pónte (ingegneria)
Indicesm. Costruzione in muratura, cemento armato, ferro, legno o altri materiali che consente il superamento di ostacoli naturali o artificiali.
Ponte romano (sec. II d. C.) sul fiume Tago ad Alcantara, in Spagna.
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Ponte. L'Harbour Bridge di Sidney (1932).
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Ponte. Il ponte G. da Verrazano a New York (1964).
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Ponte della Torre a Londra.
De Agostini Picture Library/W. Buss
Cenni storici
L'esigenza di un'opera atta a consentire il superamento stabile e continuo di ostacoli naturali è stata affrontata fin dai tempi preistorici; si rinvengono così tra le prime espressioni architettoniche dell'uomo sia il ponte sospeso (in liane), sia quello appoggiato (in tronchi di legno), matrici dirette dei ponti ancor oggi edificati. In proposito è significativa la discontinuità dell'evoluzione nel tempo di queste strutture in quanto sempre fortemente legate alle caratteristiche delle diverse civiltà, nonché al fatto di essere spesso il ponte contemporaneamente opera tecnica sperimentale per materiali e tecnologie nuove e opera d'arte monumentale, quindi affermazione di potere e supremazia. Fra i più noti ponti del I millennio a. C. vanno ricordati quello sull'Eufrate, presso Babilonia, citato da Erodoto e da Diodoro, del quale rimangono sette grosse pile di mattoni, distanti 9 m l'una dall'altra, e il Ponte Sublicio, realizzato in legno a Roma nel 621 a. C. Solo a partire dagli Etruschi, e più ancora dai Romani, almeno per l'area mediterranea, si delineano e si affermano i contenuti di opera tecnica e monumentale propri dei ponti: furono infatti gli Etruschi i primi a realizzare ponti in muratura con grandi massi a secco e i Romani derivarono da loro quella tecnica che ne fece in breve i più grandi costruttori dell'antichità. Il perfezionamento nell'edificazione dei ponti romani va collegato allo sviluppo delle nuove tecniche murarie, alla realizzazione di archi con luce sempre maggiore (per esempio il ponte-viadotto di Narni, che ha un'arcata di 40 m di luce), al diramarsi delle grandi strade consolari. Dopo la fine dell'Impero romano si verificò in Europa un periodo di stasi nell'edificazione di ponti che durò fino al sec. XII quando, a opera delle confraternite dei Fratres Pontifices, iniziò un periodo essenzialmente di riscoperta e restauro che, più tardi, portò alla costruzione di nuovi ponti tecnicamente ispirati ai tipi romani, pur nell'interpretazione dell'uomo del Medioevo, il quale attribuì al ponte nuove funzioni (di difesa, culto, commercio, residenza), integrandolo con sovrastrutture diverse (merlature, torri, porte, cappelle, botteghe, case). Tipici esempi sono i ponti lignei di Rialto (Venezia, 1264, apribile), della Cappella e della Danza Macabra (Lucerna, ponti coperti rispettivamente del 1333 e del 1407) e quelli in pietra sul Rodano (Avignone, 1188, con cappella su uno dei piloni), di Castelvecchio (Verona, 1356, con bastioni e camminamenti), quello di Londra (1209) e il Ponte Vecchio di Firenze (1345), con case e botteghe. La costruzione di quest'ultimo tipo di ponte si prolungò per tutto il Rinascimento nella ricerca di un'ideale continuità urbana da ristabilire al di sopra del corso d'acqua (nuovo ponte di Rialto a Venezia, 1587), concetto che si riscontra ancora nel sec. XVIII (ponte di Bath, sull'Avon, 1770). Le prime ricerche teoriche sistematiche sulla statica dei ponti vennero condotte a partire dal sec. XVIII nell'ambito del più generale rinnovamento delle scienze e si concretizzarono, in particolare, in un trattato di H. Gautier del 1714; quasi contemporaneamente nascevano in Francia i “Corps des Ponts et Chaussées” (1716), dai quali sarebbe poi derivata la scuola omonima (1747). Lo sviluppo tecnologico dei ponti prese da questo momento un andamento sempre più veloce, legato anche alla comparsa di nuovi materiali da costruzione: dapprima il ferro, che consentì la realizzazione di luci maggiori (ponte di Coalbrookdale, sul Severn, 1779, luce 30,48 m, il primo realizzato in ferro); poi l'acciaio, che si diffuse sul finire del sec. XIX, permettendo la costruzione dei grandi ponti a cavi sospesi (ponte di Brooklyn, New York, 1883, luce 487 m); e infine, attraverso il contributo sostanziale di grandi costruttori come il Freyssinet, l'Hennebique, il Maillart, il Morandi, il cemento armato e il cemento armato precompresso che, per i loro obiettivi vantaggi economico-funzionali, si sono ormai in gran parte sostituiti all'acciaio, limitando l'impiego di quest'ultimo alla sola realizzazione di quelle luci altrimenti irraggiungibili. L'evoluzione della tecnologia costruttiva dei ponti ha consentito la realizzazione di nuove opere in zone altamente sismiche o in condizioni ambientali sfavorevoli, come in Giappone, oppure ancora per superare con sistemi ibridi (ponte-tunnel subacqueo), ampi tratti di mare. Nel 1996 è stata inaugurata nella baia di Tōkyō la “Trans Tōkyō bay highway”, struttura combinata – in parte ponte, in parte tunnel subacqueo – che collega le città di Kawasaki e Kisarazu. L'opera è lunga 15 km ed è formata da un ponte-viadotto di 4 km con 42 piloni, e un tunnel subacqueo di 10 km. Tra gli altri più importanti ponti del mondo inaugurati alla fine degli anni Novanta si ricordano: l'Akashi Kaykio, presso Kōbe, inaugurato il 5 aprile 1998, e il Vasco de Gama, che attraversa il fiume Tago presso Lisbona, inaugurato il 29 marzo 1998. Il primo è il ponte sospeso più lungo del mondo, ha una lunghezza totale di 3910 m e una campata massima di 1990 m e 80 cm; costruito in 10 anni, nel 1995, in avanzata fase di costruzione, ha resistito al terribile terremoto (7,2 gradi della scala Richter) che ha devastato la zona di Kōbe. Le scosse hanno provocato l'allontanamento delle coste di 1 m e 30 cm e la conseguente dilatazione dell'impalcato, dilatazione assorbita dai giunti di espansione. Il secondo è una delle più grandi opere progettate per l'Expo '98; costruito in soli 35 mesi, è il ponte su viadotto più lungo del mondo (17 km e 200 m). Altre opere ingegneristiche sono la realizzazione del ponte-galleria che ha collegato la Svezia alla Danimarca e all'Europa continentale. Il primo, il ponte sullo stretto dell'Øresund con sedi stradale e ferroviaria, è stato ultimato il 14 agosto 1999 e aperto al traffico il 1° luglio 2000. I lavori per la costruzione dell'intera opera, lunga 16 km, sono durati quattro anni. L'insieme è composto da una penisola artificiale lunga 430 m sulla costa danese, in prossimità dell'aeroporto di Kastrup-Copenaghen, da un tunnel di 4 km, di cui 3,5 km sottomarini, comprendenti due gallerie a due corsie ciascuna per gli automezzi, due per i treni e una d'emergenza. Il tunnel sbocca su un'isola artificiale, Peberholm, lunga poco più di 4 km, da cui parte un ponte a due livelli, di 1092 m e un'altezza di 57 m sul mare. Sul livello superiore scorre un'autostrada a quattro corsie, su quello inferiore la linea ferroviaria, a doppio binario. Sul versante svedese sono stati costruiti due ponti d'accesso, uno di 3 km e l'altro di 3,739 km, che conducono al casello di pedaggio e al terminal di Lernacken, nei pressi di Malmö. L'opera, che consente un traffico giornaliero di 11.000 vetture e 1300 autocarri è stata finanziata con prestiti garantiti dai due Stati ed è gestita dal consorzio Øresundskonsortiet di cui Svezia e Danimarca hanno ciascuna il 50% della proprietà.
Tipologia: generalità
Gli elementi costitutivi di un ponte sono riconducibili a due fondamentali: la sovrastruttura e la sottostruttura; la prima composta da piano stradale, impalcato e travi, la seconda da piedritti (o spalle) e fondazioni che sopportano le pile (o piloni). Dal tipo di sovrastruttura e di sottostruttura impiegate, nonché dal modo del loro collegamento, derivano le tre fondamentali tipologie strutturali dei ponti, classificate in base al loro comportamento statico: a travata, ad arco, sospesi; nell'ambito di ognuna di queste categorie si potranno poi ritrovare comportamenti differenziati, ma sempre analoghi.
Tipologia: ponti a travata
Un primo tipo elementare dei ponti a travata è quello della trave semplicemente appoggiata, schema tipico, realizzabile con ogni materiale, ma con luci diverse secondo le diverse caratteristiche del materiale impiegato (ponte di pietra sul Leach, Inghilterra; ponte in legno sul Kök-Su, Cina; ponte in ferro sul Tennessee, USA; viadotto Montesi in cemento armato, presso Genova); da questo, per conseguire una maggiore rigidità e ottenere così l'alleggerimento delle sezioni e il conseguente aumento della luce superabile dalle singole campate, si è passati alle travi continue su più appoggi (ponte Gardiol in cemento armato, Svizzera, con luce di 14 m; ponte in ferro sul Fontana Reservoir, Carolina del Nord, luce di 70 m; ponte di Waterloo in cemento armato, Londra, con luce di 73 m); come contropartita alla loro maggiore efficienza statica, le travi continue richiedono però un terreno di fondazione molto stabile e particolari protezioni in presenza di forti escursioni termiche, non potendo, proprio per la loro rigidezza, consentire cedimenti o spostamenti senza compromettere il proprio equilibrio statico. Dalla trave a sbalzo sono invece derivati i cosiddetti ponti cantilever (il primo, con luce di ca. 220 m, è quello di H. G. Gerber, che risale al 1867 e fu edificato sul Meno, a Hassfurt, presso Bamberga), composti di due travi aggettanti, sia direttamente affrontantisi (viadotto in acciaio di Viaur, Francia, 1903, con luce di 220 m; ponte sul Reno in cemento armato precompresso, 1965, con luce di 208 m), sia unite tramite un'altra trave a loro sospesa (ponte in ferro sul Firth of Forth, Edimburgo, 1890, con luce di 518 m). Sempre alla tipologia della trave è riconducibile anche il telaio, considerandolo come formato da una trave solidale con i piedritti; la monoliticità del sistema, conferendo massima rigidezza, consente un'ulteriore riduzione delle sezioni (ponte in cemento armato del Dry Creek, Kansas, 1941, con luce di 20 m). L'impiego del cemento armato precompresso ha inoltre consentito l'uso di elementi prefabbricati (l'intera trave o sezioni di essa) e il superamento di luci dell'ordine dei 100 m (ponte di Freyssinet, Luzancy, 1946; ponte d'Oléron, 1966; ponte di Tarren Point, Sydney, 1966); luci maggiori vengono superate quando alla trave sono aggiunti altri elementi strutturali collaboranti, per esempio tiranti (ponte di Maracaibo, Venezuela, 1962, con luce di 235 m; viadotto sul Polcevera, Genova, con luce di 208 m, entrambi su progetto di Morandi).
Tipologia: ponti ad arco
La tipologia strutturale dei ponti ad arco può avere diversi schemi statici e quindi diverse soluzioni architettoniche; pertanto è determinante la scelta del vincolo. L'arco incastrato, il più rigido in quanto non consente alcun movimento alla struttura, presenta un andamento delle tensioni crescente dalla mezzeria verso le imposte, richiedendo così una sezione variabile in modo analogo, cioè minima in chiave e massima alle imposte (ponte di Freyssinet a Saint Pierre de Vauvray, 1928, con luce di 131 m). L'arco a due cerniere, consentendo la rotazione delle due sezioni di imposta (dove si avrà quindi la sezione minima), riporta il valore massimo di tensione, e quindi la sezione massima, in chiave, con andamento opposto al precedente (viadotto di Garabit, di Eiffel, 1884, con luce di 166 m; ponte in acciaio di Bayonne, New York, 1931, con luce di 563 m, il più grande a due cerniere). L'arco a tre cerniere è invece il sistema più libero, consentendo, rispetto al precedente, anche la rotazione della sezione in chiave; i suoi vincoli determinano così uno stato di tensione che è massimo sulla mezzeria dei due semiarchi che lo compongono, in corrispondenza della quale si avrà anche la sezione massima (ponte metallico a La Roche-Bernard sulla Vilaine, 1912, con luce di 200 m; ponte in cemento armato di R. Maillart, sull'Aare, con luce di 132 m, sull'Arve, 60 m, di Salgina, 90 m). L'arco, per il suo particolare regime statico, finché è stato realizzato in muratura ha sempre richiesto sezioni molto grosse, frecce elevate e pile di dimensione adeguata; l'avvento del ferro e del cemento armato gli ha invece conferito nuove proporzioni, nel potenziamento delle sue capacità espressive. Il ferro, per la sua particolare resistenza e leggerezza, ha permesso di realizzare luci elevate (ponte di Sydney, 1932, 503 m e il già citato ponte di Bayonne, a New York, 563 m); il cemento armato, a sua volta, ha consentito l'adozione di profili sempre più ribassati, in quanto in grado di assorbire quelle sollecitazioni di flessione che insorgono al diminuire della freccia, quando il comportamento statico diviene sempre più simile a quello della trave (ponte di Sandö, Svezia, 1943, con luce di 264 m; ponte di Gladesville, Sydney, 1964, con luce di 305 m). Uno schema statico intermedio tra arco e trave è stato realizzato nei ponti detti “tipo Risorgimento” (dal primo costruito in Roma, nel 1911, da Hennebique) in cemento armato a sezione cava diaframmata. Nei ponti di R. Maillart, invece, la collaborazione arco-trave (cioè sottostruttura-piano stradale) ha portato a uno sfruttamento massimo delle capacità resistenti di entrambi gli elementi: l'arco viene così dimensionato in base ai soli carichi fissi e risulta interamente compresso, mentre la trave irrigidente, formata dal piano stradale solidale con i parapetti, assorbe le tensioni di flessione indotte dai carichi mobili.
Tipologia: ponti sospesi
La tipologia strutturale dei ponti sospesi consente di raggiungere le luci maggiori, grazie alla funzionalità dei suoi elementi caratteristici, che sono i cavi portanti, ai quali viene sospeso l'impalcato mediante tiranti. I cavi, disposti secondo una catenaria, sostenuti da alti piloni e ancorati alle spalle, hanno un comportamento che si può considerare analogo a quello di un arco rovesciato soggetto a sola trazione e che è certo più stabile dell'arco compresso. La presenza di un impalcato rigido, inoltre, contribuisce a contrastare la flessibilità delle funi, consentendone, entro limiti previsti, le variazioni di configurazione dovute ai carichi. I cavi tesi furono all'inizio realizzati con materiali diversi (per esempio liane o funi di fibre vegetali), poi con catene di ferro (ponte sul Menai Strait, Galles, 1826), infine con l'acciaio il quale, per la sua altissima resistenza a trazione, ha portato fino a 2000 m la luce limite teorica. Le funi in acciaio hanno consentito la realizzazione di opere vieppiù audaci, dal ponte di Brooklyn (New York, 1883), iniziato da J. A. Roebling, con luce di 487 m, al ponte G. Washington (New York, 1931), con luce di 1070 m, al Golden Gate (San Francisco, 1937), con luce di 1280 m, al ponte G. da Verrazzano (New York, 1964), con luce di 1289 m e, in Europa, i ponti sul Forth (Scozia, 1964), con luce di 1004 m, sul Severn (Inghilterra, 1966), con luce di 988 m.
Tipologia: ponti mobili
In alcune situazioni si rendono necessarie soluzioni tecniche particolari: quando l'altezza libera sotto il piano stradale di un ponte (per esempio su di un canale navigabile) non consente un'agevole navigazione sulla via d'acqua sottostante si ricorre a ponti mobili. In questi la sovrastruttura viene collegata alla sottostruttura mediante meccanismi e articolazioni che ne permettono il movimento in direzioni e su piani diversi. Si avranno così: ponti levatoi (a uno e a due bracci), nei quali l'impalcato stradale, sollevandosi, ruota attorno a un asse orizzontale (ponte della Torre di Londra, di 60 m); ponti girevoli, rotanti attorno a un asse verticale (ponte sul Missouri, USA, 158 m per braccio), che richiedono molto spazio di manovra; ponti scorrevoli, con movimento nel solo piano orizzontale; ponti sollevabili, con movimento solo verticale. Quando non è necessaria un'opera fissa e stabile si ricorre a ponti provvisori, formati da barche, chiatte, strutture autoportate (carri gettaponte) o a elementi smontabili semplicemente collegati tra loro; in genere sono impiegati in situazioni di emergenza (guerre, calamità naturali) per la loro rapida costruzione.
Procedimenti costruttivi
L'organizzazione del cantiere per la costruzione di un ponte è diversa secondo il procedimento costruttivo adottato; il primo problema che si presenta è però sempre rappresentato dall'ostacolo che il ponte deve superare e che porta, in genere, alla costituzione di due diversi cantieri posti ai due lati dell'ostacolo (per esempio fiume), tra loro collegati in modo provvisorio (passerelle, teleferiche). Solo particolari procedimenti costruttivi consentono talora di concentrare tutto in un unico cantiere: come si è fatto in Germania per i ponti in cemento armato precompresso, dove si è proceduto con un sistema di costruzione a sbalzo, eseguendo i getti su ponteggi mobili avanzanti progressivamente (ponte Dischinger e ponte NordWest Bogen a Berlino). Cantieri particolari sono stati impiantati anche quando specifiche necessità lo abbiano richiesto: come nel caso della costruzione fuori opera dell'intera sovrastruttura del ponte, che solo in un secondo tempo viene portata nella sua posizione finale, spinta con un sistema di ruote oppure rimorchiata su cassoni galleggianti. Problema comune a tutti i ponti è quello delle fondazioni che debbono essere realizzate su terreno incompressibile, cioè che non abbia a subire alcun cedimento per azione degli agenti naturali: il piano di fondazione deve essere spinto a una profondità maggiore di quella alla quale possono arrivare le corrosioni da parte delle acque. Necessita pertanto conoscere la conformazione del sottosuolo della zona, e ciò si ottiene mediante metodici sondaggi di esplorazione per stabilire le modalità del lavoro. Dove necessario si adottano opportuni sistemi per consolidare i terreni non sufficientemente compatti sui quali occorre appoggiare le fondazioni: si citano quello delle iniezioni di cemento, quello delle palificazioni con pali di legno e con pali di cemento armato; ma poiché quasi sempre la condizione locale è complicata dalla presenza di acqua corrente, generalmente per le pile intermedie si deve ricorrere alle fondazioni ad aria compressa. Con questo sistema si può arrivare alla profondità di fondazione di 40 m e oltre (49,11 m nel ponte ferroviario di Hawkesbury, in Australia). Le fondazioni realizzate in acqua richiedono, altresì, l'impiego di cassoni autoaffondanti, di cassoni pneumatici, ecc. Sulle fondazioni poggiano le spalle e le pile destinate a sorreggere le travi o gli archi; nei ponti sospesi, privi di pile intermedie, il carico viene a gravare, in gran parte, sui piloni di testa, per cui altezza e dimensioni debbono essere proporzionate all'entità dell'opera. Nei ponti ad arco, sulla parte superiore delle pile e delle spalle s'impostano le volte, che hanno due superfici cilindriche (l'intradosso e l'estradosso), due superfici piane, dette fronti a valle e a monte nel senso longitudinale del ponte, e due superfici piane (imposte), sulle quali la volta si appoggia. I ponti di questo tipo possono essere a uno o più archi, detti anche arcate e, genericamente, campate. Sulla superficie dell'estradosso le volte vengono rinfiancate mediante la formazione di due spioventi, detti appunto rinfianchi, che servono a rincalzare le parti laterali dell'arcata e a facilitare la raccolta e lo sfogo delle acque piovane, filtranti dal superiore piano stradale. Sopra la superficie di estradosso e sui rinfianchi è posata la cappa, protezione costituita da uno strato impermeabile elastico, dello spessore di 5-12 cm, formato con malta di cemento di fine granulazione e da un manto di asfalto dello spessore di.0,8-1,5 cm. Sopra le arcate dei ponti in muratura viene eseguito il riempimento con materiale ghiaioso (massicciata nel caso di strada ordinaria, ballast per la ferrovia), che ha lo scopo di formare una superficie piana, viabile, alla giusta altezza della strada. Tale riempimento è contenuto ai due lati fra due muri di testa o andatori, che dalle arcate si elevano fino al piano stradale. Questi muri sono generalmente coperti, sia a scopo di protezione, sia per motivi estetici, dal coronamento in pietra da taglio. Lungo i lati del ponte, al di sopra della massicciata, si elevano muretti di protezione (parapetti). Nei ponti in cemento armato, per luci fino a 6 m si adotta una struttura a solettone semplice, mentre per luci fino a 15 m si adotta il solettone con nervature, rinforzato da costole, che saranno due o più secondo la larghezza del piano stradale. Per luci maggiori s'impiega l'arco o, più generalmente, una serie di arconi paralleli, uniti da travature secondarie. Ciascun arcone sorregge una trave longitudinale dell'impalcato per mezzo di pilastrini o di tiranti. Gli archi e le travi dell'impalcatura sono legati trasversalmente. Nelle moderne strutture in cemento armato precompresso è possibile raggiungere grandi portate con strutture ad arco ribassato. Nei ponti metallici (esclusi quelli sospesi) la sottostruttura è concettualmente analoga a quella dei corrispondenti tipi in muratura e cemento armato mentre è diversa la sovrastruttura, generalmente costituita nei ponti a travate metalliche da travi reticolari in acciaio, a profilo parallelo o semiparabolico, formate da aste profilate, unite mediante chiodature o saldature in serie di forme semplici, triangolari, essendo il triangolo una figura indeformabile. Il ponte a travata metallica è quasi sempre formato da due travi maestre estreme, convenientemente controventate, che sostengono l'impalcatura portante il piano viabile. Data l'altezza che assumono le travate principali, specialmente nei ponti maggiori, il piano viabile può essere sostenuto sopra la travata stessa (ponti a via superiore), oppure appeso al bordo inferiore delle travi (ponti a via inferiore), oppure, accoppiando i due sistemi, vi può essere una via inferiore e una superiore (ponti a doppia via). In generale ognuna di esse è destinata a un diverso tipo di traffico (per esempio una strada ordinaria e una ferrovia). Per luci da 50 a 100 m e oltre è molto conveniente il sistema combinato dell'arco metallico con le travate: queste sono sostenute a mezzo di montanti da un arco di ferro a pareti reticolari. Nei ponti sospesi, i cavi d'acciaio sono appoggiati sulle sommità dei piloni e ormeggiati, alle estremità opposte, a imponenti sistemi di ancoraggio. Ai cavi metallici sono fissati i tiranti che sostengono l'impalcato della strada, rinforzato da due travi laterali di irrigidimento, alte ca. 1/50 della luce della campata. La freccia dell'arco dei cavi di sospensione varia fra 1/10 e 1/15 della corda. In ogni caso, per contrastare la pressione del vento sulle strutture si ricorre all'impiego di controventi (barre piatte o profilate), disposti in modo da aumentare la rigidità del ponte nei riguardi delle spinte orizzontali, collegando tra loro le varie parti della struttura e quindi rendendola meno deformabile. La resistenza alle sollecitazioni di tipo elastico interessa soprattutto i ponti sospesi che per la loro forma aerodinamica sottostanno di frequente a cospicui fenomeni aeroelastici, che possono provocare, in particolari situazioni, improvvisi collassi della struttura, come è avvenuto per il ponte sospeso di Tacoma, USA, nel 1940. Un problema particolare, invece, per i ponti ad arco in cemento armato è rappresentato dalla centina che deve sostenere il getto e quindi il ponte fino a completo indurimento del calcestruzzo. Le centine, una volta solo in legno, oggi si realizzano anche in metallo, con elementi tubolari smontabili; particolari sono quelle metalliche annegate, destinate a rimanere inglobate nel getto costituendone in parte o del tutto l'armatura (viadotto Martín Gil di E. Torroja, sull'Esla, Zamora, 1940). Le prospettive di sviluppo delle diverse tecniche costruttive sono, comunque, strettamente legate a quelle scelte tecnologico-strutturali che derivano dalle circostanze dimensionali del ponte ed economiche: i ponti sospesi, per esempio, sono adottati solo nel caso in cui si debbano superare luci molto elevate, in quanto solo la realizzazione di opere eccezionali rende accettabile il loro alto costo, nonché i problemi di montaggio e di manutenzione che essi comportano; negli altri casi si preferisce ormai l'impiego del cemento armato (rari sono diventati i ponti in muratura) e in particolare di quello precompresso, al quale viene spesso abbinata la tecnica della prefabbricazione, con conseguente maggior resistenza ed economia dell'opera.
Diritto
I ponti giuridicamente hanno natura di strade pubbliche e il loro uso è disciplinato in conseguenza. In caso di rovesciamento di ponti per impeto delle acque la situazione di emergenza che viene a crearsi consente di ricorrere a una forma di espropriazione più rapida di quella normale.