koinè
(o coinè), sf. inv. [dal greco koinḗ (diálektos), propr. (dialetto) comune]. In genere, la lingua comune che s'impone ai dialetti parlati in un certo territorio. In particolare, la lingua comune, basata sul dialetto attico, che si venne formando in Grecia tra i sec. IV e III a. C. quando nuove condizioni politiche, sociali ed economiche, superando i regionalismi delle antiche póleis, favorirono il processo di unificazione linguistica. L'impero di Alessandro Magno e la costituzione delle monarchie ellenistiche hanno fatto della koinè la lingua comune anche di tutti i Paesi ellenizzati del Mediterraneo centro-orientale. § Le sue caratteristiche più importanti sono: ss per tt (thálassa, mare, per thálatta); rs per rr (thársos, coraggio, per thárros); le desinenze di imperativo III pers. pl. -tōsan invece di -ntōn; gli aoristi del tipo êipa (dissi), enenka (portai) invece di êipon, ēnenkon; la progressiva eliminazione del duale; l'uso sempre più raro del perfetto e dell'ottativo; un arricchimento del lessico con vocaboli non propriamente attici. I maggiori rappresentanti della koinè scritta e letteraria sono Polibio, Diodoro Siculo, Strabone, Teofrasto; la traduzione greca dei Settanta dell'Antico Testamento e il Nuovo Testamento si avvicinano maggiormente alla lingua parlata che conosciamo soprattutto attraverso i papiri e le iscrizioni non ufficiali. Il greco moderno e i suoi vari dialetti (a eccezione dello zaconico) derivano dalla koinè ellenistica. § Il termine è entrato nel linguaggio con un senso fig. per indicare una comunione di ideali o di interessi culturali o spirituali con cui si impronta la storia di più popoli in determinati periodi.