Lessico

Sf. [sec. XVIII; calli-+ -grafia].

1) L'arte dello scrivere con tratti chiari ed eleganti. Per estensione, modo personale di scrivere: calligrafia regolare, illeggibile, svolazzante; calligrafia minuta, a piccoli tratti.

2) Nel linguaggio critico ha talora il senso di calligrafismo.

La calligrafia in Occidente

Considerata una delle arti belle minori, la calligrafia si diversifica dalla paleografia (che ha per oggetto la storia della scrittura) in quanto si occupa delle questioni di ordine estetico che riguardano la scrittura. Attraverso la paleografia si scopre che nel linguaggio scritto sia ideografico sia alfabetico l'intento estetico ha sempre rivestito un'importanza capitale . Criteri essenziali per la valutazione di una calligrafia o scrittura calligrafica sono la sua leggibilità e il suo valore decorativo congiunti. Anche se in ogni epoca e per ogni scrittura sono esistite forme calligrafiche, contrapposte a forme non calligrafiche (cioè poco accurate nella forma), i primi trattati teorici di calligrafia si hanno solo nel sec. XV, e particolarmente in Italia, con gli studi sulla costruzione geometrica dell'alfabeto di F. Feliciano, L. Pacioli e altri. Gli studi di calligrafia furono fiorentissimi nel Cinquecento, soprattutto per merito di Lodovico degli Arrighi (1522), G. A. Tagliente (1524), G. B. Palatino (1540), Vespasiano Anfiareo (1548), Ferdinando Ruano (1554), G. F. Cresci (1560) e altri ancora, i cui libri di modelli calligrafici, spesso anche accompagnati da trattati di tecnica della calligrafia, diffusero in Europa i tipi italiani di scrittura, derivati per lo più dalla cancelleresca e dalla capitale lapidaria romana. Già nel sec. XVI la decadenza della calligrafia era gravissima ed è andata progressivamente riducendosi la sua importanza: i suoi compiti sono stati assunti da un lato dal disegno del carattere tipografico, dall'altro dalla cosiddetta arte grafica, dal disegno pubblicitario, ecc. Da decenni è stato abbandonato, generalmente, anche il suo insegnamento nelle scuole. Un rinnovato interesse per la calligrafia hanno dimostrato nel XX sec. W. Morris, E. Johnston e W. G. Hewitt in Inghilterra, il belga H. van de Velde e l'austriaco A. Fischl. I tipi di scrittura calligrafica che sopravvivono sono la gotica, l'inglese (posata e corsiva), la rotonda e l'italiana (vedi anche scrittura).

La calligrafia nel mondo islamico

Considerata nel mondo islamico come la più nobile delle arti, la calligrafia assunse un'importanza determinante in funzione soprattutto decorativa . Fin dai primordi dell'Islam sorsero varie scuole calligrafiche, corrispondenti ciascuna a uno stile. Il più antico canone calligrafico risale al sec. X e fu composto a Baghdad da Ustad Ahwal del Seistan, ma già nel secolo precedente Qotba aveva fissato le varie grandezze della scrittura. A questa stessa epoca si deve l'origine del cufico (kufi), uno stile originario forse della città di Kūfa in Iraq, che ebbe subito successo, oltre che nella decorazione architettonica degli edifici omayyadi, anche sulle monete, i manoscritti, le stoffe, gli utensili di ceramica e di metallo. Esso si evolse fino al sec. XII in forme sempre più eleganti e riccamente ornate, per la decorazione che si aggiungeva ai caratteri o ne modificava il tracciato. Si conoscono il cufico fiorito, nel quale delicati rami fogliati prolungano le estremità delle lettere o riempiono gli spazi vuoti tra l'una e l'altra; quello a bordo geometrico, ottenuto con l'intreccio delle aste di taluni caratteri prolungate nella parte superiore; quello a intreccio, lo strisciante, il parlante, l'animato. Nel sec. X comparve il naskhi, uno stile più morbido e rotondo del cufico, che si affermò rapidamente, oltre che sui manoscritti, anche nell'epigrafia monumentale di molti Paesi islamici, con l'eccezione del Maghreb, dove si sviluppò uno stile particolare (il maghrebi), intermedio fra il kufi e il naskhi. A Baghdad, per secoli fiorente caposcuola, si diffusero il thuluth, il rihani, il riqa, tutti assai decorativi e usati anche in cancelleria come scritture per documenti. Grande importanza assunse Il Cairo sotto i Mamelucchi: dalle sue “officine” uscirono splendidi esemplari del Corano; in seguito, anche in Iran si ebbero numerose scuole, come quella di Tabriz, che lanciò la moda dei muraqqa', imitata fino in India. Il ta'liq e la sua variazione nasta'liq divennero stili nazionali persiani, diffondendosi da Herāt a Isfahan. "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 3 pp 132-135" "Per approfondire Vedi Gedea Arte vol. 3 pp 132-135"

La calligrafia in Cina

Iniziata sulle ossa oracolari della dinastia Shang (1600 a. C.), e favorita dall'invenzione della carta (I-II sec. d. C.), è una scrittura di tipo ideografico, basata su tratti di pennello. Ciò sottolinea la sua affinità con la pittura; diventa infatti presto una forma d'arte e oggetto di studio estetico. Dal sec. III al VI si rivelano i grandi maestri della calligrafia: Ssu Ching (sec. III), che si esprime in caratteri ideografici marcati e raccolti, ossia compatti; Wang Hsi-chih (303-361), che influì sui calligrafi del periodo Yuan (sec. XIII-XIV), e Wang Hsien-chih (344-388), che scrivono invece caratteri eleganti. Durante la dinastia T'ang (618-907) continua la tradizione di Ssu Ching, con una calligrafia virile, nella quale si affermano i quattro grandi: Ou-yang Hsün (557-645), Ch'u Shui-liang (596-658), Yen Chen-ch'ing (709-785), Liu Kung-ch'üan (776-865). La dinastia Sung (sec. X-XIII) ritorna all'eleganza dei due Wang, con i grandi calligrafi Ssu Tung-p'o (1036-1101), e Huang Ting-chien (1047-1105). In questo periodo compaiono anche opere sulla calligrafia, che stabiliscono metodi e principi per scrivere bene. Con il periodo dei Ming (sec. XIV-XVII) si ritorna allo stile vigoroso dei T'ang. Una decisa ripresa, che i critici chiamano “rinascenza” della calligrafia, si ha durante il regno della dinastia Ch'ing (sec. XVII-XX). La calligrafia è coltivata ancora nell'epoca moderna per la sua intrinseca bellezza, che la pone tra le branche dell'arte. Del periodo moderno citiamo K'ang Yu-wei (1858-1927), T'an Yen-k'ai (1876-1930), Tung Tso-pin (1895-1963), e Yu Yujên (1878-1964).

La calligrafia in Giappone

Secondo il Kojiki una prima delegazione coreana giunse in Giappone nel 285, portando, tra l'altro, un rotolo di “1000 caratteri cinesi”. Si cominciò a copiarli con senso artistico (si tenga presente che il giapponese kaku significa sia scrivere sia dipingere, disegnare). Alcuni secoli più tardi, in periodo Nara (sec. VII-VIII) si diffuse lo stile Wang Hsi-chih, col nome di stile Ōgishi. In periodo Heian (sec. VIII-XII) si affermarono diversi stili, ma prevalse infine quello calligrafico nazionale giapponese, chiamato jōdai-yō, che si avvale anche della naturale bellezza delle sillabe kana (sec. XI). In periodo Kamakura (sec. XII-XIV) nascono molte scuole di calligrafia, soprattutto zen, le quali applicano uno stile corsivo, energico, virile, gyōsho. Nel periodo Muromachi (sec. XIV-XVI) lo stile pittorico zen bokuseki (albero-pietra) si accompagna a varie manifestazioni calligrafiche, in cui eccellono Ikkyū Sōjun (1394-1481) e Sakugen Shūryō (sec. XVI). Agli inizi dell'epoca Edo (sec. XVII-XIX) grandi calligrafi furono i maestri zen Shin'etsu Kōchū (1642-96) e Hakuin Ekaku (1685-1768); per la costante affinità tra calligrafia e pittura anche la scuola pittorica Nanga annovera un grande calligrafo, Ike-no Taiga (1723-1776). Nel corso del periodo Edo numerosi sono i calligrafi famosi. Ancora nelle ere successive, Meiji, Taisho, Showa (dal 1868 ai giorni nostri), la calligrafia è oggetto di studio, con moltissimi seguaci che ne onorano le tradizioni.

C. Bonacini, Bibliografia delle arti scrittorie e della calligrafia, Firenze, 1953; A. Kallir, Sign and design, Londra, 1961; J. Martin, Guida alla calligrafia, Calliano, 1988.

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