La fine della letteratura pagana: i prosatori e gli ultimi poeti
Ammiano Marcellino
Ammiano Marcellino nacque ad Antiochia in Siria intorno al 330 da una benestante famiglia pagana di lingua e di cultura greca. Intraprese la carriera militare sotto l'imperatore Costanzo e partecipò come ufficiale agli ordini del magister equitum (comandante della cavalleria) Ursicino, alle campagne in Germania, nelle Gallie e in Oriente. Nel 359 si salvò a fatica quando la città di Amida fu conquistata dai parti, contro i quali combatté nel 363 al seguito dell'imperatore Giuliano. Fallita la spedizione, si ritirò a vita privata nella città natale. Dopo i viaggi in Egitto, dove studiò i geroglifici, e in Grecia, nel 378 si stabilì definitivamente a Roma, dove approfondì la conoscenza della lingua latina, che aveva imparato nell'esercito. Nell'ultimo quindicennio della vita si dedicò alla stesura della sua opera storica. Morì probabilmente a Roma nel 400 circa.
Rerum gestarum libri XXXI
La sua opera storica in 31 libri, Rerum gestarum libri, proseguiva le Storie di Tacito e narrava gli avvenimenti dell'impero romano da Nerva (96) alla morte di Valente (378). I primi 13 libri sono andati perduti; i 18 pervenutici trattano il periodo 353-378: l'uccisione di Gallo e la persecuzione dei suoi seguaci, le azioni militari di Ursicino in Oriente e il suo richiamo, i principati di Giuliano e le sue campagne di Gallia, di Gioviano, di Valentiniano I e di Valente, fino alla sua morte nella battaglia di Adrianopoli contro i Goti. Il fatto che nei primi 13 libri siano esposte le vicende di più di 250 anni e nei rimanenti 18 gli avvenimenti di solo 25 anni, indica chiaramente che Ammiano Marcellino volle narrare approfonditamente soprattutto i fatti contemporanei, dei quali era stato testimone se non partecipe.
Lo storico
Ammiano Marcellino è l'ultimo grande storico della letteratura latina, l'unico che si possa in qualche modo associare ai grandi narratori romani. Egli si riallaccia a Tacito, non solo cronologicamente, ma anche per metodologia. "La storia dice è solita correre sulle alte vette degli avvenimenti e non a indagare le minuzie delle umili cose": su questa premessa egli tratta sia le vicende politiche e la vita interna dello stato sia gli intrighi di corte sia le guerre esterne. Lo legano al grande predecessore, inoltre, la narrazione di tipo annalistico, l'introduzione di discorsi, le riflessioni filosofico-morali, il senso fatalistico della storia e il cupo pessimismo sull'età contemporanea, che riserva solo amarezze e delusioni. Come lo storico greco Polibio, Ammiano inserisce nella narrazione acuti profili di popoli, descrizioni geografiche, tecniche e scientifiche; molto efficaci sono le descrizioni delle battaglie e della vita militare. Lo storico mostra libertà e imparzialità di giudizio: "Non ho mai osato corrompere sia col silenzio sia con la falsificazione la mia opera che fa professione di verità". Egli è infatti un interprete obiettivo del suo tempo, lontano da ogni eccesso e da ogni intolleranza. Acceso assertore della grandezza di Roma, "che sarà vittoriosa finché avrà uomini", ne denunzia senza remore la decadenza; è ammiratore, da fedele soldato, dell'imperatore Giuliano, cui dedica i libri dal 21 al 25, ma ne rileva puntualmente i difetti, disapprova il suo editto con cui si allontanavano dall'insegnamento i retori e grammatici cristiani e stigmatizza la sua avversione nei confronti del cristianesimo. La tolleranza religiosa è per Ammiano Marcellino indice di umanità, come per gli intellettuali antichi.
Lo stile
La lingua presenta irregolarità sintattiche e grecismi lessicali, che indicano la doppia cultura dell'autore, cosicché talvolta sembra che lo storico pensi in greco e traduca in latino. La sua narrazione è però efficace e viva, anche se risente di un insegnamento scolastico; non si deve dimenticare che Ammiano Marcellino era un militare e non un uomo di cultura.