zèn

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Definizione

Sm. [dal giapponese zen, che, attraverso il cinese e il pāli, risale al sanscrito dhyāna, contemplazione]. Setta buddhista affermatasi in Giappone durante il periodo Kamakura (1185-1333). Lo zen realizza nei termini della cultura nazionale giapponese lo strumento salvifico della meditazione contenuto nel buddhismo indiano e rielaborato dal buddhismo cinese. Mentre però sia la meditazione indiana sia l'elaborazione cinese si proponevano di conseguire sostanzialmente l'astrazione o fuga dal mondo e si svolgevano pertanto in senso antisociale, accade l'esatto contrario con la meditazione zen, assunta proprio in funzione sociale, al punto che alcuni vi hanno visto un anti-buddhismo, più che uno sviluppo buddhistico. Infatti la “santità” o “buddhità” ricercata interiormente dalla meditazione Ch'an, diventa nella meditazione zen qualcosa di simile a un “buon sentimento” o a un “sentire corretto”. La non-azione predicata dal buddhismo, invece, diventa piuttosto una filosofia dell'azione, o, da un altro punto di vista, la rinuncia al mondo che il buddhismo consegue insegnando a ripiegarsi in se stessi, diventa facoltà di piegare il mondo a un proprio ordine interiore. Lo spirito dello zen ha compenetrato tutta la cultura giapponese, dando sostanza all'onorabilità dei samurai (divenne di fatto la loro religione), alla gentilezza dei rapporti sociali (indicativa è la cerimonia cha-no-yū, con cui si offre e si beve il tè), e influenzò profondamente i diversi campi della cultura e dell'arte giapponese, fino a incidere su taluni aspetti del costume.

Arte

Dall'architettura dei primi complessi monastici zen (Kennin-ji a Kyōto, Shōfuku-ji nel Kyūshū, Kencho-ji ed Enkaju-ji a Kamakura ecc.) a quella delle dimore civili (in cui si rinnovò l'arte del giardino) e di nuovi tipi di ambienti sollecitati dal continuo affinarsi della cerimonia del tè (cha-no-yū), all'arte di disporre i fiori (ikebana), alla pittura, alla calligrafia e alla scultura, fino alle arti marziali (scherma, tiro dell'arco, jūdō), la severa semplicità dello spirito zen, con la sua costante ricerca di approfondire e di perfezionare i più intimi legami tra l'uomo e la natura, dominò sulle diverse manifestazioni. Di più immediata evidenza appare l'azione svolta dallo zen nelle arti figurative. Ispirata all'estetica dell'arte cinese, la pittura zen si sviluppò sui modelli di quella monocroma a inchiostro Ch'an dei periodi Sung e Yüan, da cui derivò la tecnica a inchiostro (suiboku-ga), inaugurata nei monasteri zen dove fu praticata, con grande privilegio per il tema del paesaggio, da preparatissimi monaci-artisti (gasō), che erano anche poeti e calligrafi (i gasō furono specialisti nel genere di suiboku-ga che fondeva insieme pittura e poesia). La pittura a inchiostro fu adottata anche da artisti non monaci così come gli stessi generi non furono esclusivi dei monasteri, in particolare quello chiamato sansui-ga (pittura di monti e di acque) per decorare porte scorrevoli e paraventi. Temi più specifici dell'attività artistica religiosa erano i ritratti di patriarchi o di monaci, nonché le pitture che illustravano il momento significativo dell'“illuminazione” (dōshaku-ga). Nella tradizione della pittura suiboku i maggiori artisti, specializzati nei diversi generi, furono: Mutō Shūi, Mokuan, Kaō Ninga, Kichizan Minchō, Taikō Josetsu, Sesshū. Essenziali componenti di questa pittura, come la “spontaneità dell'azione”, la forza espressiva e costruttiva del segno e l'automatismo del gesto hanno svolto un ruolo fondamentale nei linguaggi dell'arte occidentale contemporanea.

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