barbàrico
IndiceLessico
agg. (pl. m. -ci) [sec. XIV; dal latino barbarícus]. Dei barbari: tribù barbariche, costumi barbarici. Per estensione, degno di barbari; rozzo, incolto; selvaggio; crudele, feroce: gusto barbarico; brutalità barbarica.
Arte barbarica. Alcune fibule di arte barbarica ed una spilla a forma di mosca (Firenze, Museo Nazionale del Bargello).
De Agostini Picture Library/G. Dagli Orti
Arte barbarica. Pace del duca Orso in oro, avorio e gemme; sec. VIII (Cividale del Friuli, Museo Civico).
De Agostini Picture Library / A. Dagli Orti
Arte barbarica. L'Evangeliario di Teodolinda (Monza, Museo del Tesoro del Duomo).
De Agostini Picture Library / M. Carrieri
Storia: le invasioni barbariche
Le migrazioni di popolazioni nomadi o seminomadi che si riversarono da N e da E nell'Impero romano d'Occidente e, con minore rilevanza, in quello d'Oriente, si manifestarono con la massima imponenza tra la metà del sec. IV e la metà del sec. VI, culminando nel sec. V. Il fenomeno, le cui cause sono tuttora mal conosciute e oggetto di discussione, trasformò radicalmente le condizioni di vita del mondo antico. Ne furono allora protagonisti i Germani (Goti, Alamanni, Vandali, Alani, Svevi, Franchi, Burgundi, Angli, Sassoni, ecc.), ma a essi si affiancarono anche popolazioni d'altre stirpi (Unni, Slavi, Bulgari, Avari, ecc.). Le grandi invasioni dei sec. IV-VI furono precedute per vari secoli da episodi sporadici, efficacemente fronteggiati dall'apparato difensivo romano. Nuove invasioni di grande rilevanza storica avvennero nei sec. VIII (Arabi), IX e X (Vichinghi e Magiari o Ungari) e XIV (Turchi ottomani); nel sec. XIII e nel XV interessarono ancora l'Europa orientale, in particolare la Russia, le orde mongoliche provenienti dalle steppe dell'Asia centrale.
Arte: generalità
Con arte barbarica si definisce storicamente l'arte dei popoli nomadi germanici che invasero il territorio dell'Impero romano, sviluppatasi dal sec. IV al IX, epoca in cui la rinascita carolingia impose una nuova visione artistica, almeno nei Paesi europei. Non però in Scandinavia, dove l'oreficeria conservò i tradizionali motivi nordici, con uno svolgimento parallelo a quella carolingia. È compresa sotto questo nome anche l'arte dei popoli irlandesi e scandinavi, che non vennero in contatto diretto col mondo romano. L'attività artistica dei barbari si limitò quasi esclusivamente all'oreficeria; sono giunte fino a noi anche opere in pietra scolpita, mentre la pittura e l'architettura (come è comprensibile trattandosi di popoli nomadi) non ebbero sviluppi autonomi: le manifestazioni artistiche in questo campo furono infatti dovute ai popoli conquistati oppure agli invasori dopo che si furono stanziati in modo definitivo. Nulla è rimasto dell'architettura lignea, diffusa soprattutto in Scandinavia, dove la tradizione costruttiva continuò nei secoli successivi. I monumenti in pietra sono in genere costituiti da lastre tombali; quelle franche, prodotte in ambiente cristiano, sono adorne di rilievi piuttosto rozzi. Figure umane sommariamente delineate si trovano anche in lastre in pietra rinvenute in Germania, tra cui una, raffigurante un cavaliere, proveniente da Hornhausen (sec. VII-VIII; Halle, Landesmuseum für Vorgeschichte). Particolarmente significative le steli funebri del Gotland (Svezia), scolpite o dipinte con scene delle saghe nordiche distribuite in fasce (sec. V-VIII, Stoccolma, Historiska Museet).
Arte: l'oreficeria
Espressione artistica peculiare di questi popoli migratori è l'oreficeria che ha lasciato splendidi pezzi ai quali è affidata la sopravvivenza dell'arte barbarica nella storia dell'arte. In essa confluiscono diversi elementi: orientali (tramite gli Sciti e i Sarmati), occidentali (tramite i Celti), classici e tardo-antichi (tramite le popolazioni latine) che, fusi con quelli scandinavi, diedero origine a uno stile nuovo e originale di carattere inconfondibile. Naturalmente l'arte barbarica, pur con una stretta affinità di stile, assunse una fisionomia diversa nelle opere dei diversi popoli. Era inevitabile che gli Ostrogoti e i Longobardi fossero influenzati dalle tradizioni romane, vive in territorio italiano, e non potessero ignorare l'arte bizantina. È probabile anzi che al loro servizio vi fossero anche artefici bizantini. Gli stili presenti nel vastissimo patrimonio di oggetti preziosi barbarici giunti fino a noi sono essenzialmente quattro: lo stile policromo, lo stile figurato e lo stile zoomorfo, a cui si aggiunge come quarto elemento la filigrana, trattata nell'oreficeria barbarica in modo magistrale. I Longobardi ebbero un vivo gusto per lo stile policromo, ma usarono anche la decorazione zoomorfa (croci di Monza e Cividale). I Visigoti invece ignorarono la decorazione zoomorfa, di cui non è reperibile alcuna traccia nella loro oreficeria, ma furono eccellenti nello stile policromo. La decorazione zoomorfa fu largamente adottata dai Franchi, oltre allo stile policromo, e tutti e due gli stili compaiono anche presso i Burgundi e gli Alamanni. È in Scandinavia che troviamo soprattutto rappresentato lo stile zoomorfo, come pure lo stile figurato, specialmente in Svezia (brattee). Nell'oreficeria anglosassone sono presenti sia la filigrana sia l'intreccio zoomorfo (fibbia di Faversham, sec. VI; Londra, British Museum) sia lo stile policromo, anch'esso largamente rappresentato. Quest'ultimo stile, caratterizzato da pietre colorate incastonate in alveoli sia d'incavo sia di rapporto (tipico l'uso dell'almandina, chiusa negli alveoli a mo' di smalto), è rappresentato in tutto il suo fulgore nel tesoro di Petrossa (Romania), che si riconnette a tradizioni sarmatiche e scitiche (sec. IV). Di questi gioielli, splendidi nella loro sontuosità coloristica, si citano una collana d'oro a traforo con pietre sfaccettate (Bucarest, Muzeul National de Antiquitati) e le fibule ad aquila. Al tesoro di Petrossa è apparentato quello di Szilagi Somlyò, i cui gioielli sono caratterizzati dalle pietre disposte in modo da lasciare visibile il reticolato aureo. Non è ancora stato possibile identificare con certezza i popoli a cui si devono gli oggetti di questi due tesori. In Italia lo stile policromo è largamente rappresentato ed è legato alla presenza degli Ostrogoti prima (489-553) e dei Longobardi poi (568-774) . Sembra siano da attribuirsi agli Ostrogoti la corazza di Teodorico, oggi perduta, e le fibule ad aquila di Cesena, le quali si possono avvicinare, sotto certi aspetti, a quelle di Petrossa. Le opere longobarde, magnificamente esemplificate nel Tesoro di Monza, oltre che nei ritrovamenti di Castel Trosino e di Nocera Umbra, si distinguono da quelle ostrogote per maggior ricchezza e sontuosità . Tipiche le fibule a scudo, divise in zone concentriche, e notevoli i pezzi che mettono in evidenza ogni singola pietra, montata in castoni di rapporto. Nello stile policromo eccelsero pure i Visigoti di Spagna, come mostrano le splendide corone pendule rinvenute a Fuente de Guarrazar (Parigi, Musée de Cluny e Madrid, Museo Arquelógico Nacional), e i Franchi, maestri nello sfruttare l'effetto decorativo delle pietre incastonate in rilievo con castoni rapportati sporgenti dal piano di fondo, ornato di filigrana (gioielli di Tournai, nella tomba di Childerico I). Non meno tipiche e interessanti sono le opere con composizioni figurate e decorazione zoomorfa. Lo stile a composizioni figurate nacque dall'imitazione delle monete romane e da quella dei medaglioni di età imperiale (già verso il sec. V si trovano medaglioni d'oro barbarici) e la sua evoluzione è tracciata con precisione dai vari tipi di figurazione delle brattee scandinave (in prevalenza del 450-550). Il tipo più vicino al modello romano è rappresentato da quelle che riproducono, in maniera talvolta abbastanza abile, anche se rigida, teste di imperatori (medaglione aureo da Lilla Jored; Stoccolma, Historiska Museet). Lo stadio di elaborazione successivo è quello che combina le tradizioni classiche con i tipici motivi germanici di ornamentazione zoomorfa: nella brattea aurea di Gerete, anch'essa nel Museo di Stoccolma, un animale fantastico è sovrastato da una testa umana, vista di profilo. Il momento finale del processo è rappresentato dal trionfo dei motivi schiettamente germanici: si ha allora l'unione della figura umana con animali in schematiche rappresentazioni di un guerriero con un animale oppure (e soprattutto) solo motivi figurati decorativi, come nella bellissima brattea di Söderby (sempre nel Museo di Stoccolma). Lo stile zoomorfo è l'espressione più genuina e originale del gusto germanico ed è estraneo a ogni precedente romano o bizantino. Esso si divide in due fasi, dette Salin I e II dal nome dello studioso che per primo le classificò. Nel primo stile zoomorfo i corpi degli animali sono ancora riconoscibili e costituiscono il tema decorativo, talvolta combinati con elementi umani (braccia, gambe, teste). Nel secondo stile zoomorfo i corpi degli animali sono resi come strisce e la decorazione è costituita da un intreccio di nastri a estremità zoomorfizzate in teste di animali. Ottimi esempi di questa fase sono i reperti di Sutton Hoo. Nello stile zoomorfo si può vedere ancora una terza fase (Salin III), esemplificata in Scandinavia dal sec. VIII in poi, nella quale le forme animali, dapprima connesse, poi disgregate, formano il tema esclusivo della decorazione. La filigrana, trattata dai popoli barbari con grande maestria, determina uno stile particolare di oreficeria, rappresentato nel modo migliore in Scandinavia. Tra i lavori filigranati scandinavi (tutti di altissima qualità) spicca, per la raffinatezza della tecnica e l'eleganza della decorazione, la collana di Ålleberg (sec. VI, Stoccolma, Historiska Museet), formata da tre elementi tubolari a cerchio, adorni di anelli modanati. Tra un elemento e l'altro si inserisce una fine decorazione costituita da file di motivi figurati in lamina d'oro sbalzata delicatamente ritagliata.
Bibliografia (per l'arte barbarica)
R. Jessup, Anglo-saxon Jewellery, Londra, 1950; S. Fuchs-J. Werner, Die langobardischen Fibeln aus Italien, Berlino, 1950; W. Holmquist, Germanic art, Lund, 1955; F. Behn, Römertum und Völkerwanderung in Mitteleuropa zwischen Augustus und Karl dem Grossen, Stoccarda, 1963; M. V. Gallina, Materiale goto e longobardo nei musei di Tortona e Alessandria, Roma, 1980.