Lessico

agg. e sm. [sec. XVI; latino ambiens-entis].

1) Agg. lett., che fascia, circostante: tenere a temperatura ambiente; “il benessere ambiente” (D'Annunzio).

2) Sm., lo spazio che circonda qualcuno o qualche cosa; l'insieme dei fattori chimico-fisici (acqua, aria, composizione del terreno, luce, temperatura, radiazioni ionizzanti, pressione e gravità) e biologici che agiscono sugli organismi viventi e sul loro sviluppo: animale che vive in ambiente caldo; è fuori dal suo ambiente naturale. Per estensione, il complesso delle condizioni sociali, morali e culturali che caratterizzano la vita storica dell'uomo; le persone e le cose con cui si è in contatto: è cresciuto in un ambiente reazionario; un ambiente di lavoro simpatico. § In psicologia, l'insieme di tutti gli elementi che possono inviare stimoli a un organismo e con cui l'organismo si trova in continua interrelazione. Può trattarsi degli elementi del mondo fisico (ambiente fisico) come di quelli derivanti dalle altre persone con cui si è a contatto (ambiente sociale). Inoltre accanto all'ambiente esterno va considerato anche quello interno, costituito in pratica da tutto l'organismo, che pure invia continuamente stimoli suscettibili di influenzare il comportamento. § Per la pittura d'ambiente, vedi pittura di genere.

3) In geografia fisica si definisce ambiente morfodinamico l'insieme delle caratteristiche climatiche, chimiche, fisiche, biologiche e litologiche che regolano i processi erosivi.

4) In geologia, l'insieme delle condizioni fisiche, chimiche e biologiche agenti durante lo svolgimento di un processo geologico, per esempio la formazione di una roccia o l'accumulo di un sedimento. Tre sono i principali gruppi di ambienti geologici ai quali corrispondono i grandi gruppi di rocce metamorfiche, ignee e sedimentarie. Gli ambienti di sedimentazione sono quelli presenti sulla superficie terrestre e si suddividono in tre categorie: continentali, di transizione e marini.

5) Stanza, vano: alloggio di tre ambienti.

6) In termochimica, tutto ciò che è al di fuori del sistema che viene studiato. L'ambiente, separato dal sistema da confini reali o immaginari, comprende, perciò, tutto quanto è presente nell'Universo ad eccezione del sistema in esame. Tra sistema e ambiente possono verificarsi scambi di energia.

Diritto del lavoro: generalità

Per ambienti di lavoro si intendono i luoghi in cui vengono svolte le attività lavorative, che possono essere molteplici e disparate in quanto vanno dalla attività di ufficio a processi produttivi assai complessi ove si impiegano macchinari di vario tipo e prodotti talvolta tossici o nocivi.Tali ambienti si distinguono in aperti e chiusi pur se la normativa non ne chiarisce la differenza: di norma un ambiente di lavoro chiuso è quello coperto e delimitato da muri che su tre lati non hanno aperture fisse; tutti gli altri sono da considerarsi aperti.Le nuove costruzioni, infine, devono rispettare le norme sull'abbattimento delle barriere architettoniche a seconda della loro tipologia e a seconda che debba esserne garantita l'accessibilità, la visibilità o l'adattabilità.

Diritto del lavoro: ambienti di lavoro chiusi

Le normative di riferimento per tutti gli ambienti di lavoro chiusi riguardano: parametri costruttivi generali e particolari, difesa contro gli agenti atmosferici, illuminazione, temperatura e umidità, pavimenti, muri, soffittie solai, vie e uscite di emergenza, scale. § Parametri costruttivi. Per quel che riguarda quelli generali, nei locali ove si lavora l'altezza netta (misura dell'altezza media dal pavimento al soffitto) non può essere inferiore a 3 m anche se le ASL, su richiesta motivata del datore di lavoro ed eventualmente imponendo adeguati mezzi di ventilazione, possono consentire altezze inferiori che comunque non possono scendere al di sotto dei 2,70 m per gli ambienti in muratura e dei 2,50 m per i box. I locali accessori, di norma, devono avere una altezza minima di 2,40 m, tranne i refettori e le mense dove l'altezza non può essere inferiore a 2,70 m; in ogni caso non possono esservi altezze inferiori a 2,10 m neppure per corridoi e luoghi di passaggio.La cubatura non deve essere inferiore a 10 m3 lordi per lavoratore (è auspicabile che i 10 m3 siano al netto degli arredi e degli impianti).Ciascun lavoratore deve avere a disposizione nell'ambiente in cui lavora una superficie minima di 2 m² lordi; è consigliabile che essa non sia inferiore a 1 m² netto.Tali parametri sono vincolanti per le aziende produttive che occupano più di 5 persone e per tutte quelle in cui si svolgono lavorazioni pregiudizievoli per la salute degli addetti. Con riferimento ai parametri costruttivi particolari, le porte devono essere posizionate, costruite, dimensionate e in numero tale da consentire la rapida uscita delle persone; non devono essere pesanti e difficili da aprire e chiudere e la loro altezza deve essere di almeno 2,10 m dal pavimento. Se esistono rischi di esplosione e/o incendio e vi sono più di 5 lavoratori deve esserci almeno una porta ogni cinque lavoratori apribile nel verso dell'esodo. È necessario che esista almeno una porta a cerniera apribile verso l'esterno se tutte le altre porte e portoni sono a saracinesca, scorrevoli o girevoli su asse centrale. Le porte e i portoni scorrevoli orizzontalmente o verticalmente devono essere dotati di dispositivi di sicurezza che ne impediscano l'uscita dalle guide o la chiusura improvvisa (fermo di sicurezza). Dispositivi di arresto di emergenza e di apertura manuale devono essere installati quando esistono azionamenti meccanici di apertura o chiusura.Le vie di circolazione e di passaggio, mantenute sempre sgombre, devono essere progettate in base al numero di utenti e al tipo di attività ed essere realizzate in modo da consentire il sicuro spostamento delle persone e dei veicoli. Sulle vie di circolazione utilizzate da mezzi di trasporto deve essere prevista per i pedoni un'area di rispetto di almeno 0,70 m di profondità. Aree di rispetto devono essere previste anche davanti a porte, portoni, passaggi per i pedoni, corridoi e scale che immettono su vie di circolazione per veicoli. Il tracciato di tali vie deve essere evidenziato se ciò è necessario per la protezione dei lavoratori. Appositi dispositivi devono impedire l'accesso in luoghi con pericoli di caduta di persone o cose agli addetti non autorizzati e misure di protezione devono essere prese per coloro che sono autorizzati all'accesso.È sempre necessaria la chiara segnalazione di zone pericolose. § Difesa contro gli agenti atmosferici.Per un'adeguata protezione contro gli agenti atmosferici gli ambienti di lavoro devono avere il tetto e le pareti isolati termicamente con intercapedini o coibentazioni. Per assicurare un adeguato ricambio dell'aria sono previste dalle norme finestrature apribili la cui superficie non può essere inferiore a 1/12 della superficie pavimentata se la finestratura è realizzata in verticale e a 1/15 della superficie pavimentata se la finestratura è realizzata in orizzontale, ossia a tetto. L'aria deve provenire dall'esterno ed essere salubre, cioè priva di significativo inquinamento.È permesso che il ricambio dell'aria sia assicurato con adeguato impianto di aerazione (esistono tuttavia regolamenti locali che ne restringono l'impiego); tale impianto deve essere sempre in funzione quando vi sono lavoratori all'interno dell'edificio e regolarmente pulito; devono essere predisposti segnalatori automatici di eventuali guasti; i flussi d'aria non devono indirizzarsi verso le postazioni fisse di lavoro e la corrente d'aria a cui siano esposti i lavoratori non deve raggiungere il valore di 0,2 m/s. § Illuminazione, temperatura e umidità.Per quel che riguarda l'illuminazione, gli ambienti di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale che può essere integrata ma non sostituita da quella artificiale a meno che non si tratti di ambienti sotterranei o dove si svolgono lavorazioni che la luce naturale danneggerebbe. Per una buona illuminazione naturale sono idonee finestre poste a un'altezza di 80 cm dal pavimento e di superficie pari ad almeno 1/8 della superficie del locale; se la superficie illuminante è a tetto essa deve essere pari a 1/10 della superficie del locale. In taluni casi è necessario predisporre un impianto di illuminazione d'emergenza che sostituisca l'illuminazione artificiale in occasione di guasto all'impianto e che fornisca un'illuminazione di almeno 10 lux nel punto più buio per permettere l'esodo. Sia le superfici vetrate sia i punti luce artificiale devono essere mantenuti puliti e gli impianti tenuti in buono stato di manutenzione.La temperatura degli ambienti di lavoro non può essere prefissata in quanto essa è strettamente correlata con il tipo di lavorazione svolta e va valutata caso per caso soprattutto in relazione all'abbigliamento dei lavoratori, predisponendo, ove necessari, opportuni accorgimenti correttivi. È comunque consigliabile in via generale che le superfici illuminanti non producano un effetto serra.Anche il tasso di umidità da mantenersi negli ambienti di lavoro è variabile e rapportato alla temperatura dei locali: devono comunque essere evitate infiltrazioni di acqua e i muri non devono assorbire umidità per capillarità del terreno.§ Pavimenti, muri, soffitti e solai.La superficie dei pavimenti deve essere tale da consentire un sicuro transito delle persone e dei veicoli in uso (non sono consentite pendenze superiori all'8%) e facilmente pulibile. Eventuali ostacoli ineliminabili devono essere adeguatamente segnalati. Se le lavorazioni prevedono il versamento di liquidi o di sostanze putrescibili i pavimenti devono essere impermeabili e in pendenza così da consentire un facile deflusso verso pozzetti di raccolta. In caso di lavorazioni che mantengano il pavimento costantemente bagnato sono obbligatori palchetti o graticci se i lavoratori non sono dotati di idonee calzature.I muri devono avere superfici pulibili e a tinta chiara. Le pareti trasparenti o translucide devono essere chiaramente segnalate e costruite con materiale antiurto almeno fino a 1 m da terra; tale altezza deve essere aumentata in proporzione al rischio che esse vadano in frantumi a causa delle lavorazioni che nei pressi si svolgono.Nei locali destinati a deposito e non situati al piano terra deve essere apposto un cartello indicante il carico massimo ammesso per m².§ Vie e uscite di emergenza. Si considera via o uscita di emergenza un passaggio che immette in luogo sicuro. Le vie di emergenza non devono superare in lunghezza i 30 m; devono essere adeguatamente segnalate, dotate di illuminazione di sicurezza, sempre sgombre e tali da poter essere utilizzate in ogni momento senza impedimenti. Le uscite di emergenza devono avere un'altezza minima di 2 m. Le porte di tali uscite devono essere: a cerniera; aprirsi nel verso dell'esodo; sprovviste di serramento o dotate di maniglia antipanico con la possibilità di chiusura a chiave da un solo lato senza che ciò comprometta il passaggio delle persone nel verso dell'esodo; adeguatamente segnalate; dotate di illuminazione di sicurezza; sempre sgombre e tali da poter essere utilizzate in ogni momento senza impedimenti. Il numero e la distribuzione delle vie e delle uscite di sicurezza devono essere proporzionati all'ubicazione del locale, alla sua destinazione d'uso, agli impianti ivi istallati e al numero massimo di lavoratori presenti.§ Scale. Le scale fisse a gradini devono essere costruite in modo da resistere ai carichi cui possono essere sottoposte per il sovraffollamento generato da eventuali situazioni di pericolo, essere facilmente agibili ed essere provviste di qualità antisdrucciolo. Per essere facilmente agibili devono essere dimensionate in modo che siano previste un'alzata di 16-17 cm e una pedata di 30-31 cm; la larghezza minima deve essere di 1,20 m riducibile a 1 m dove esiste l'ascensore e ogni 10 alzate deve essere presente un pianerottolo di modulo quadrato. Per gli edifici adibiti interamente a lavorazioni che presentano pericoli di esplosione e/o incendio con l'impiego di più di 5 lavoratori, devono essere presenti almeno due scale distinte di facile accesso o rispondere alla normativa antincendio specifica. Le scale e i pianerottoli devono essere provvisti di normale parapetto sui lati verso il vuoto. Sulle scale fisse a pioli, verticali o con un'inclinazione superiore a 75° e con un'altezza superiore a 5 m, deve essere montata, a partire da 2,5 m dal suolo, una solida gabbia metallica di protezione; la parete della gabbia non deve distare più di 60 cm dai pioli; questi ultimi devono essere a una distanza di almeno 15 cm dalla parete cui la scala è fissata. Le scale mobili devono avere un dispositivo di arresto di emergenza e si devono bloccare nella posizione di fermo.

Diritto del lavoro: ambienti di lavoro all'aperto

Laddove esiste il rischio di caduta di materiali, di norma, i posti di lavoro e di passaggio devono essere coperti se non interessati da lavorazioni che comportino movimentazioni di materiali verso l'alto; in tal caso è necessario prendere altre misure idonee. Vanno adeguatamente separate le zone adibite a lavoro e al movimento di addetti da quelle adibite alla circolazione dei veicoli. Se il lavoro all'aperto si protrae anche in orari serali o notturni, deve essere disposta un'adeguata illuminazione artificiale. Per quanto tecnicamente possibile, gli ambienti di lavoro all'aperto devono essere protetti dagli agenti atmosferici, dalla caduta di materiali, da rumori, gas, polveri nocive, da cadute e scivolamenti, devono poter essere lasciati velocemente o facilmente e devono essere rapidamente meta degli eventuali soccorsi. I terreni scoperti nelle dipendenze degli ambienti di lavoro devono essere sistemati in modo tale da consentire lo scolo delle acque piovane. Nelle vicinanze degli ambienti di lavoro non devono essere tenuti depositi di immondizie o di materiali che emanino odori sgradevoli o nocivi.

Ecologia: generalità

L'insieme dei fattori fisici, chimici e biologici che caratterizzano quella parte del pianeta detta biosfera consistente di due sottili strati, uno sovrastante e l'altro sottostante la superficie terrestre, e nella quale si svolge la vita degli organismi. Ogni specie vivente ha particolari esigenze ambientali, raggiungendo l'optimum dello sviluppo intorno a determinati valori quantitativi di ogni fattore. Questo significa che la distribuzione di ciascuna specie è determinata dal suo ambito di tolleranza alle variazioni che avvengono in ciascun fattore ambientale. Gli organismi che possono vivere e prosperare entro valori molto ampi di questi fattori (vale a dire caratterizzati da un ambito di tolleranza per quel determinato fattore molto ampio) vengono definiti euri-, mentre quelli legati strettamente a determinati valori (vale a dire caratterizzati da un ambito di tolleranza, per quel determinato fattore, molto ristretto) e quindi praticamente a pochi ambienti si dicono steno-. Per esempio un organismo stenotermo può sopportare solo piccole variazioni di temperatura. La mosca è un organismo euritermo, in quanto può tollerare temperature comprese tra i 5 e i 45° C. L'adattameno al freddo del pesce antartico Trematomus bernacchi è sorprendente: questo organismo è estremamente stenotermo, potendo sopportare solo temperature comprese tra i –2° C e i + 2° C. A +1,9° C questo pesce è prostrato dal caldo e rimane immobile. I fattori dell'ambiente vengono distinti in tre tipi: limitanti, innescanti, compensativi. I fattori limitanti sono quelli che superano i limiti di tolleranza sulla specie ed esercitano su di essa un controllo. L'importanza di questi fattori è spiegata da alcune leggi molto conosciute negli studi ecologici: la legge del minimo o di Liebig, in base alla quale la velocità di crescita di ciascun organismo viene limitata da un qualunque alimento essenziale, se questo è presente in quantità estremamente esigua, e la legge della tolleranza o di Shelford, che cerca di stabilire i limiti all'interno dei quali le specie possono vivere (ambiti di tolleranza). I fattori innescanti o a grilletto sono quelli che, inserendosi in un ecosistema, ne turbano l'equilibrio e scatenano una reazione a catena finché si ristabilisce un nuovo equilibrio. I fattori compensativi, invece, sono quelli che possono sostituirsi scambievolmente: è il caso delle specie legate a una determinata altitudine in una certa latitudine, le quali possono vivere ad altitudine diversa in altre latitudini (Conifere della taiga e Conifere d'alta montagna, delle zone temperate o intertropicali). Contro le variazioni dei fattori limitanti l'organismo reagisce con una serie di adattamenti strutturali e fisiologici, tra cui l'ibernazione o l'estivazione e il letargo nei Mammiferi, oppure con le migrazioni, periodiche se il fattore che varia è periodico (mancanza di cibo, condizioni sfavorevoli per la riproduzione, ecc.). I fattori dell'ambiente che sono in buona parte non legati agli organismi viventi, cioè estrinseci alla biosfera, caratterizzano l'area ecologica, mentre se a essi si aggiungono anche i fattori determinati dagli animali e dalle piante che vivono nell'area (complesso di viventi che si dice biocenosi) si ha il cosiddetto ecosistema. Si dice biotopo l'ambiente fisico della biocenosi e habitat l'insieme dei biotopi in cui può vivere una specie. L'intero sistema dei rapporti di una specie con l'ambiente fisico e biologico si definisce nicchia; l'ambiente di particolari organismi in contrasto con quello di aree più vaste si dice microambiente. L'ambiente non deve intendersi come qualcosa di invariabile nello spazio e nel tempo, ma deve essere considerato come un'entità dinamica, di cui si possono studiare le velocità di variazione di ogni fattore ambientale, cioè i gradienti; le variazioni possono essere periodiche nel tempo (giorno e notte, stagioni, maree, fasi lunari, cicli solari) o di durata addirittura geologica. Le caratteristiche dell'ambiente variano a seconda delle sue condizioni fisiche e della sua collocazione geografica. Pertanto, l'ambiente viene suddiviso in due tipi fondamentali, l'ambiente terrestre e l'ambiente acquatico, a loro volta suddividibili rispettivamente in ambiente epigeo e ambiente ipogeo, ambiente marino e ambiente di acqua dolce. L'ambiente marino comprende l'ambiente costiero, l'ambiente pelagico e l'ambiente abissale. Lo studio dell'ambiente implica la conoscenza di tutte le scienze naturali: geografia, geologia, climatologia, zoologia, botanica, genetica, ecologia, paleontologia, ognuna delle quali ne analizza le caratteristiche ed elabora specifiche classificazioni in rapporto al rilievo dell'oggetto di indagine. Le indicazioni fornite dalle varie discipline naturalistiche confluiscono tutte nell'ecologia, scienza che considera l'ambiente come entità unica insieme agli organismi viventi che lo abitano interagenti tra loro e con l'ambiente, e che studia i mutamenti dell'ambiente in relazione agli eventi che in esso hanno luogo (vedi bioma).

Ecologia: il deterioramento dell'ambiente

Dall'inizio degli anni Settanta del Novecento, sotto l'impulso delle spinte provenienti dal movimento ambientalista nato nel 1968, con il termine ambiente (spesso semplicisticamente ritenuto sinonimo di ecologia) si indica genericamente l'insieme dei problemi derivanti dal deterioramento del rapporto uomo-natura e dal degrado derivatone soprattutto in termini di inquinamento di acqua, aria e suolo. Il riferimento, pertanto, viene fatto soprattutto con l'ambiente ecumenico, quello cioè in cui esistono le condizioni indispensabili per la stabile presenza umana. L'ecumene oggi coincide praticamente con l'intera superficie delle terre emerse, escluse le aree desertiche e polari. All'interno di questa vasta area sono sempre più vistosi i segni della progressiva umanizzazione e dell'addomesticamento dell'ambiente, azione che è anche una delle cause del degrado (inteso come perdita del capitale naturale) concretizzato in inquinamento, desertificazione, deforestazione. Pur essendo sempre più vistosamente un soggetto modificatore dell'ambiente, tuttavia, l'uomo non può non tenere conto delle caratteristiche naturali del luogo in cui interviene, che esercita pur sempre un'azione sulla sua fisiologia e sul suo comportamento. È anche vero, però, che non esiste un determinismo assoluto e che ogni ambiente offre una serie di possibilità sulle quali si può diversamente agire. Si tratta, dunque, di vedere qual è il limite, ovvero il margine di azione consentito all'uomo nei confronti della natura. Nel tentativo di evitare o, per lo meno, di concordare le linee per limitare, fino ad annullarli, i danni derivanti dal superamento di questi limiti, a partire dall'inizio degli anni Settanta le Nazioni Unite hanno promosso una serie di conferenze coinvolgenti gli Stati aderenti, anche perché strati consistenti dell'opinione pubblica cominciavano a guardare con crescente preoccupazione ai problemi del deterioramento ambientale e ai riflessi che questo avrebbe potuto avere sulla salute umana, e, più in generale, sulla qualità della vita. Intorno alla particolare problematica delle materie prime, del loro uso e del loro abuso, si tenne nel marzo del 1972, a Santiago del Cile, la Conferenza sul commercio e lo sviluppo. In quell'occasione si cominciò a dibattere il tema, che sarebbe diventato “centrale” negli anni seguenti, delle risorse non rinnovabili e, in quanto tali, soggette a esaurimento. In quella sede emerse anche la preoccupazione, espressa dai rappresentanti dei Paesi del Terzo Mondo, che nel proliferare dell'ecologismo – soprattutto di taluni atteggiamenti radicali ed estremistici del movimento – il riscoperto amore per la natura si potesse tradurre in ulteriori ritardi nello sviluppo dei Paesi più poveri. Il rischio paventato, cioè, era che, come fino alla seconda metà del XX secolo una parte limitata dei popoli della Terra si era sviluppata economicamente a spese delle risorse (petrolio, minerali, ecc.) importate da altri popoli, da quello stesso momento i medesimi popoli, resi consapevoli dei danni che il loro modo di svilupparsi aveva arrecato all'ambiente naturale, vi ponessero un freno coinvolgendo anche le sorti di quei Paesi che dello sviluppo altrui erano stati prevalentemente spettatori passivi. La posizione emersa dalla conferenza di Santiago fu la premessa dell'altra conferenza delle Nazioni Unite che, nello stesso anno, si tenne a Stoccolma sull'ambiente umano. In quella sede fu riconosciuto che produrre e svilupparsi senza inquinare è più dispendioso perché richiede la predisposizione di una serie di “accorgimenti” tecnologici che, appunto, accrescono i costi di produzione. Di conseguenza si propose che i maggiori costi che i Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo avrebbero dovuto affrontare per puntare su uno sviluppo “pulito” avrebbero dovuto essere pagati prevalentemente dai Paesi già sviluppati, sia perché maggiori responsabili della riscontrata situazione di deterioramento ambientale, sia perché anche essi avrebbero, comunque, goduto dei vantaggi di uno sviluppo ottenuto senza inquinare e manomettere ulteriormente l'ambiente. Ma almeno un altro argomento divise aspramente in due blocchi i partecipanti alla conferenza: l'aumento della popolazione mondiale. Da una parte, Stati Uniti in testa, si portava avanti la tesi che il vertiginoso aumento della popolazione, soprattutto evidente nei Paesi del Terzo Mondo, fosse la causa principale degli squilibri e dell'esaurimento delle risorse; dall'altra, i Paesi economicamente sottosviluppati rifiutavano ogni forma di controllo “coatto” dell'espansione demografica e identificavano nel tipo di sfruttamento esercitato dai Paesi ricchi la causa prima dell'esaurimento delle risorse. Questi temi furono ulteriormente ripresi e dibattuti in altrettante conferenze sul problema specifico della crescita demografica (Bucarest 1974, Città di Messico 1984, Rio de Janeiro 1992, Il Cairo 1994). Nel complesso frutti molto scarsi sono stati raccolti in quelle conferenze in considerazione del fatto che poco si potrà raccogliere in questi campi vitali per la salvaguardia della integrità presente e, ancor più, futura dell'ambiente sino a quando il Nord del mondo non deciderà di mettere in discussione il modello di sviluppo e di consumi in base al quale ha realizzato la sua ricchezza e la sua forza politica e militare. Di conseguenza, queste constatazioni hanno portato molti ambienti, preoccupati della rottura sempre più vistosa degli equilibri naturali, a formulare una generica condanna dello sviluppo e del progresso tecnologico; condanna che, peraltro, non è riuscita a offrire un'organizzazione economica e sociale alternativa, se non quella ruotante intorno ai principi dello sviluppo sostenibile. Non si può negare che lo sviluppo della società moderna, con le notevoli realizzazioni tecniche che lo hanno accompagnato, ha prodotto danni anche assai preoccupanti. Si è attinto a un patrimonio di risorse naturali ritenuto senza limiti e lo si è fatto indiscriminatamente, così che oggi quelle risorse cominciano a scarseggiare e corrono il rischio, in un futuro non lontano, di mancare del tutto. L'esempio dell'acqua e dell'aria sempre più inquinate è quanto mai significativo. Tuttavia è realistico ritenere che se l'industria e lo sviluppo economico hanno una parte notevole di responsabilità nella degradazione progressiva e talora irreversibile dell'ambiente naturale, la condanna deve più utilmente tradursi in un preciso obbligo a risanare le ferite inferte perché lo stesso sviluppo della scienza e della tecnica, che ha fornito i mezzi il cui uso distorto ha provocato i guasti lamentati, ha la possibilità di porvi rimedio. Nel sec. XXI il sistema di mercato regolato da logiche capitalistiche contribuisce in modo determinante all'inarrestabile degrado ambientale dei Paesi a economia emergente o in via di sviluppo. L'aggravarsi delle condizioni ambientali di questi è causato perlopiù dall'esportazione di rifiuti tossici dai Paesi occidentali, incentivati dai restrittivi provvedimenti normativi e fiscali vigenti in ambito ambientale. In questo modo nei Paesi sviluppati, soprattutto in Europa, si è realizzata una riduzione dei carichi ambientali pari al 4%. Le emissioni atmosferiche, dall'anidride solforosa, agli ossidi di azoto, ai metalli pesanti e alle diossine, si sono in tal modo uniformemente e costantemente ridotte. I consumi di fertilizzanti e pesticidi sono diminuiti; si è ridotto l'inquinamento idrico nelle acque sotterranee e in mare. La quantità di rifiuti destinata a smaltimento si è stabilizzata o ridotta. Nei Paesi industrializzati l'inversione di tendenza è evidente ed è guidata dal mercato e dagli orientamenti dei consumatori, oltre che dalla normativa ambientale e dagli strumenti fiscali. Uno studio realizzato congiuntamente dalle università del North Dakota (Stati Uniti) e di Seul (Corea del Sud), i cui risultati sono stati resi noti nell'articolo The environmental consequences of globalization, pubblicato sulla rivista scientifica Ecological Economics nel 2009, dimostra come l'aumento del Prodotto Interno Lordo e la progressiva apertura dei mercati abbiano determinato, nei Paesi a economia emergente o in via di sviluppo, eccetto la Cina, un peggioramento della qualità dell'ambiente e un maggiore tasso di inquinamento: le industrie più inquinanti, infatti, sono state spostate dai Paesi a economia matura a quelli in via di sviluppo, dove non esistono ancora leggi precise per la protezione dell'ambiente.

Etologia

Nella scuola etologica l'influenza dell'ambiente sul comportamento è generalmente riconosciuta. Gli animali sono continuamente soggetti a una quantità di stimolazioni provenienti dall'esterno e l'esperienza delle disparate situazioni ambientali permette loro, attraverso l'apprendimento, di acquisire e conservare informazioni, sulla base delle quali essi plasmano le risposte agli stimoli sia interni sia esterni in forme idonee a soddisfare le proprie esigenze in determinate situazioni. Alcune scuole etologiche ritengono che tale influenza si unisca, senza sostituirla, a quella dei geni. Altre scuole, invece, sostengono la totale predominanza degli influssi ambientali sul comportamento, giungendo a negare qualsiasi importanza della componente innata. Per queste ultime, alla nascita l'animale è una tabula rasa e il suo comportamento verrà plasmato interamente dall'esperienza. L'importanza dell'adattamento filogenetico del comportamento, che è alla base delle argomentazioni degli etologi, viene del tutto sminuita dagli ambientalisti, i quali sostengono che l'influenza dell'ambiente si esplica esclusivamente dopo la nascita e a livello individuale, mentre per gli etologi questa influenza coesiste con quella della selezione naturale la quale ha operato e opera sui genotipi, favorendo quelli che presentano moduli di comportamento innato più idonei alla sopravvivenza.

Scienze umane: filosofia, pedagogia e sociologia

Il rapporto costitutivo tra individuo e ambiente fisico è stato affermato dal positivismo, che ha attribuito all'ambiente il valore di causa determinante nei confronti di tutte le manifestazioni della vita umana. La teoria dell'ambiente come mondo storico sociale in cui l'individuo si muove è stata sviluppata dalle diverse forme di storicismo e in particolare dallo storicismo contemporaneo, che ha elaborato le nozioni di epoca, civiltà, cultura, discutendo il problema dei rapporti tra iniziativa individuale e condizionamenti storico-ambientali. § In pedagogia, le teorie moderne hanno messo in risalto l'importanza fondamentale dell'influenza dell'ambiente, sia socioculturale, sia naturale, sulla formazione educativa. A cominciare da Rousseau, che nel Contrat social definì l'uomo “la sua terra che cammina”, molti altri posero l'accento su questo problema nella loro pedagogia “del suolo natio” (per esempio E. Dévaud); quasi tutti i teorici dell'attivismo, inoltre, fecero dell'ambiente il punto di partenza dell'insegnamento episodico globale. La distinzione tradizionale fra elementi esterni d'ambiente ed elementi della personalità è stata sostituita dalla dottrina educativa dell'interazione uomo-ambiente. Così, dal punto di vista didattico, ha assunto importanza la tecnica dello “studio d'ambiente”, che tende a creare una stretta relazione fra il bambino, già dai primi anni di scuola, e la realtà che lo circonda. § Per quanto concerne la sociologia, il pensiero sociale delle origini – da Aristotele sino alla scuola storicistica – ha ricercato legami e connessioni fra ambiente fisico-naturale e fenomeni politici e culturali delle diverse comunità umane. Con la stagione del colonialismo e con il quasi contemporaneo affermarsi delle discipline statistiche, la scuola degli antropogeografi cercò di estendere e perfezionare tale approccio. È stata la nascita dell'antropologia culturale a ribaltare la prospettiva, evidenziando l'eterogeneità delle manifestazioni sociali entro uno stesso ambiente naturale e, insieme, il significato e la portata dell'intervento umano sui sistemi ambientali. Per la scuola sistemica, l'ambiente produce domande sociali, politiche o tecnologiche che il sistema è chiamato a soddisfare, pena la crisi del suo equilibrio.

Bibliografia

Per l'ecologia

G. Marcuzzi, Ecologia animale, Milano, 1968; R. Agostini, M. Alberti, G. Amendola, ABC dell'ecologia, Lugo, 1987; R. Butta, Produzione energetica e ambiente, Rimini, 1987; A. Auer, Etica dell'ambiente, Brescia, 1988; G. Martirani, Progetto terra, Bologna, 1989; R. E. Scossiroli, Elementi di ecologia, Bologna, 1989; S. Boyle, J. Ardill, Il pianeta che cambia, Milano, 1990.

Per la filosofia

R. Cubeddu, Storicismo e razionalismo critico, Napoli, 1980; S. Mandolfo, Le tematiche del positivismo, Catania, 1986; S. Poggi, Introduzione al positivismo, Bari, 1987.

Per la sociologia

H. Helson, W. Bevan, Contemporary approaches to psychology, Princeton, 1967.

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