Definizione

sf. (sec. XIX; etno-+-logia). Scienza interdisciplinare che studia ogni aspetto delle società umane, essenzialmente di quelle che non hanno espresso forme proprie di letteratura scritta. § L'ambito di ricerca in cui l'etnologia opera si sovrappone, in parte, ad alcuni settori umanistici quali la sociologia, la linguistica, la psicologia, la storia, l'economia, la religione, dei quali spesso utilizza metodologie d'indagine e risultati specifici. La complessità e molteplicità degli aspetti studiati ha dato origine ad alcune discipline specializzate, nell'ambito stesso dell'etnologia (etnolinguistica, etnoeconomia, etnopsichiatria o etnopsicologia, etnomusicologia, etnostoria, etnologia giuridica e delle religioni, ecc.), i cui contenuti formano altresì oggetto di studi dell'antropologia culturale. Da ciò l'uso tra gli studiosi anglosassoni del termine etnologia quale sinonimo di antropologia culturale, condiviso da gran parte degli studiosi europei, i quali tendono a identificare l'etnologia con l'etnografia, sebbene questa sia una disciplina puramente descrittiva, così come del resto la considerano gli studiosi americani. L'etnologia, invece, intende essere una scienza di sintesi, comparativa e interpretativa dei dati etnografici, biologica e umanistica insieme, in grado di valutare su basi teoretiche, metodologiche e pratiche, tutti i risultati degli studi settoriali relativi alle “scienze umane” al fine di ricostruire, interpretare e inquadrare in un insieme logico le forme e l'evoluzione delle culture e delle società umane, anche di quelle che costituiscono minoranze o gruppi locali nelle società industrializzate e che sono oggetto di studio del folclore. Proprio per questo suo carattere di sintesi l'etnologia, soprattutto europea, tende a operare mediante équipes di specialisti che analizzano e inquadrano i dati acquisiti verificandone a intervalli regolari i mutamenti avvenuti nel tempo per ciascun gruppo umano preso in esame, singolarmente e nei suoi rapporti con altri gruppi. Per quelli estinti la verifica è possibile solo in stretta collaborazione con le scienze settoriali specifiche, soprattutto l'antropologia, la preistoria, l'archeologia, la storia e la linguistica, che svolge un'approfondita ricerca sulla “origine comune” del linguaggio umano (i termini usati per indicare i vari aspetti ergologici e culturali possono permettere di ricostruire, almeno a grandi linee, il modo di vita di società scomparse da tempo).

Cenni storici: le origini

L'interesse verso altri popoli appare documentato fin dall'antico Egitto e dalla Cina, così come in varie opere di scrittori greci e latini; i primi a fornire una trattazione abbastanza dettagliata di alcuni popoli africani furono i geografi arabi dei sec. XIV e XV (Ibn Baṭṭūtā, Ibn Khaldūn, al-Mas'ūdī); seguirono le descrizioni, spesso non attendibili, dei popoli delle Americhe fatte dai cronisti al seguito dei conquistadores spagnoli, nonché le relazioni di viaggiatori e missionari su varie tribù amerindie e alcune popolazioni asiatiche e africane. Nel sec. XVIII, l'interesse suscitato dalle culture degli Indiani d'America spinse alcuni pensatori e scrittori (F.-R. de Chateaubriand, C.-L. Montesquieu, J.-J. Rousseau, Voltaire) a esaltare il modo di vita del “buon selvaggio”, cui si contrapposero coloro che sostenevano essere le culture dei popoli “primitivi” un sottoprodotto dell'umanità, tanto che si giunse all'elaborazione di teorie pseudo etnologiche di chiaro stampo razzista (teorie della stasi e della degenerazione), riprese più volte in seguito da alcuni sociologi. In questo periodo compaiono i termini “etnologia” (E. Chavannes, 1787) ed “etnografia” (B. G. Niebuhr, 1810), ma il fondatore dell'etnologia viene considerato P. P. Broca, che nel 1859 formulò le metodiche proprie dell'antropologia, separando da questa l'etnologia che definì “una scienza umanistica di sintesi”.

Cenni storici: la scuola evoluzionista

La prima scuola etnologica che si affermò fu quella “evoluzionista” (L. H. Morgan, J. J. Bachofen, A. Lang, H. M. Westropp, G. de Mortillet, E. Hahn, T. Waitz): questa ebbe una notevole influenza sull'indirizzo teoretico dell'etnologia che si espresse con molteplici correnti metodologiche, tra cui la “neoevoluzionista”. Questa scuola in origine postulava un'evoluzione delle culture umane attraverso alcuni stadi “obbligati” (selvaggio, barbaro, civile), imponendo così un determinismo che influenzò i ricercatori fin verso la metà del sec. XX. Sul finire del sec. XIX, grazie alla monumentale opera di documentazione di F. Ratzel (1888), che seguiva la prima opera di compendio generale di T. Waitz (1859), si svilupparono nuove scuole tra le quali ebbe notevole seguito quella storico-culturale (F. Graebner, L. Frobenius, B. Ankermann, W. Schmidt, G. Montandon, A. Bastian, G. Wundt); questa, pur conservando l'ipotesi degli stadi di sviluppo, sostenne che i prodotti culturali erano dovuti a precisi fattori politico-economici (secondo gli indirizzi di É. Durkheim ampliati poi dagli studiosi d'ispirazione marxista), indipendenti dall'evoluzione sociale del gruppo in causa ma trasmettibili in seguito alle vicende storiche dei vari popoli (teoria dei cicli culturali).

Cenni storici: la scuola diffusionista

Un innovatore dell'etnologia evoluzionista fu F. Boas, fondatore della scuola diffusionista (con E. von Nordenskiöld, A. Métraux, G. Lindblom, S. Lagencrantz) che affermò come la cultura fosse indipendente dai fattori razziali e quindi non attraversasse stadi ma si sviluppasse per un complesso di influssi esterni elaborati autonomamente da ciascun popolo. Si venne così affermando una sorta di “determinismo strutturale” che portò allo studio differenziato delle varie etnie considerate quali “soggetti a sé”.

Cenni storici: frammentazione dell'etnologia

Dagli anni Trenta del sec. XX, soprattutto per la grande influenza delle scuole americana (antropologia culturale) e inglese (antropologia sociale), l'etnologia perse il suo carattere di scienza di sintesi, frammentandosi in molteplici discipline che, a volte, giunsero a conclusioni discordanti anche su un medesimo aspetto sociale e culturale. Rappresentativa di questa tendenza fu la dicotomia fra antropologia culturale, che poneva l'accento sulla priorità degli aspetti culturali (A. Kroeber, C. Wissler, M. Herskovits, M. Mead e altri), e antropologia sociale, che sottolineava la dipendenza dell'evoluzione delle culture da fattori “funzionali” di tipo sociale (A. R. Radcliffe-Brown, B. Malinowski e altri). Si vennero così sviluppando discipline più o meno autonome il cui interesse veniva sempre più delimitato entro ben specifici campi d'indagine; fra queste si sono affermate l'etnolinguistica (E. Sapir, N. Chomsky, P. Kay), l'etnoeconomia (K. Polanyi, M. Mauss, H. G. Barnett, M. Harris), l'etnofilosofia (R. Redfield, W. Dilthey, C. Erasmus, C. Dubois), l'etnopsichiatria e etnopsicologia (L. Thompson, R. Ardrey, M. Douglas, J. Friedmann), l'etnopolitica e l'etnologia giuridica (R. H. Lowie, J. Rouch, P. Métais, G. Dieterle, P. J. Bohannan), l'etnostoria (D. A. Horr, W. L. Wendel), l'etnoiatria (N. A. Scotch, H. Fabrega, R. W. Lieban); uno spiccato orientamento ecologista venne dato all'etnologia da M. D. Sahalins, M. Fried, J. H. Steward, J. N. Anderson, R. Braidwood. In tale periodo compaiono nuove opere di compendio generale tese alla descrizione non solo dei gruppi umani ma anche delle forme sociali e dei loro prodotti culturali (H. A. Bernatzik, 1939; K. Birket-Smith, 1946; R. Biasutti, 1953; V. L. Grottanelli, 1965; G. P. Murdock, 1967).

Cenni storici: le tendenze contemporanee

Già dagli anni Sessanta i processi di trasformazione delle società extraeuropee liberate dal colonialismo, nonché lo sviluppo delle indagini svolte con mezzi e metodiche nuovi e rilevanti, portarono gli studiosi a modificare i presupposti struttural-deterministici alla base delle ipotesi di lavoro, che si rivelavano inadeguati per comprendere le complesse strutture dei processi della realtà umana: appariva inevitabile, quindi, analizzare i vari elementi formativi di una cultura alla luce sia delle variabili storiche sia delle trasformazioni socio-economiche. Un notevole contributo venne da C. Lévi-Strauss che, proponendo un modello di analisi logico-matematico (antropologia strutturale), permetteva di generalizzare i singoli fenomeni elaborati dai vari gruppi etnici considerati quali “strutture oggettive”, categorie universali di una medesima realtà espressa con strutture simboliche diverse. Si riproponeva, così, una nuova capacità di sintesi dell'etnologia che trovava, soprattutto negli studiosi europei, i più validi sostenitori (E. E. Evans-Pritchard, M. Griaule, G. Balandier, M. Glukmann, H. V. Vallois, S. P. Tolstov, A. I. Peršie, R. Bastide, A. M. Cirese, V. L. Grottanelli, ecc.); la necessità di far convergere i risultati ottenuti dalle singole discipline in un quadro d'insieme basato su una premessa olistica (il tutto è più grande dell'insieme delle sue parti) trovò l'adesione di non pochi ricercatori statunitensi (M. Janovits, D. Hymes, M. D. Sahalins, J. W. Bennett, M. Friend, J. H. Steward). Si cercò di considerare in un quadro unificante i numerosi fattori costitutivi di ciascuna cultura, quali l'organizzazione sociale, le strutture della parentela, l'evoluzione e il significato dei miti e dei fenomeni religiosi, l'elaborazione funzionale delle tecnologie, la dinamica demografica in rapporto all'ecologia, fino ai più minuti elementi culturali un tempo considerati di scarso significato. Allo scopo furono introdotti metodi di analisi matematico statistici (G. P. Murdock, L. W. White, H. E. Driver, C. D. Chrétien), nonché ricostruzioni simulate al calcolatore ed elaborazioni videografiche; contemporaneamente si cercò di scoprire e descrivere gli stimoli significativi di ciascuna azione culturale in base alle forme che la evocano correttamente, ivi compresa la lingua (etnologia cognitiva: C. O. Franke e altri). In seguito le ipotesi neoevoluzioniste si sono fuse con quelle di uno strutturalismo interattivo con la finalità di fornire validi presupposti teoretici per spiegare i mutamenti socio-culturali avvenuti, nel tempo, nei vari popoli (L. Mair, T. Parson, K. O. Oakley, A. I. Hallowell, M. Godelier, C. Meillassoux, J. Rouche, P. Métais, J. K. Ščeglov, I. T. Levykin, G. Dalton); si è, pertanto, giunti ad accettare che le variabili della “realtà” umana (somatiche, socio-culturali, economico-ecologiche, psicologico-religiose, tecnico-ergologiche) vanno considerate come interrelate, per cui ogni gruppo o società tende a organizzarsi secondo uno stile di vita che corrisponde alle sue esigenze psicologiche e biologiche. Questo pone su un piano di uguaglianza le varie società umane il cui stato di equilibrio dura finché le capacità di appagamento e adattamento dei singoli sono soddisfatte; su tale equilibrio operano tuttavia pressioni endogene ed esogene che producono nel tempo mutamenti socio-culturali e del sistema di vita, e quindi del comportamento dei singoli, che finiscono col mettere in crisi il vecchio sistema di valori e spingono alla ricerca di un nuovo equilibrio. L'etnologia ha preso atto che i sistemi sociale e culturale, con i loro fenomeni e prodotti, sono elementi dinamici che si integrano attraverso variabilità e contraddizioni, e poiché ogni processo è un insieme complesso dovuto a molteplici varianti, esso si modifica continuamente; questo impedisce la formulazione di previsioni e di una teoria “statica” per spiegare l'evoluzione di qualsiasi società (relativismo culturale). All'etnologo rimane, quindi, la sola possibilità di scoprire, analizzare e spiegare i processi mediante i quali le varianti all'interno di ciascuna struttura socio-culturale si sono modificate e si modificano dinamicamente. Poiché molte delle culture originarie sono scomparse o sono in via di estinzione, gli studiosi utilizzano ampiamente tecniche d'indagine proprie di altre discipline, dall'uso di audiovisivi ai test psicologici, dalla registrazione di miti orali, riti e danze, all'analisi chimico-metallografica dei prodotti tecnici, dalle ricostruzioni ambientali con l'ausilio della paleoecologia all'individuazione delle tecniche colturali, di caccia e raccolta; dalle metodiche stratigrafiche proprie dell'archeologia alle ricostruzioni ambientali della preistoria, dall'esame struttural-comparativo degli elementi culturali alla loro elaborazione analogica mediante calcolatori. È stato così possibile, soprattutto da parte degli americani e dei francesi, raccogliere e catalogare dei veri e propri “archivi etnologici” che consentono a tutti gli studiosi quella comparazione periodica utile per verificare la validità delle ipotesi elaborate sul campo o a tavolino. Anche le moderne opere generali risentono di queste nuove tendenze, per cui preferiscono un'esposizione non solo documentaristica ma anche critica, tale da proporre difficoltà e risultati di una scienza perennemente tesa alla ricerca di una sua identità (F. W. Voget, 1975; R. E. Service; M. K. Ramaswamy, 1989). L'etnologia, per assolvere all'ambizioso compito di essere una scienza di sintesi, deve quindi riappropriarsi del valore di “scienza naturale” e nel contempo umanistica, distinguendosi da sociologia, storia, psicologia e filosofia; questo sembra possibile in quanto, oltre a tener conto dei risultati delle scienze umanistiche affini, si può avvalere dei notevoli risultati dell'etologia umana che vede l'uomo come soggetto in grado di trasformare l'ambiente e di elaborare il proprio futuro pur rispondendo ai suoi presupposti “istintivi” di animale. Accettando il principio del relativismo, le indagini comportamentali di tipo socioculturale non saranno più subordinate a categorie generali prefigurate, ma cercheranno di comprendere i meccanismi dinamici alla base di ciascun evento dovuto all'uomo che, pur essendo in gran parte condizionato dall'ambiente fisico, culturale, sociale, ecologico ed ergologico, è pur sempre in grado di incidere su questo per sua libera scelta, individuale o di gruppo, innata o acquisita. Tra gli sviluppi dell'etnologia sul finire del secolo XX assume sempre maggiore rilevanza l'approccio interdisciplinare nei campi della comunicazione interculturale, dell'identità culturale ed etnica e dei ruoli sessuali; al contrario sfuma progressivamente il significato della differenziazione tra cultura di appartenenza e cultura straniera.

W. Schmidt, The Culture Historical Method of Ethnology, New York, 1939; A. Goldenweiser, Anthropology: An Introduction to Primitive Culture, New York, 1942; M. Harris, L'evoluzione del pensiero antropologico, Bologna, 1971; U. Bianchi, Storia dell'etnologia, Roma, 1972; B. Bernardi, Uomo, cultura, società, Milano, 1988.

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