mùscolo
IndiceLessico
sm. [sec. XIV; dal latino muscŭlus, dim. di mus, topo].
1) Organo che ha la proprietà di contrarsi, sotto uno stimolo adeguato, determinando il movimento del corpo animale o di sue parti: i dorsali, pettorali; le contrazioni dei muscoli. Fig.: un uomo tutto , assai robusto e forzuto; spesso come simbolo di forza bruta in contrapposizione all'intelligenza: è un tipo solo e niente cervello.
2) Taglio polposo di carne macellata, con quantità più o meno consistente di grasso.
3) Nome comune di alcuni Molluschi Bivalvi e in particolare dei mitili.
4) Lo stesso che moscolo.
Anatomia
I muscoli della maggior parte degli animali sono costituiti da insiemi di fibre muscolari tenute insieme e rivestite da un tessuto connettivale percorso da nervi e vasi sanguigni, preposti rispettivamente all'attivazione e al nutrimento di ciascun muscolo. Ogni muscolo è avvolto da una membrana elastica, l'aponeurosi, che lo mantiene in sede anche durante la contrazione. In base alla loro azione, i muscoli vengono distinti in volontari e involontari; rispetto al tipo di tessuto muscolare che li costituisce sono distinti in striati e lisci. I volontari, composti da fibre muscolari striate, si inseriscono con particolari formazioni sulle ossa o sulla cute e si contraggono bruscamente sotto l'azione della volontà; sono particolarmente vascolarizzati e appaiono così di colore rosso vivo. I involontari, costituiti da fibre muscolari lisce, sfuggono invece all'influenza della volontà e sono sotto il controllo del sistema nervoso vegetativo; nella loro attività si contraggono lentamente, consentendo l'espletamento delle funzioni della vita vegetativa (digestione, respirazione, circolazione, ecc.). Essi sono per lo più situati nelle pareti dei visceri e dei vasi, dove appaiono sotto la forma di filamenti, membrane, tuniche, ecc. Comunemente si intendono per muscoli quelli volontari, che costituiscono masse di forma e grandezza variabile, rivestite e separate da speciali involucri e membrane, sicché possono essere considerati, a differenza dei muscoli involontari, veri e propri organi differenziati. Il muscolo volontario striato è formato da una porzione contrattile (ventre o carne muscolare), di color rosso, più molle se rilassata, più dura se contratta, e da una porzione inelastica e inestensibile, di colore bianco-giallastro (tendine). La carne muscolare risulta formata da tanti fasci muscolari avvolti in un involucro (endomisio); l'insieme dei fasci è avviluppato in un altro involucro di tessuto connettivo lasso (perimisio). L'intima struttura del muscolo è costituita dal tessuto muscolare, nonché da vasi sanguigni e linfatici, e da nervi che possono essere motori, sensitivi o vegetativi. Mentre le fibre nervose sensitive si ramificano e terminano libere nell'interno del muscolo, quelle motrici si suddividono nelle singole fibre muscolari e terminano con una placca (o piastra motrice), aderente alla superficie della fibra stessa.
Anatomia comparata: generalità
I criteri seguiti per stabilire nelle varie classi di Vertebrati le corrispondenze tra muscoli, talora considerevolmente differenti di aspetto, si basano sulla loro posizione (origine e inserzione) che può mantenersi più o meno costante indipendentemente dallo sviluppo dei muscoli in questione; sulla loro funzione, giacché il tipo e la quantità del lavoro che il muscolo è chiamato a compiere influiscono in modo determinante sul suo sviluppo e sulla sua complessità; infine sulla loro derivazione embriologica e innervazione. A quest'ultimo proposito si ricorda che nell'embrione di tutti i Vertebrati indistintamente ogni miotomo (frazione di mesoderma parassiale metamerico, destinato a diventare tessuto muscolare striato) riceve dal neurasse una radice nervosa che lo segue nei suoi spostamenti fino a sviluppo ultimato. Di conseguenza se in due muscoli di due Vertebrati (per esempio rettile e mammifero) si può dimostrare una medesima innervazione si può presumere che essi siano omologhi. Non sempre tuttavia i criteri accennati sono sufficienti a stabilire con certezza la derivazione filogenetica di ogni singolo muscolo: ciò si riscontra per esempio con i muscoli degli arti, i quali hanno subito modificazioni e adattamenti assai rilevanti.
Anatomia comparata: la muscolatura del tronco
Nei Pesci costituisce la massima parte della muscolatura ed è formata da due masse laterali, estese dal capo alla coda e separate da un setto verticale mediano e da un setto orizzontale che le suddivide in una porzione dorsale o epiassiale e una ventrale o ipoassiale, quest'ultima meno cospicua per lasciare posto alla cavità viscerale. Nella regione branchiale si trovano piccoli muscoli epi- e ipobranchiali (coracobranchiali, coracoioideo, coracomandibolare), anch'essi di origine somatica. Tutta o quasi la muscolatura ha una evidente disposizione metamerica (miomeri segmentali) che si attenua soltanto in corrispondenza delle cinture pettorale e pelvica per la comparsa di muscoli dello scheletro assile tanto più sviluppati e complessi quanto maggiore è lo sviluppo delle rispettive pinne. La disposizione metamerica è risultata, nel corso dell'evoluzione, molto efficace per ottenere quei movimenti ondulatori laterali del tronco e della coda, responsabili della locomozione. I muscoli delle pinne pari sono molto semplici e in molti Pesci consistono di un unico estensore dorsale, o abduttore, che solleva la pinna e la muove in direzione caudale, e di un flessore dorsale, o adduttore, che abbassa la pinna e la muove in avanti. Il passaggio dall'acqua alla terraferma ha comportato importanti cambiamenti nei muscoli somatici: gli arti hanno assunto sempre maggiore importanza agli effetti della locomozione, mentre sempre meno importanti sono diventati i movimenti della coda. Nei Tetrapodi, comunque, la muscolatura assiale è ridotta ma più complicata perché il tronco e la coda sono capaci di flettersi, oltre che in senso laterale, anche in senso dorso-ventrale; inoltre in questi animali si differenzia il collo che dà grande mobilità alla testa con movimenti di torsione oltre che di flessione. Prevale decisamente la muscolatura epiassiale che si fa più dorsale e ha quindi funzione prevalentemente estensoria, mentre quella ipoassiale comincia a ridursi negli Anfibi Urodeli e ancor più nelle altre classi. I muscoli del dorso sono molto voluminosi e robusti dovendo sostenere la colonna vertebrale e l'intero corpo in generale sotto il peso della gravità, mentre si assottigliano i muscoli del tronco (per esempio l'obliquo esterno) che hanno il compito di contenere i visceri addominali e permettere i movimenti respiratori. Alcuni muscoli del tronco si inseriscono sul cinto pettorale favorendo, in particolare negli animali quadrupedi, il trasferimento del peso corporeo al cinto e agli arti. Gradatamente dagli Anfibi ai Rettili e ai Mammiferi si cancellano e si confondono i segni dell'originaria disposizione metamerica fino a sparire pressoché completamente: se ne osservano ancora tracce solo nel retto dell'addome esteso longitudinalmente su ciascun lato della linea medioventrale. Nei Primati, e quindi nell'uomo, la muscolatura epiassiale ha grande importanza per il mantenimento della stazione eretta (muscolo sacrospinale). La muscolatura epiassiale è molto ridotta nei Testudinati, che hanno il tronco rigidamente racchiuso nel carapace, e negli Uccelli, nei quali il tronco è piuttosto rigido per la fusione di elementi vertebrali. La muscolatura ipoassiale conserva a grandi linee la medesima disposizione nei Sauri, negli Uccelli e nei Mammiferi lateralmente con il triplice strato formato dai larghi muscoli obliqui esterno e interno e dal trasverso, e ventralmente con la muscolatura retta. Con lo svilupparsi e il perfezionarsi della respirazione polmonare si forma la serie dei muscoli intercostali. Nei Mammiferi la muscolatura respiratoria è completata dal diaframma che separa la cavità viscerale in toracica e addominale.
Anatomia comparata: la muscolatura branchiale
I muscoli branchiali dei Pesci sono ben sviluppati e sono associati con gli archi viscerali; i muscoli mandibolari e alcuni muscoli ioidei permettono il movimento della mandibola; la maggior parte dei restanti favorisce i movimenti respiratori degli arti branchiali. I Ciclostomi hanno una muscolatura branchiale piuttosto particolare in conseguenza della necessità di variare l'ampiezza delle camere branchiali e di muovere il pistone della lingua. Tale muscolatura è difficilmente omologabile a quella degli Gnatostomi in genere, nei quali si può stabilire che, in seguito allo sviluppo della mandibola, porzioni branchiali dei primi archi danno luogo a muscoli masticatori e a muscoli del pavimento della cavità boccale. Dal costrittore dell'arco ioideo dei Condritti derivano i muscoli opercolari degli Osteitti, il muscolo costrittore del collo dei Sauri e la muscolatura del collodei Tetrapodi, quella cutanea facciale (mimica) dei Mammiferi, massimamente sviluppata nei Primati, e i pellicciai del gruppo auricolare, più cospicui negli altri mammiferi. Dai sollevatori delle branchie probabilmente derivano il muscolo occipitale, il trapezio e lo sternocleidomastoideo dei Mammiferi, questo considerato come una porzione anteriore e separata del trapezio. Derivati branchiali sono anche muscoli viscerali della faringe e della laringe. I muscoli epi- e ipobranchiali di origine somatica diventano nei Mammiferi i gruppi genio-ioidei e sottoioidei. La muscolatura intrinseca della lingua, negli animali che ne sono provvisti, può considerarsi anch'essa di origine epibranchiale. Diversamente dagli altri muscoli della testa, i muscoli oculomotori derivano embriologicamente da tre miotomi preottici: in tutti i Vertebrati esclusi i Mixonoidei quasi ciechi, si trovano costantemente 6 muscoli oculomotori (4 retti e 2 obliqui). Negli Anfibi, Rettili e Mammiferi a eccezione dei Chirotteri e dei Primati si trova in più un muscolo retrattore del bulbo e in molti Rettili e negli Uccelli un muscolo della membrana nittitante.
Anatomia comparata: la muscolatura degli arti
I muscoli delle appendici sono molto semplici nei Pesci, mentre diventano necessariamente robusti e strutturalmente complessi nei Vertebrati terrestri, dovendo consentire lo spostamento del corpo in un ambiente dominato dalla gravità. Si ritiene che i muscoli degli arti dei Pesci derivino, durante lo sviluppo embrionale, dai miotomi. Dall'estremità ventrale di alcuni miotomi, che si trovano vicino alla base delle pinne pari, compaiono estroflessioni pari digitiformi che danno origine a masse di tessuto muscolare sopra e sotto lo scheletro della pinna. Nei Tetrapodi, invece, l'origine dai miotomi è ancora da dimostrare. Nel caso della muscolatura degli arti è meno agevole riuscire a stabilire omologie tra i vari Vertebrati. Nei Pesci la muscolatura degli arti è molto semplice e costituita da piccoli gruppi di muscoli con funzione di elevatori e abbassatori delle pinne, situati rispettivamente in posizione dorsale e ventrale alle pinne stesse. Nei Tetrapodi la muscolatura degli arti si complica molto in relazione allo sviluppo, alla posizione, al tipo di locomozione, alla grande varietà di movimenti che possono compiere i diversi segmenti degli arti. Tuttavia i muscoli degli arti si possono dividere in due grandi gruppi comprendenti uno gli estensori, abduttori e supinatori, derivanti embriologicamente da una massa di mesenchima dorsale all'abbozzo dello scheletro, l'altro i flessori, adduttori e pronatori, derivanti da una massa di mesenchima ventrale. Questa disposizione è paragonabile a quella accennata per le pinne dei Pesci con una massa muscolare dorsale e una ventrale. Gli attributi di dorsale e ventrale non si adattano a quei Tetrapodi nei quali gli arti sono ruotati in posizione parasagittale (per esempio nell'uomo). Per questi è meglio dire che i flessori sono interni al gomito e al ginocchio, gli estensori esterni. Per quanto riguarda la cintura scapolare e il braccio, i principali muscoli che si trovano più o meno modificati in tutti i Tetrapodi sono: per il gruppo degli estensori e abduttori (dorsali) il latissimo del dorso (che, secondo alcuni, dà luogo al grande rotondo dei Mammiferi), l'elevatore della scapola, i romboidi, il già citato trapezio, di origine branchiale; per il gruppo dei flessori e adduttori (ventrali) si ricordano i pettorali, massimamente sviluppati negli Uccelli. Nella parte libera dell'arto anteriore si ritrovano abbastanza costantemente tra gli estensori: nella spalla, il deltoide, composto da due porzioni distinte nei Vertebrati più primitivi, fuso in un unico muscolo nei Rettili e nei Mammiferi; nel braccio, l'estensore ulnare (anconeo); tra i flessori del braccio, il bicipite. Nell'avambraccio il numero e la complessità dei muscoli variano secondo il numero delle dita presenti e della loro capacità di articolarsi: la massima complicazione si raggiunge nei Primati, in particolare nell'uomo in relazione all'alto grado di evoluzione della mano; nella mano si trovano anche estensori e flessori brevi delle dita e interfalangiali dorsali e ventrali. Nell'arto posteriore le ossa della cintura pelvica sono unite allo scheletro assiale formando il bacino. Conseguentemente la muscolatura assoappendicolare è ridotta essenzialmente a un solo muscolo ventrale, il puboischiofemorale che nei Mammiferi prende il nome di ileopsoas: come nell'arto anteriore i muscoli della parte libera sono anche qui divisi in due gruppi antagonisti. In tutti i Vertebrati si ritrovano alcuni muscoli tipici, quali il quadricipite femorale e il sartorio tra i muscoli estensori della coscia, e i gastrocnemi tra i flessori della gamba. Come nell'avambraccio, nella gamba si trovano lunghi muscoli che si estendono fino al piede e alle sue dita. Nel piede si trovano i flessori ed estensori brevi delle dita, gli interfalangiali e altri piccoli muscoli dorsali e ventrali.
Anatomia comparata: la muscolatura cutanea
Nei Pesci, la parte superficiale dei muscoli scheletrici è legata strettamente al derma. Nei Tetrapodi la pelle invece è relativamente libera dalla muscolatura sottostante. Tuttavia si trovano in parecchi casi sottili lamine o fasci muscolari parzialmente o completamente immersi nello spessore della pelle di cui determinano i movimenti. Questi muscoli derivano embriologicamente dai muscoli scheletrici sottostanti. La muscolatura cutanea è poco accennata negli Anfibi, poco sviluppata nei Rettili e negli Uccelli. Tra i Rettili però, i serpenti hanno un complicato sistema di muscoletti cutanei che servono a sollevare il margine posteriore delle squame ventrali per migliorare l'attrito sul terreno e facilitare quindi la progressione. Negli Uccelli i muscoli dermici, derivati da un certo numero dei muscoli della spalla e dell'ala, si inseriscono distalmente nella spessa pelle dell'ala e sono utili al volo perché possono modificare l'inclinazione dei vari elementi del piumaggio. Nei Mammiferi la muscolatura cutanea è molto sviluppata. In molti di essi (fanno eccezione i Primati più evoluti) quasi l'intero tronco e il collo sono avvolti da una lamina continua di muscolatura cutanea che prende il nome di pannicolo carnoso. Sebbene si estenda su quasi tutto il tronco, il pannicolo carnoso, è derivato, in gran parte, dal pettorale. Nelle scimmie la muscolatura cutanea del tronco è ridotta e nell'uomo è scomparsa. Inoltre in tutti i Mammiferi, e soprattutto nell'uomo, sono molto sviluppati i pellicciai della faccia derivanti dalla muscolatura branchiale. Da porzioni di muscolatura assiale o branchiale profondamente modificata derivano anche gli organi elettrici posseduti da diverse specie di Pesci cartilaginei e ossei.
Anatomia comparata: negli Invertebrati
Negli Invertebrati si trovano muscoli adattati a varie funzioni. Nei Protozoi e nelle spugne (Poriferi) sono costituiti soltanto da fibrille contrattili. Fra i Celenterati appaiono i primi veri e propri elementi muscolari che si trovano sotto forma di fasci lisci o striati nell'ombrella e anche nel velo, per esempio nelle idromeduse. Negli Anellidi il sistema muscolare diventa metamerico e viene distinto in somatico e viscerale. Negli altri invertebrati (per esempio Artropodi) è diviso in fasci che si inseriscono sui tegumenti.
Anatomia umana
Nell'uomo il numero complessivo dei muscoli è di poco più di 300, nella maggioranza organi pari. Secondo i loro rapporti si dividono in muscoli scheletrici (o profondi), quando presentano le loro inserzioni tendinee su ossa, e in pellicciai (o superficiali), quando almeno uno dei punti d'attacco è sulla cute. Liberi nella loro parte mediana, i muscoli si fissano con le loro estremità a superfici (punti di attacco o d'inserzione) che possono essere ossa fisse o mobili, cute o mucose; taluni si inseriscono da un lato a un osso e dall'altro alla cute. Contraendosi i muscoli provocano allora modificazioni nelle posizioni delle ossa o delle parti molli e cutanee interessate. In base alla forma possono essere classificati in: lunghi, cioè quelli molto sviluppati in lunghezza (per esempio il bicipite del braccio o il semitendinoso della coscia); larghi, cioè quelli sviluppati in larghezza (per esempio il grande o il piccolo pettorale dalla forma triangolare, o il grande retto addominale, quadrato); brevi, cioè quelli situati attorno ad articolazioni o alla colonna vertebrale, dalla forma assai diversa, fra i quali sono quelli che circondano gli orifizi del corpo, come gli orbicolari e gli sfinteri. Sono considerati annessi del muscolo altre formazioni anatomiche, quali i tendini, le fasce o aponeurosi, i legamenti vaginali o guaine fibrose, le guaine e le borse mucose o sinoviali. L'insieme dei muscoli forma la muscolatura o sistema muscolare. I muscoli striati prendono nomi convenzionali, che tuttavia si riferiscono o all'azione che essi svolgono (flessori, estensori, pronatori, adduttori, abduttori, ecc.), o al numero dei capi di inserzione (bicipiti, tricipiti, quadricipiti), o alla loro direzione (obliqui, retti, trasversi) o alla forma (quadrato, romboide, trapezio, ecc.), ovvero all'organo servito o alle ossa sulle quali sono inseriti. Muscoli antagonisti sono detti quelli che svolgono un'azione opposta a quella attuata da altro muscolo (per esempio il bicipite brachiale, che è un muscolo flessore, e il tricipite brachiale che è invece estensore). Muscolo cardiaco è detto il miocardio formato da tessuto muscolare cardiaco .
Fisiologia: la contrazione muscolare
Caratteristica dei muscoli è la contrazione: alcuni muscoli si contraggono prevalentemente in condizioni isotoniche, perché la loro funzione è quella di spostare i segmenti scheletrici nei quali hanno inserzione; altri invece sono prevalentemente isometrici, perché hanno il compito di esplicare una forza senza accorciamento considerevole. Tuttavia, nella contrazione di un qualsiasi muscolo si possono riconoscere una fase isometrica e una fase isotonica. Per esempio, quando si solleva un peso con l'arto superiore, i muscoli di questo si contraggono inizialmente in condizioni isometriche fino a quando la forza sviluppata non raggiunge e supera il peso sollevato; quando ciò avviene inizia il sollevamento del peso in questione, mentre la contrazione muscolare diventa isotonica. I muscoli prevalentemente isometrici sono quelli antigravitari, cioè quelli a cui è affidato il compito di sostenere il peso del corpo; le loro fibre sono piuttosto brevi e hanno una notevole sezione trasversa. I muscoli prevalentemente isotonici sono quelli che intervengono nei movimenti di flessione e di estensione; hanno fibre molto lunghe e la forza che sono capaci di sviluppare è generalmente inferiore a quella dei muscoli isometrici. La stimolazione di un muscolo con un singolo stimolo di breve durata provoca una risposta contrattile che prende il nome di scossa muscolare semplice. In essa si distinguono una fase di latenza meccanica, una fase di accorciamento e una fase di rilasciamento. La durata della scossa varia in rapporto al tipo di muscolo. I muscoli “rapidi”, cioè quelli implicati nei movimenti fini, rapidi e precisi, danno scosse che durano solo 7,6 ms. I muscoli “lenti”, che partecipano ai movimenti sostenuti, grossolani e richiedenti molta forza, danno scosse che durano fino a 100 ms. Nei muscoli striati la contrazione si propaga da una fibra all'altra come un'onda; lo stimolo viene cioè trasmesso dalle fibre della regione stimolata a quelle adiacenti, le quali dallo stato di riposo passano allo stato di contrazione. Ciò si deve al fatto che nelle fibre muscolari i processi meccanici della contrazione sono associati a manifestazioni elettriche del tutto simili a quelle delle fibre nervose. Il sarcolemma è infatti polarizzato elettricamente , presentando in condizioni di riposo un potenziale di membrana di -80/90 mV, che ha la stessa origine di quello delle fibre nervose. Pertanto anche nelle fibre muscolari uno stimolo provoca la depolarizzazione della membrana e l'inversione del potenziale di riposo; da ciò ha origine un potenziale d'azione muscolare, che può essere trasmesso dalla regione depolarizzata a quelle vicine ancora in riposo. In questi ultimi anni molti studi sono stati effettuati per chiarire il meccanismo di accoppiamento tra potenziale d'azione e attivazione contrattile delle miofibrille. È stato dimostrato che la depolarizzazione del sarcolemma determina l'attivazione delle miofibrille tramite il reticolo sarcoplasmatico, il quale costituisce la via di diffusione dei fenomeni elettrochimici di membrana a tutto l'apparato contrattile. Si è inoltre accertato che nell'innesco dei processi chimici della contrazione accoppiati con il potenziale d'azione hanno un ruolo fondamentale gli ioni calcio (Ca++). La reazione tra ATP e miosina richiede ioni calcio: in condizioni di riposo questi sono assenti nell'interno delle fibre muscolari essendo completamente “sequestrati” dal reticolo sarcoplasmatico, che ha un'elevata affinità per il calcio. Mancando un fattore indispensabile per le reazioni biochimiche della contrazione, l'apparato contrattile è quiescente. Quando alle fibre muscolari si propaga un potenziale d'azione avviene la liberazione di ioni calcio dal reticolo sarcoplasmatico e ciò determina l'innesco della reazione contrattile. La fuoriuscita del calcio dai tubuli del reticolo sarcoplasmatico è tuttavia un fenomeno transitorio; una volta avvenuta la contrazione, il calcio viene nuovamente sequestrato nel reticolo, con rilasciamento dell'apparato miofibrillare che ritorna in condizioni di riposo. L'eccitamento prodotto dallo stimolo determina nelle fibre muscolari striate, al pari delle fibre nervose e del miocardio, uno stato transitorio di refrattarietà, a causa del quale la capacità della fibra di rispondere ad altri stimoli è abolita (refrattarietà assoluta) o diminuita (refrattarietà relativa). Nei muscoli scheletrici il periodo di refrattarietà dura solo pochi millesimi di secondo, occupando l'intervallo che intercorre tra l'applicazione dello stimolo e l'inizio della risposta contrattile (periodo di latenza meccanica). Nelle fibre muscolari miocardiche invece il periodo di refrattarietà assoluta dura per tutto il periodo della contrazione. Pertanto, a differenza di quanto si verifica nel cuore, allorché un muscolo inizia la contrazione, esso ha già riacquistato la normale capacità di rispondere a un altro stimolo. Nei muscoli striati si possono applicare anche più stimoli ripetuti a brevi intervalli di tempo. Quando l'intervallo tra questi stimoli è ridotto oltre un certo limite (cioè al periodo corrispondente a una singola scossa muscolare), le contrazioni finiscono per fondersi in un'unica contrazione continua che dura per tutto il tempo della stimolazione. Tale fenomeno prende il nome di tetano muscolare. Si è già accennato al fatto che un muscolo sviluppa una forza quando si contrae in condizioni isometriche, e una forza più un lavoro quando si contrae in condizioni isotoniche. In questo secondo caso la forza è pari al peso che gli viene applicato, mentre il lavoro è pari al prodotto della forza suddetta per l'accorciamento determinato dalla contrazione. Pertanto il lavoro massimo che un muscolo è in grado di compiere dipende sia dalla forza che è capace di sviluppare sia dall'accorciamento che le sue fibre possono raggiungere. A parità di altre condizioni la forza è proporzionale alla sezione trasversa del ventre muscolare, cioè al numero complessivo delle fibre che lo compongono e al loro diametro trasverso. Nei muscoli striati la forza massima è abbastanza costante, variando da 5 a 10 kg/cm². D'altra parte, il lavoro, dipendendo anche dall'accorciamento che le fibre muscolari possono raggiungere, sarà proporzionale anche alla lunghezza del muscolo. Mediante calcoli matematici è possibile stabilire, in base alla forza e alla lunghezza isometrica di un muscolo, la quantità di energia che si sviluppa nella contrazione, la quale, in teoria, dovrebbe essere convertita integralmente in lavoro, nelle condizioni isotoniche. In realtà, solo 1/3 circa dell'energia contrattile viene trasformata in lavoro, perché il muscolo durante la contrazione deve vincere l'attrito che deriva dalla viscosità interna del muscolo stesso, energia che viene totalmente dissipata in calore. Esiste d'altra parte una lunghezza ottimale, alla quale i muscoli sviluppano la forza massima di cui sono capaci. Ciò si spiega se si tiene conto che il processo contrattile è espressione dello scorrimento dei miofilamenti nei sarcomeri e che l'energia contrattile dipende, in ultima analisi, dal numero dei legami che si stabiliscono tra i filamenti di actina e quelli di miosina. Pertanto, se il muscolo è eccessivamente allungato, i filamenti dei sarcomeri risultano troppo “sfilati”, così da rendere impossibile lo stabilirsi di un numero ottimale di legami actina-miosina; d'altra parte, se il muscolo è troppo accorciato, i filamenti risultano sovrapposti, e ciò riduce o abolisce la loro capacità di scorrimento. Dunque, il massimo di forza contrattile si avrà per un grado di sovrapposizione intermedia, a cui corrisponde l'allungamento ottimale del sarcomero.
Fisiologia: le reazioni biochimiche
Per quanto concerne gli aspetti biochimici della contrazione muscolare, si è già accennato che l'attivazione dell'apparato contrattile deriva dalla defosforilazione dell'ATP ad ADP, provocata, in seguito alla liberazione di ioni calcio, dall'attività enzimatica ATP-asica degli stessi miofilamenti del sarcomero. Data la costante attività dei muscoli scheletrici, la funzione contrattile richiede un continuo apporto di ATP, il cui contenuto muscolare è tanto modesto da essere rapidamente esaurito, se non vi fosse un costante apporto di tale sostanza attraverso il metabolismo. La più importante via di produzione dell'ATP nel tessuto muscolare è costituita dall'utilizzazione del glicogeno depositato nei muscoli, il quale viene scisso attraverso i processi della glicolisi. In assenza di ossigeno (glicolisi anaerobia) il catabolismo del glicogeno giunge sino alla formazione di acido piruvico e quindi di acido lattico, con produzione di 3 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio liberata dal glicogeno; in presenza di ossigeno, invece, si ha la glicolisi aerobia che porta alla completa demolizione dell'acido piruvico fino a CO2
e H2O attraverso il ciclo degli acidi tricarbossilici, con liberazione di 39 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio. In condizioni di ridotta attività muscolare il metabolismo glicidico soddisfa adeguatamente le richieste energetiche dei muscoli. Quando però il muscolo passa dalla fase di riposo a quella di intensa attività, il fabbisogno di ATP non può essere più sopperito dal catabolismo del glicogeno, sia per la relativa lentezza dei processi glicolitici, sia perché l'apporto di ossigeno non è più sufficiente per consentire la demolizione completa del glucosio, venendo a mancare proprio la fase metabolica di maggior rendimento energetico. In tali circostanze l'apporto di ATP dipende dalla scissione del creatin-fosfato (C–P).
Tale reazione è reversibile; durante il riposo muscolare una certa quantità di ATP, prodotto attraverso la glicolisi, viene utilizzata per ripristinare i depositi di C–P, cui i muscoli possono attingere in caso di immediata richiesta energetica. L'utilizzazione delle vie anaerobiche come fonte di energia per l'attività muscolare ha grande importanza fisiologica. Senza di essa, per esempio, sarebbero possibili il cammino o la corsa lenta, ma non altrettanto le corse brevi di velocità oppure gli sforzi brevi ma violenti. D'altra parte, durante il lavoro muscolare intenso i vasi sanguigni dei muscoli si dilatano, cosicché, per l'aumento del flusso ematico, arriva ai muscoli una maggiore quantità di ossigeno. Ciò permette, durante il periodo di sforzo, di mantenere in funzione la glicolisi aerobica per il tempo più lungo possibile, e, nel periodo immediatamente successivo, di attivare i meccanismi di ristoro e soprattutto di rimuovere l'acido lattico. Infatti se l'attività muscolare è molto intensa l'acido lattico non riesce più a diffondersi rapidamente nel sangue e si accumula nella sede di produzione. A certi livelli le capacità tamponanti del tessuto diventano insufficienti e allora il pH si porta verso valori acidi determinando l'inibizione delle attività enzimatiche. La disponibilità di quantità adeguate di ossigeno permette il ristoro muscolare, cioè il ripristino della normale capacità contrattile del muscolo. La base biochimica del ristoro muscolare è costituita dall'ossidazione di una parte dell'acido lattico accumulatosi nei muscoli durante la fatica. Da tale processo si libera una quantità di energia sufficiente per sintetizzare nuovamente a glicogeno la restante parte di acido lattico attraverso le vie della glicogenosintesi. Si forma inoltre ATP che viene utilizzato per la nuova sintesi del creatinfosfato (C-P).
Fisiologia: le fibre nervose
Negli animali superiori i muscoli generalmente non si contraggono se non in risposta a impulsi provenienti dai loro nervi motori. Ai muscoli scheletrici giungono fibre nervose motorie che, nell'interno del muscolo, si dividono in numerosi rami. Ciascuno di essi si congiunge con una fibra muscolare tramite la speciale struttura anatomica detta giunzione neuromuscolare o placca motrice (vedi neuromuscolare, giunzione-). L'insieme delle fibre muscolari innervate da una stessa fibra nervosa prende il nome di unità motoria. Tutte le fibre dell'unità motoria vengono attivate simultaneamente all'arrivo di un impulso nervoso. Il numero delle fibre muscolari che compongono un'unità motoria è molto variabile. Nei muscoli che servono a movimenti precisi e finemente graduati (per esempio, muscoli estrinseci dell'occhio, muscoli della mano) vi sono soltanto 3-6 fibre muscolari per unità motoria; nei grandi muscoli che presiedono ai movimenti degli arti (per esempio, bicipite, gastrocnemio) ve ne sono invece molte centinaia. La distruzione dei nervi motori determina nei muscoli atrofia e alterazioni dell'eccitabilità. Si hanno contrazioni fini e irregolari delle singole fibre (fibrillazioni), mentre aumenta la sensibilità del muscolo all'acetilcolina.