

J. Alden Mason, Le antiche civiltà del Perù, Firenze, 1961; L. Baudin, Lo Stato socialista degli Incas, Milano, 1962; V. W. Von Hagen, La grande strada del Sole, Torino, 1964; idem, Antichi imperi del Sole, Milano, 1972; I. M. Arguedas, Tutte le stirpi, Torino, 1974; W. H. Prescott, Il mondo degli Incas, La Spezia, 1990.

Per l'arte

H. Bingham, Lost City of the Incas, New York, 1949; L. Valcarcel, Historia de la cultura antigua del Perù, Lima, 1949; H. U. Doering, The Art of Ancient Peru, Londra, 1952; G. H. S. Bushnell, A. Digby, Ancient American Pottery, Londra, 1955; idem, Il Perù precolombiano, Milano, 1961; L. Baudin, Il Perù degli Inca, Milano, 1965; P. Aziz, Segreti templi inca, aztechi e maya, La Spezia, 1990.

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