Generalità

Popolazione asiatica, probabilmente originaria del Nord-Est dell'odierna Mongolia, la cui storia è parte integrante di quella delle steppe dell'Asia centrale, caratterizzata da un tipo peculiare di civiltà che ha nel nomadismo pastorale il suo fondamento. Connessa con questa attività economica è la mobilità dei popoli delle steppe, che più volte ha dato luogo, per il concorrere di fattori molteplici, a vere e proprie trasmigrazioni. Ne consegue che la regione da essi abitata presenta, nel corso della sua storia, una configurazione etnica fortemente instabile.

Antropologia ed etnologia

Nome dato a un insieme di popolazioni di lingua e costumi affini, antropologicamente simili, in origine stanziate in una vasta area della Siberia centro-occidentale. Pastori e cacciatori nomadi, erano organizzati in grandi famiglie patrilocali (aul) nelle quali, però, le donne godevano di notevoli privilegi tanto da poter diventare consiglieri dei principi (khān) o tenere la reggenza per i figli minorenni. I clan regali, con spiccati caratteri militari, avevano una relativa supremazia sulla tribù di appartenenza, che aveva il diritto di sfruttare un determinato territorio (hōshūn); nelle tribù esisteva una rigida struttura in classi sociali (nobili, soldati, pastori liberi, servi, schiavi); quelle legate da vincoli parentelari di antica data costituivano unità omogenee (aimak) che, in caso di guerra, nominavano un capo supremo scelto tra i più valorosi khān tribali . Tipico della cultura mongola “storica” è l'allevamento, allo stato brado, di cavalli, cammelli e pecore, governati mediante lunghe pertiche terminanti con un laccio di cuoio (urga). Le pelli e la lana vengono utilizzate per le grandi tende cilindriche con tetto conico (yurta) rivestite di feltro o per il vestiario, simile per l'uomo e la donna, costituito da una lunga casacca fermata da una cintura tipica per ogni clan e da braghe; notevole la produzione di coperte e tappeti. Originariamente animisti, avevano in grande considerazione gli sciamani (beki); solo a partire dal sec. VI cominciarono a convertirsi al buddhismo mentre l'islamismo e il cristianesimo non ebbero mai (tranne che per i Mongoli occidentali) grande seguito. Assai ricco il patrimonio di miti, leggende, poemi e canzoni che già dal sec. XII veniva tramandato in forma scritta; fantasiose le loro feste claniche e tribali ormai facenti parte del folclore locale. Di origine assai antica, come testimoniato dai ritrovamenti archeologici (protomongolo del Bajkal, dello Jenisej, della Lena e dell'Ob) risalenti al III millennio a. C., i Mongoli presentano caratteri antropologici generali del tipo tunguso; la loro altezza non di rado superiore alla media e la morfologia somatica con tratti meno marcati indicano una probabile ibridazione con il tipo paleosiberiano. Dalle sedi originali si spostarono lentamente verso sud e ovest, in seguito alle mutate condizioni ambientali-climatiche della fine glaciazione; già all'inizio del I millennio a. C. entrarono in contatto con le genti turche e con i Cinesi, che li designarono con l'appellativo “barbari Kun” e dai quali appresero l'agricoltura; a ovest si scontrarono con le popolazioni turche (che davano loro il nome di Tatari). I tentativi d'invasione della Cina da parte di vari aimak mongoli (passati alla storia con vari nomi: Hsien-yun, Yueh-chih, Hsiung-nu, Wu-huan, Hsien-pei e altri), che a volte crearono effimeri imperi, fallirono non solo per l'energica resistenza dei Cinesi ma anche per le continue lotte interne, che produssero fra l'altro molteplici migrazioni verso ovest, dove i Mongoli si fusero con le popolazioni locali dando origine ai gruppi etnici turco-mongoli. Si vennero così a formare due raggruppamenti di tribù: a ovest i Calmucchi, con le genti affini e turcizzate, e a est dell'Altaj le tribù più pure (Buriani, Khalkha, Torguti, Tanguti, Olöd, Ordos, Dorböt, Corös, Qoset, Mongwu, le più importanti). Dal clan principesco dei Mongwu o Mogul, da cui deriva il nome Mongoli con cui divennero noti in Europa, nacque Ṭemujin, che riuscì a unificare tutti gli aimak mongoli e assunse il titolo di Cinġiz Qan o Gengis Khān (sovrano universale). Oggi, il nome di Mongoli viene dato ai soli abitanti della Mongolia, i quali hanno in gran parte assunto costumi cinesi, anche se nella steppa vivono piccoli gruppi ancora legati al modo di vita tradizionale.

Storia: le conquiste di Gensis Khān

I Mongoli veri e propri fanno la loro prima comparsa nella storia con Gengis Khān Ṭemujin che, assunto ufficialmente il titolo di Gengis Khān (“sovrano universale”) nel 1206 durante un'assemblea dei nobili mongoli (detta quriltai), riuscì a conferire unità al fluido mondo nomade che abitava le steppe della Mongolia, imponendo la propria autorità sia ai clan mongoli rivali sia ai Kereit e ai Naiman. A lui si deve la creazione del jasaq, un insieme di prescrizioni che doveva regolare il comportamento di tutti i sudditi, conformemente alla struttura aristocratica della società. Con una macchina militare di rara efficacia, che univa la tradizionale mobilità della cavalleria nomade a una rigida disciplina, i Mongoli si apprestarono quindi ad attaccare le grandi civiltà sedentarie fuori della zona delle steppe . L'obiettivo principale era costituito senza dubbio dalle ricchezze della Cina, che era allora divisa in due Stati, quello settentrionale sotto il dominio straniero dei Jurčin e quello meridionale dei Sung. Dopo la presa di Pechino (1215), tuttavia, vari fattori, tra cui le difficoltà che ancora i Mongoli incontravano negli assedi delle città fortificate e l'esigenza di coprirsi le spalle prima di impegnarsi nella conquista di un Paese così vasto, spinsero Gengis Khān a lasciare momentaneamente la Cina settentrionale per volgersi verso Occidente. In pochi anni l'esercito mongolo si spinse fino al Caucaso, dopo aver attraversato tutta l'Asia centrale e abbattuto il regno musulmano del Khwārizm, che comprendeva la Transoxiana, la Corasmia e gran parte della Persia e dell'Afghanistan. Qualsiasi resistenza fu infranta mediante l'uso sistematico del massacro e del saccheggio a scopo intimidatorio, che caratterizza tutta questa fase dell'espansione mongola. Tornato in Mongolia, Gengis Khān si preparò ad assalire il regno tanguto dei Hsi Hsia, nell'attuale provincia cinese del Gansu, e fu nel corso di questa campagna che morì il 18 agosto 1227. L'opera di conquista intrapresa da Gengis Khān fu continuata dai suoi successori. Sotto il terzogenito Ögödei furono assoggettate tutta la Cina settentrionale (1234) e la Corea (1236), e le truppe di Batu, nipote di Gengis Khān, invasero la Russia, la Polonia e l'Ungheria (1236-41). Nel 1243, reggente la vedova di Ögödei, fu sottomesso il regno selgiuchide dell'Asia Minore; durante il regno di Möngka (1251-59) fu distrutto il califfato abbaside e iniziata la conquista dell'impero cinese dei Sung, conquista che venne portata a termine da Qubilai, fratello di Möngka, solo nel 1276.

Storia: la disgregazione dell’impero mongolo

Con Qubilai, che nel 1264 trasferì la capitale da Karakoram a Pechino, ha inizio lo smembramento dell'impero mongolo, le cui premesse erano state già poste da Gengis Khān quando aveva diviso in feudi i territori conquistati, distribuendoli tra i suoi figli. Man mano che i Mongoli erano attratti dalle civiltà superiori con cui erano venuti in contatto, le esigenze locali finirono gradualmente con l'imporsi su quelle imperiali. Lo stesso Qubilai subì fortemente l'influenza della civiltà cinese, mentre la sua autorità di sovrano supremo di tutti i Mongoli fu contrastata da altri rami della famiglia gengiskhānide e, anche quando fu riconosciuta, ebbe per lo più un carattere puramente nominale. D'altro canto proprio in questo periodo risultarono più evidenti gli aspetti positivi dell'espansione mongola, al di là della prima ondata di distruzioni che l'aveva accompagnata. Per la prima volta nella storia, infatti, l'Estremo Oriente era stato collegato all'Occidente da una continuità politica e territoriale che, oltre a favorire i commerci, rendeva possibili uno scambio diretto di conoscenze e l'apertura di nuovi orizzonti geografici e culturali. È in questo contesto che si spiega il viaggio di Marco Polo. La pax mongolica tuttavia fu di breve durata. Dopo Qubilai, la storia dell'impero mongolo si scinde in quella dei singoli khanati di cui era composto. La dinastia degli Ilkhān di Persia durò fino al 1336. Il khānato dell'Orda d'oro, nella Russia meridionale, era già in avanzata fase di disgregazione, quando nel sec. XVI ricevette i colpi decisivi da parte di Ivan il Terribile; tuttavia la dinastia mongola di Crimea sopravvisse, sotto la protezione ottomana, fino al sec. XVIII. Per quanto riguarda poi il khānato dei discendenti di Čaġatai, secondogenito di Gengis Khān, che comprendeva in origine la Transoxiana, la Kashgaria e la regione dell'Ili, esso passò attraverso vari smembramenti: la Transoxiana cadde nel sec. XIV sotto il dominio di Tamerlano, che ne fece il centro del suo regno, mentre nella regione dell'Ili i Čaġataidi, ormai turchizzati, resistettero fino al sec. XVI, e nella Kashgaria fino al sec. XVII. In seguito alla cacciata dei Mongoli dalla Cina (1368), vari tentativi furono compiuti in Mongolia di riprendere l'eredità gengiskhanide. Le vicende di questo periodo appaiono caratterizzate dall'accesa rivalità che divideva i Mongoli occidentali, originari della regione del Bajkal, dai Mongoli orientali. Nella prima metà del sec. XV ebbero il sopravvento i Mongoli occidentali: la lega degli Ōirat riuscì a costituire un vasto impero e a minacciare più volte le frontiere cinesi. Fu poi la volta dei Mongoli orientali, che sotto un discendente di Gengis Khān, Dayan (1470-1543), ricostruirono temporaneamente l'unità mongola. Durante il regno di un nipote di Dayan, Altan Khān, ebbe luogo nel sec. XVI la conversione dei Mongoli al lamaismo tibetano. L'ascesa dei Manciù nel sec. XVII segnò l'inizio di un nuovo periodo nella storia dei Mongoli. Ancor prima che i Manciù conquistassero la Cina nel 1644, le tribù orientali della Mongolia Interna riconobbero la loro sovranità. Nel 1691 anche le tribù Khalkha che occupavano la Mongolia Esterna, piuttosto che cedere agli Ōirat, si sottomisero ai Manciù. Gli Ōirat, che avevano ricostituito un forte Stato nella Zungaria e nella valle dell'Ili, furono gli ultimi eredi della tradizione imperiale mongola. La loro lotta contro l'impero cino-manciù durò fino al 1756-57 e terminò con la loro distruzione. Le artiglierie cino-manciù ebbero ragione definitivamente della cavalleria mongola. Con la caduta della dinastia Manciù nel 1911, l'aristocrazia mongola della Mongolia Esterna proclamò la propria indipendenza, mentre la Mongolia Interna rimaneva unita alla Cina. Per la storia recente, vedi Mongolia Interna e Mongolia.

Letteratura

Della letteratura mongola del tempo di Gengis Khān rimane ben poco: decreti (yasa) e sentenze (bilik) in forma frammentaria. Cronologicamente il primo documento è costituito dalla pietra di Gengis Khān del 1225. Allo stesso periodo appartiene pure l'epopea dell'origine dei Mongoli e dei regni di Gengis Khān e Ögödei Storia segreta dei Mongoli, redatta nell'originale mongolo intorno alla metà del sec. XIII e conservata, in trascrizione fonetica cinese, in una redazione della seconda metà del sec. XIV. La letteratura mongola del sec. XIV è costituita da numerosi monumenti epigrafici e dalle prime traduzioni di opere buddhiste dal tibetano, che contribuirono all'arricchimento della lingua mongola. Il periodo “aureo” della letteratura mongola cade nei sec. XVII e XVIII: le due opere storiche più importanti sono il Bottone d'oro di Lubdzandandzin del 1667 e la Storia dei Mongoli di Sanang Sätsän del 1662. Del sec. XVII è la traduzione del canone tibetano kanjur, nonché la raccolta di commenti buddhisti tibetani tanjur. Di notevole interesse anche il ciclo epico dell'eroe Gäsäi Khān, di origine tibetana, con elementi epici cinesi. Dal sec. XVII alla fine del XIX la letteratura mongola subì l'influsso letterario e linguistico della Cina: furono tradotte, adattate, rielaborate le opere più famose del repertorio classico cinese dalla Storia dei Tre Regni ai Racconti meravigliosi dello studio Liao al Sogno della camera rossa. Nei primi decenni del sec. XX ha avuto inizio in Mongolia la tendenza a sostituire la lingua letteraria con i diversi dialetti volgari: si sono così sviluppate numerose letterature autonome a carattere popolare.

Arte

La limitata conoscenza dell'arte mongola è basata sullo studio di testimonianze architettoniche non anteriori al sec. XVII, cioè successive alla conversione dei Mongoli al lamaismo (sec. XVI), sulle quali peraltro pesano forti influenze tibetane e cinesi. Le stesse condizioni si riscontrano anche nella scarsa documentazione della pittura e della scultura, espressioni di un'arte religiosa sviluppatasi nel medesimo ambito di influenze. Maggiore importanza assume il ruolo svolto dai Mongoli nei rapporti tra Oriente e Occidente attraverso le influenze della Cina Yüan nell'arte iranica ilkhanide e viceversa arabo-persiane in quella cinese. In questa funzione di tramite il gusto artistico mongolo non mancò di produrre interessanti incontri e senz'altro importanti scambi. Caratteri più autentici del gusto mongolo sono individuabili in alcune espressioni di arte popolare, specie nella produzione dell'oreficeria (ornamenti femminili) e nella lavorazione dei metalli in genere dove si mescolano esperienze riconducibili all'arte animalistica.

Bibliografia

Per la letteratura

C. R. Bawden, Letteratura mongola, in Storia delle letterature d'Oriente, Milano, 1969; W. Heissig, Geschichte der Mongolischen Literatur, Wiesbaden, 1972.

Per la storia

L. Lorinc, Histoire de la Mongolie des origines à nos jours, Budapest, 1984; T. T. Allsen, Mongol Imperialism: the Politics of the Gran Qan Mongke in China, Russia and Islamic Lands, 1251-1259, Berkeley, 1987.

Per l'arte

W. Bowyr Honey, The Ceramics Art of China and Other Countries of the Far East, Londra, 1954; L. Sickman, A. Soper, The Art and Architecture of China, Harmondsworth, 1956.

Trovi questo termine anche in:

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora