Lessico

sf. [sec. XIV; da orefice].

1) Propr., l'arte di lavorare l'oro; in senso lato, il complesso delle tecniche di lavorazione dei metalli pregiati (specialmente oro, platino, argento) per farne oggetti vari usati come ornamenti o destinati all'arredamento o al culto. Per estensione, l'attività artigianale a essa inerente.

2) Laboratorio orafo; bottega dell'orefice.

3) Complesso di gioielli e di oggetti preziosi: furto di oreficeria.

Tecnica

Le tecniche dell'oreficeria di maggior pregio sono quasi esclusivamente manuali, con l'impiego di attrezzi e di utensili altamente specializzati anche se derivati da quelli comunemente usati nella tecnologia meccanica. La produzione corrente ricorre tuttavia in larga misura alle macchine, oggi disponibili in una gamma tale da consentire la fabbricazione di oggetti di ogni tipo – dagli anelli alle catenelle, dagli orecchini alle spille, ai braccialetti, ai ciondoli, ecc. – senza intervento manuale dell'orefice, tranne che per qualche indispensabile saldatura. Fra gli attrezzi più classici si ricordano i bulini, i ceselli, i brunitoi, i cannelli ferruminatori, oltre naturalmente alle lime, ai raschietti, ai trapani a mano, ai seghetti. Fra le macchine più tipiche si può citare il pantografo, le altre potendosi ridurre a varianti di presse, piegatrici, trafile, ecc. Particolarmente importante in oreficeria è la fusione del metallo, che può servire sia per la preparazione dei lingotti dai quali ricavare i semilavorati (lastre, fili, ecc.), sia per l'esecuzione diretta dell'oggetto il quale esce dalla forma pressoché finito avendo bisogno soltanto di pochi ritocchi e della pulitura ed eventuale lucidatura. Molto usata è la pressofusione, che garantisce una buona compattezza delle superfici, mentre per gli oggetti particolarmente pregiati si ricorre ancora all'antico sistema della fusione a cera persa.

Arte: la produzione europea dalle origini al XV secolo

Si ritiene che le oreficerie più antiche siano quelle rinvenute negli scavi di Ur (Babilonia) che risalgono alla fine del IV millennio; la fattura mostra che all'epoca della loro esecuzione esisteva già una tradizione orafa di molti secoli. Anche in Egitto (sfera cui appartengono le più superbe opere di oreficeria dell'antichità) un'antica tradizione orafa è rivelata dalle raffinate opere rinvenute nelle tombe delle prime dinastie (tombe di Abydos e di Nag'el-Deyr). A cominciare dal II millennio, quando ormai erano note le varie tecniche di quest'arte (sbalzo, graffito, filigrana, granulazione), si trovano i segni di un'attivissima osmosi commerciale e stilistica in tutto il mondo mediterraneo-mesopotamico. Dai gioielli aurei di Troia si passa alla produzione di Creta minoica (gioielli di Mochlós e Màllia) e infine a quella minoico-micenea, che trova la sua più alta espressione negli ori di Micene, Dendra e Vaphiò, con maschere , pettorali, orecchini, diademi, anelli, vasi di ogni genere. Modesta è in confronto la produzione greca di età geometrica, limitata a diademi d'oro nastriformi con decorazione geometrica. L'influsso orientale dette nuovo impulso alla produzione di oreficeria nel sec. VII a. C., sia in Grecia (Rodi), sia in Etruria con gli splendidi complessi delle tombe orientalizzanti di Cerveteri e Palestrina; al repertorio figurato orientale si unì una raffinata tecnica della granulazione. In Etruria continuò, nel sec. VI a. C., una produzione di gusto ionico, mentre nella Russia meridionale si diffusero ricchissime e spesso pesanti oreficerie di stile misto greco, persiano e scitico. Se la produzione greca di età classica fu scarsa, essa riprese abbondante in età ellenistica, con gusto ora raffinato, ora sovraccarico. Basta ricordare le bellissime oreficerie tarantine e campane, il cratere di Derveni, i vasi aurei del Tesoro di Panagjurište, quelle greco-scitiche della Crimea. Ricca ma non particolarmente originale è l'oreficeria di età romana derivata sia dal filone italico sia da quello ellenistico; i gioielli si arricchirono di pietre dure, gemme, smalti colorati, spesso con l'inserzione, in collane e orecchini, di monete auree. Ben poco rimane dell'oreficeria bizantina dei sec. VI-VII, decimata nel periodo iconoclasta dalle distruzioni e nelle epoche successive dai saccheggi. Rimangono in prevalenza pezzi posteriori al Mille, tutti pregevolissimi, di cui molti riuniti nel Tesoro di S. Marco a Venezia . L'influenza bizantina si fece sentire soprattutto in Italia, con la corrente campano-bizantina patrocinata da Desiderio di Montecassino e con quella veneto-bizantina testimoniata dalla pala di Cividale del Friuli. Frattanto, a cominciare dal sec. V, tutte le aree europee connesse dall'appartenenza presente o passata all'Impero vissero un comune rinnovamento stilistico dovuto all'adozione di modi e tecniche barbarici , in una concezione creativa che, benché diversa da quella naturalistica classica, non fu a essa inferiore per tecnica, e fu sostanzialmente unitaria per tutta Europa. Le stirpi germaniche insediatesi in Europa dopo le invasioni introdussero le tecniche del cloisonné e del traforo e svilupparono una produzione caratterizzata da gusto ornamentale anziché figurativo e da un vivace senso pittorico che si esplica nell'uso di smalti, pietre colorate, ecc. A loro volta i popoli insediati in ambiente mediterraneo (i Longobardi in Italia, i Visigoti in Spagna) risentirono dell'influenza classica e bizantina, come testimoniano i ritrovamenti di Castel Trosino e Nocera Umbra. La tipica ornamentazione germanica a intreccio zoomorfo prevale nei pezzi meno ricchi e raffinati, mentre nei corredi delle tombe principesche (per esempio nella tomba di Childerico a Tournai) predominano lo stile policromo e la filigrana lavorata con estrema eleganza e finezza (vedi anchebarbarico). Sotto i Carolingi si impose invece lo stile di corte, a tendenza classicheggiante, secondo lo spirito del Sacro Romano Impero; paliotti di altare, coperte di evangeliari, croci portatili, calici, patene, reliquiari, tutti gli oggetti connessi con il culto e la liturgia costituiscono la produzione dell'epoca, eseguita nei conventi fondati da Carlo Magno (la maggior parte di questo materiale ci è nota però soltanto dai documenti o dalle miniature). Espressioni importanti dell'oreficeria di questo momento sono lo sbalzo e lo smalto, che si prestano a temi figurativi e narrativi; tra gli sbalzi più notevoli va ricordato l'altare di S. Ambrogio a Milano, opera di Volvinio e allievi, di estrema eleganza (sec. IX). Importanti centri di produzione furono in questo periodo l'abbazia di Saint-Denis e la città di Reims. Intanto si vennero diffondendo in Europa, per opera di missionari irlandesi, anche i motivi dell'arte insulare (vedi ancheAnglosassoni). Durante il periodo ottoniano (sec. X-XI) in Germania continuò una produzione di alta qualità che ha lasciato pezzi eccezionali: i reliquiari dell'arcivescovo Egberto, la Croce dell'Impero, il cosiddetto Giselaschmuck (gioielli della regina Gisella d'Ungheria) oggi perduto, il paliotto aureo di Enrico II. Centri di oreficeria furono Treviri, Magonza, Basilea, la Reichenau, un'isola nel lago di Costanza, Aquisgrana , Essen, Hildesheim. La decorazione è affidata alle gemme adoperate con spiccato gusto coloristico o alle scene con figure, che si stagliano in rilievo sul fondo liscio. Nel sec. XII continuò l'attività della scuola di Hildesheim, con una produzione abbondante, ma decaduta nella qualità. Ma la scuola più significativa del tempo è quella mosana, con la geniale personalità di Nicolas de Verdun, autore delle placche dell'altare di Klosterneuburg, nelle quali si manifestano i primi fermenti del nuovo stile gotico . Della stessa scuola della Mosa fecero parte Godefroid de Huy e Ugo di Oignies. Sempre nel sec. XII continuò in Francia l'attività della scuola di Saint-Denis, che con l'abate Sugerio produsse veri capolavori, e fiorì il centro di Limoges con una magnifica produzione di smalti. In Scandinavia si ebbe un attardamento delle forme ornamentali barbariche, come si può vedere dal Tesoro di Oseberg, contenente un corredo femminile principesco. In epoca gotica l'oreficeria subì sensibili cambiamenti. Il sorgere infatti della ricca classe borghese portò come conseguenza la laicizzazione di quest'arte, non più circoscritta ai monasteri e quindi all'ambito liturgico e aulico. Inoltre il verticalismo del gotico architettonico, trasferito all'oreficeria, ne rinnovò le forme dando la massima importanza alla linea costruttiva dell'oggetto, mentre i valori pittorici furono esaltati dalla profusione di smalti, pietre policrome, oro e argento. Purtroppo non molti esemplari di oreficeria gotica sono giunti fino a noi; specialmente nel campo della produzione profana ben poco è rimasto, essendo i gioielli soggetti al variare della moda, per cui venivano sovente rifatti. Nel campo dell'oreficeria religiosa continuarono ad avere grande importanza i reliquiari, di cui è uno splendido esemplare quello a busto di S. Gennaro a Napoli, eseguito nel 1304-06 da due orafi francesi, Milet d'Auxerre e Guillaume de Verdelas. In metalli preziosi vennero fatte anche delle statue a tutto tondo. Nel campo dell'oreficeria profana vennero eseguiti monili di ogni genere (spille, anelli, ecc.) e vasellame prezioso. In Italia in epoca gotica importante fu la comparsa dello smalto traslucido di cui si hanno i primi esempi nelle opere di Guccio di Mannaia. Centri di arte orafa furono Siena, con Ugolino di Vieri, Firenze, con Andrea Pucci da Empoli e Andrea Arditi, Pisa (di scuola pisana sono le parti più antiche dell'altare di S. Iacopo nel duomo di Pistoia) e Sulmona, la cui produzione culmina nell'opera di Ciccarello di Francesco. Anche nei Paesi Bassi l'oreficeria ebbe in epoca gotica un posto importante: vennero fatti sontuosi reliquiari, come quello di S. Gertrude a Nivelles, con figure a tutto tondo nella cornice strutturata sul modello di una cattedrale gotica. Rarissimi invece sono i reliquiari gotici inglesi, andati perduti durante la Riforma. Notevoli anche le produzioni francese e soprattutto tedesca: la Germania vide infatti fiorire le officine di Norimberga e Augusta, coi loro abilissimi cesellatori, che si tramandarono l'arte di padre in figlio.

Arte: la produzione europea dal XVI al XX secolo

Nel sec. XVI lo sfarzo delle corti promosse in gran misura l'arte orafa e i sovrani chiamarono presso di loro i più eminenti artisti. È appunto col Rinascimento che si affermò per la prima volta la figura singola dell'artista, il cui stile, dati i frequenti viaggi, si fece meno legato a caratteri strettamente nazionali. L'internazionalismo fu anche promosso dai repertori di modelli creati da disegnatori e incisori, per esempio P. Flötner ed E. Delaune. Poiché il Paese d'origine di un pezzo non era più immediatamente riconoscibile, divennero importantissime le marche o punzoni per identificare la provenienza. In quest'epoca i legami tra scultura e oreficeria si fecero più stretti e il rilievo occupò una parte essenziale nella decorazione: esemplare la famosa saliera d'oro di Francesco I, l'unica opera certa di B. Cellini orafo. Molti furono gli artisti figurativi interessati all'oreficeria: Dürer cominciò come orafo nella bottega paterna e Holbein, nel suo soggiorno a Londra durante il regno di Enrico VIII, disegnò parecchi gioielli. In Francia la tendenza rinascimentale soppiantò a poco a poco quella gotica nel corso del sec. XVI e si avvalse di una ormai affermata e raffinatissima perizia tecnica, mentre in Spagna, dopo un certo attardamento dello stile gotico, si affermò lo stile rinascimentale grazie anche agli orafi stranieri (tra gli italiani si ricorda Pompeo Leoni). In Germania il gusto per il gotico persistette tanto a lungo che lo stile rinascimentale fece nell'oreficeria solo una breve apparizione, prima della grande fioritura del barocco. Con l'avvento del barocco nel sec. XVII finì col predominare in Europa lo stile francese, sviluppatosi alla corte del Re Sole nella seconda metà del secolo, caratterizzato da solenne dignità e rigorosa armonia. Purtroppo il vasellame di Versailles e il mobilio d'argento vennero fusi e ce se ne può soltanto fare un'idea da disegni e incisioni dell'epoca. Oltre ai mobili si ebbe in quest'epoca una profusione di oggetti eseguiti in metalli preziosi, come il servizio da toeletta della duchessa di Lennox. La Germania vide il trionfo assoluto del barocco nella sua forma più spinta, che si tradusse in opere talvolta complicate e bizzarre. Col sec. XVIII si sviluppò lo stile rocaille o rococò, in cui predominano le linee curve e la ricerca di un'eleganza estrosa e inventiva, di cui sono splendido esempio le zuppiere di Meissonnier. Nello stesso secolo i sovrani russi Pietro il Grande e Caterina II cominciarono a incrementare l'oreficeria e a Pietroburgo emigrarono artisti francesi; si ebbe così anche in Russia una ricca produzione. Le scoperte archeologiche determinarono invece nell'ultimo scorcio del sec. XVIII un orientamento del gusto in senso neoclassico, lo stile destinato a trionfare al principio del secolo seguente, specialmente alla corte di Napoleone. In Inghilterra il neoclassicismo si affermò con lo stile Adam. Nell'Ottocento anche l'oreficeria, seguendo la comune tendenza artistica, si volse all'imitazione degli stili più antichi, di ogni epoca e Paese, con un eclettismo esasperato e privo di originalità. All'inizio del sec. XX l'eleganza lineare e l'interesse per gli effetti cromatici propri dell'Art Nouveau trovarono naturale espressione nel gioiello, che nel sapiente accostamento di pietre e smalti sulla superficie dell'oro trattata con vari procedimenti raggiunse un elevato valore artistico. Allo stile floreale di R. Lalique fecero poi seguito una sobrietà ed essenzialità di linee riscontrabili per esempio nelle argenterie di G. Jensen. Tuttavia a cominciare dalla fine del sec. XIX l'applicazione all'oreficeria di nuove scoperte come la galvanoplastica, se da una parte aprì la strada alla produzione di oggetti placcati, dall'altra determinò la progressiva industrializzazione e quindi l'esaurimento di quest'arte decorativa, sempre più legata a procedimenti meccanici.

Arte: la produzione nel Medio ed Estremo Oriente

Sebbene limitato da prescrizioni religiose, l'uso di metalli preziosi fu sempre abbastanza diffuso anche nell'Islam, fin dai tempi più antichi. I primi oggetti di oreficeria che ci siano pervenuti sono piatti e coppe d'argento iranici, di tradizione sassanide, decorati con disegni animali e floreali entro riquadri convenzionali, cui, a cominciare dal sec. X, si aggiunsero anche strisce con caratteri cufici. Nel periodo selgiuchide (sec. XI) si diffuse la tecnica del niello, per il vasellame e la gioielleria, in tutto il mondo dominato dai Turchi. Anche la filigrana e la granulazione ebbero grande fortuna in questo periodo, giungendo fino alla Spagna, dove era anche usato, come in Egitto, lo smalto cloisonné, soprattutto per i gioielli. Con la conquista mongola, il repertorio iconografico si arricchì di motivi animali e floreali, tracciati tuttavia sugli oggetti con una tecnica meno raffinata. La Turchia e l'Iran dei sec. XV e XVII predilessero vistosi recipienti in oro tempestati di gemme, e impiegarono i metalli preziosi anche per fabbricare spade, pugnali, armi da fuoco e gioielli per uomini, secondo una moda assai diffusa contemporaneamente nell'India Moghūl. L'uso dell'oro dipinto a smalto risale alla fine dei sec. XVII e XVIII, in Iran, ma era già noto in Spagna fin dal sec. XV, quando venne impiegato persino sulle spade. Generalmente, in tutto l'Oriente islamico, le varie tecniche di oreficeria si sono mantenute a un livello molto alto fino ai nostri giorni, in quanto gli oggetti preziosi sono tuttora molto richiesti.

Bibliografia

J. Evans, A History of Jewellery 1400-1890, Londra, 1953; G. Becatti, Oreficerie antiche, Roma, 1955; F. Rossi, Capolavori dell'oreficeria italiana dall'XI al XVIII secolo, Milano, 1956; C. G. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia, Roma, 1958-66; C. Carducci e altri, Ori e argenti dell'Italia antica, Torino, 1961; R. A. Higgins, Greek and Roman Jewellery, Londra, 1961; E. Steingräber, L'arte del gioiello in Europa dal Medioevo al Liberty, Firenze, 1965; E. M. De Juliis, Gli ori di Taranto in età ellenistica, Milano, 1984; E. Formigli, Tecniche dell'oreficeria etrusca e romana. Originali e falsificazioni, Firenze, 1985; M. Scarpignato, Oreficerie etrusche arcaiche, Roma, 1985; A. D'Ambrosio, Gli ori di Oplontis. Gioielli romani dal suburbio pompeiano, Napoli, 1987; Autori Vari, Tanis. L'oro dei Faraoni, Novara, 1988; S. Moscati, I gioielli di Tharros. Origini, caratteri, confronti, Roma, 1988; A. Giuliano, G. Buzzi, Splendore degli Etruschi, Novara, 1992; L. Porzio Biroli Stefanelli, L'oro dei Romani. Gioielli di età imperiale, Roma, 1992.

Trovi questo termine anche in:

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora