lavóro
IndiceLessico
sm. [sec. XIII; da lavorare].
1) Impiego delle forze e delle facoltà del corpo e della mente in un'attività produttiva che si realizza nell'esercizio di un mestiere, di una professione, di un'arte: lavoro manuale, intellettuale;lavoro autonomo, subordinato;lavoro discontinuo, quello che richiede la continua presenza fisica ma solo a intermittenza la prestazione vera e propria come, per esempio, il lavoro dei portieri, degli uscieri, dei fattorini, degli autisti, ecc.; lavoro monotono, interessante; mettersi al lavoro. In particolare, lavori femminili, cucito, ricamo e maglia, tradizionalmente riservati alla donna; il lavoro dei campi, la coltivazione della terra; bestie da lavoro, che si utilizzano nel lavoro dei campi; giorno di lavoro, feriale, lavorativo; incidente, infortunio sul lavoro, avvenuto durante lo svolgimento di un lavoro; lavoro coatto, attività lavorativa imposta al condannato; ferri da lavoro, gli attrezzi che servono nell'esercizio dei vari mestieri.
2) Al pl., complesso di attività esplicate da un organo collegiale, da un gruppo organico e sim.: i lavori del Parlamento, dell'assemblea, della commissione; prender parte ai lavori; il volume raccoglie i lavori del congresso. In particolare, lavori pubblici, lavori e opere, quali la costruzione di strade, strade ferrate, canali demaniali, conservazione di pubblici monumenti d'arte, costruzione di pubblici edifici, ecc. che lo Stato, per il loro particolare interesse pubblico, ha riservato alla propria competenza costituendo un apposito Ministero detto dei Lavori Pubblici e regolamentando la materia con la legge 20 marzo 1865, n. 2248. I mutamenti socio-economici e tecnologici che si sono susseguiti nel corso degli anni hanno indotto il legislatore a rinnovare le vecchie norme risalenti al secolo precedente sostituendole con altre che meglio rispondessero ai cambiamenti intervenuti. La legislazione in questa materia è pertanto basata sulla legge 11 febbraio 1994, n. 109 e sul relativo regolamento di attuazione approvato con decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554. Con il rinnovo del Parlamento in seguito alle elezioni politiche del 2001 ed ai sensi del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, il Ministero dei Lavori Pubblici è stato soppresso e le sue funzioni sono state trasferite in massima parte al nuovo Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La legislazione in questa materia è basata sulla legge 20 marzo 1865, n. 2248. § Anche al sing. lavoro aereo, insieme delle attività svolte con aeromobili, facenti parte dell'aviazione generale, comprendenti i voli pubblicitari, i servizi di ricerca e soccorso (SAR), antincendio, di radiomisure, di ricerca mineraria, di assistenza all'agricoltura, di trasporto e montaggio (con gru volanti) di grosse strutture a grande altezza e altri servizi di pubblica utilità.
3) Occupazione retribuita: cercare lavoro; il datore di lavoro; ; ; è uno che vive del suo lavoro; lavoro straordinario, quello che si fa oltre l'orario normale; lavoro nero, quello prestato al di fuori della normativa contrattuale. Anche il luogo in cui si svolge la propria attività produttiva: andare al lavoro; a quest'ora è sul lavoro; torna sempre tardi dal lavoro; ; la classe dei lavoratori: il mondo del lavoro; contrasti tra capitale e lavoro.
4) L'opera che si esegue, la cosa intorno a cui si lavora; l'opera compiuta; iniziare, finire, posare il lavoro. Fig., maneggio, intrigo, imbroglio: m'hai combinato un bel lavoro!
5) Per estensione, qualsiasi esplicazione di energia; in particolare: A) l'azione degli agenti naturali: il lavoro delle acque, del vento, del gelo. B) Nei fenomeni di emissione di elettroni, lavoro di estrazione, energia necessaria per estrarre un elettrone da un metallo a una data temperatura. È un dato caratteristico di ciascun metallo, generalmente espresso in eV. C) In fisica, grandezza scalare definita dal prodotto di una forza per lo spostamento del punto cui è applicata.
Diritto
Parte dell'ordinamento giuridico relativa all'organizzazione e all'azione dello Stato e delle associazioni professionali in vista della tutela della classe lavoratrice in generale e dei rapporti di lavoro in particolare. Esso investe quel complesso di problemi politico-economici che vanno sotto la denominazione di “questione sociale”. Tutto il diritto può rivendicare l'attributo di “sociale” e in passato non esisteva nella legislazione una particolare branca dedicata al lavoro. Ma con la Rivoluzione francese le differenze sociali e i contrasti di classe assunsero un'importanza di primo piano e alla fine di quel periodo l'istanza trovò una prima collocazione nell'ordinamento liberale, né in questa si fossilizzò, perché aspetti sempre più profondi e concreti si presentavano alla considerazione del legislatore e lo spingevano alla ricerca di soluzioni più progredite. In particolare, il legislatore si trovò di fronte a situazioni e rapporti in netta contraddizione con il nuovo principio della perfetta uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Inoltre, il rapporto classico del vecchio diritto si stabiliva solo tra lo Stato e l'individuo, mentre l'insorgenza di problemi collettivi esigeva la soluzione del rapporto fra classi eterogenee, uguali in diritto, ma disuguali di fatto. Il problema diventava particolarmente acuto nei confronti di quei cittadini che ricavavano totalmente i mezzi di sostentamento per sé e per la propria famiglia dal lavoro prestato in forma subordinata: si trattava cioè di ricercare la forma più equa di ripartizione della ricchezza tra coloro che concorrevano a produrla e di garantire al lavoratore una libertà effettiva, che la Carta Atlantica ha definito freedom of want (affrancamento dal bisogno o libertà economica). Con l'avvento della rivoluzione industriale, dalla seconda metà del sec. XVIII si andarono progressivamente estinguendo le corporazioni medievali, mentre dal 1815 al 1848 si susseguirono tentativi più o meno utopistici di ricostruzione sociale, e dal canto loro i lavoratori cercarono nuove forme associative adeguate alla realtà della fabbrica capitalistica. Punto fermo di riferimento fu per essi il Manifesto di Marx (1848), che li avviava verso la conquista delle libertà sindacali. In Italia i primi interventi dello Stato a tutela del mondo del lavoro si ebbero negli ultimi anni dell'Ottocento. Dopo la I guerra mondiale, l'intensificarsi delle lotte sindacali determinò una sempre maggiore consistenza dell'intervento statale sia in materia legislativa sia in quella amministrativa. Il sistema corporativo fascista si diede un proprio statuto nella Carta del Lavoro (1927), che negava il concetto di classe e istituzionalizzava la collaborazione tra le imprese, subordinando ogni interesse individuale e di categoria all'interesse nazionale. Nella struttura corporativa dello Stato fascista veniva a mancare l'apporto dell'interlocutore più legittimo, il lavoratore. L'abrogazione dell'ordinamento corporativo portò all'unificazione di tutta la normativa precedente, che prese la denominazione unica di “diritto del lavoro”. La nozione di “classe” e in particolare di “classe lavoratrice”, per quanto non giuridica, ma solo politico-sociale, viene quindi a costituire la base del diritto del lavoro, che è suddiviso in tre settori: ordinamento dello Stato e delle associazioni professionali; tutela del lavoro e previdenze sociali; disciplina del rapporto di lavoro. Nel primo si ha un concorso di disposizioni derivanti sia dallo Stato sia dai sindacati; nel secondo (detto anche “legislazione sociale”) sono comprese le leggi imposte dallo Stato ai singoli appartenenti a una data classe (datori di lavoro) a favore della classe lavoratrice; in particolare si tratta di norme protettive (orario di lavoro, riposo notturno e settimanale, ferie, igiene, sicurezza, ecc.); il terzo (diritto del lavoro in senso stretto) riguarda l'ordinamento dei rapporti individuali di lavoro subordinato e comprende le regole di condotta per i singoli derivate dall'attività contrattuale delle associazioni professionali. Questo settore, pur rimanendo ancora legato al diritto privato, si sta evolvendo perché lo schema tradizionale del rapporto di lavoro quale rapporto di prestazioni corrispettive è venuto alterandosi di fronte alla progressiva complessità del rapporto stesso, configurandosi questo come collaborazione all'impresa, nella quale obblighi e diritti si riconducono a uno status di appartenenza all'impresa stessa; la retribuzione vale sempre più come prestazione che deve garantire un giusto tenore di vita al lavoratore e alla sua famiglia e deve essere integrata da garanzie sulla sicurezza del lavoro e la stabilità dell'occupazione. Diritti e obblighi derivano dall'appartenenza a una categoria professionale; si ha quindi uno status professionale, che prende rilievo sia in materia di organizzazione sindacale sia in tema d'intermediazione e interposizione nella somministrazione del lavoro; inoltre con l'inserimento del lavoratore nell'azienda si stabilisce uno status o rapporto di appartenenza che ha conseguenze giuridiche all'inizio, durante e alla fine del rapporto. Visto nel suo aspetto formale il diritto del lavoro si qualifica come ordinamento pubblico per quanto concerne la legislazione sociale, ma ha riflessi pubblicistici anche in senso stretto: non sono infatti valide le rinunce e le transazioni su diritti derivati al lavoratore da disposizioni legislative o da contratti collettivi. In Italia la materia è stata riformata e disciplinata dalla legge n. 30 del 2003 (c.d. legge Marco Biagi, dal nome del consulente del Ministero del lavoro ucciso nel 2002) che ha trovato in parte attuazione con decreto legislativo n. 176 del 2003. La legge Biagi si propone di creare le condizioni per una maggiore flessibilità che non implichi, però, una minore tutela per il lavoratore. Oltre al lavoro interinale (introdotto nella nostra legislazione nel 1997) vengono regolamentate formule di lavoro temporaneo come i contratti a progetto, le prestazioni intermittenti, a coppia e occasionali. Il contratto a progetto sostituisce di fatto le collaborazioni coordinate e continuative che spesso mascheravano situazioni di subordinato. In questo tipo di contratto deve essere indicato il progetto a cui lavora il collaboratore, un tempo almeno indicativo della durata del rapporto, il corrispettivo pattuito e la modalità di pagamento. Il contratto a progetto non assorbe tutti modelli di collaborazione: i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni e il cui compenso non superi i 5.000 euro durante l'anno solare sono classificati come prestazioni occasionali. In caso di prestazioni occasionali quali lavori domestici, di giardinaggio, di baby-sitting è prevista la possibilità di retribuzione tramite voucher prepagati. Con lavoro intermittente (job on call) si indica la disponibilità del lavoratore allo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo a fronte di una congrua indennità. Il lavoro a coppia (job sharing) consente a due o più persone di garantire insieme una prestazione di lavoro, distribuendosi settimane, giornate o parti della stessa giornata. Un altro aspetto rilevante della riforma riguarda il tentativo di snellire e semplificare le procedure di incontro tra domanda e offerta di lavoro. La legge si prefigge lo scopo di modernizzare e razionalizzare il sistema del collocamento pubblico, al fine di renderlo maggiormente efficiente e competitivo tramite la creazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici, con particolare riferimento agli enti locali. A fianco degli intermediari pubblici la legge prevede la presenza di intermediari privati, le Agenzie per il lavoro che devono soddisfare criteri finanziari e giuridici (costituzione in società per capitale, sede legale in Italia o in uno stato dell'Unione Europea) per potersi iscrivere all'albo autorizzativo presso il Ministero del lavoro. Queste due realtà, nelle intenzioni del legislatore, non devono essere concorrenti ma garantire al lavoratore la libera scelta nell'àmbito di una rete di operatori qualificati e la salvaguardia di standard omogenei, a livello nazionale, nell'affidamento di funzioni relative all'accertamento dello stato di disoccupazione e al monitoraggio dei flussi del mercato del lavoro. A questo fine la legge prevede l'istituzione della Borsa Continua Nazionale del Lavoro, che dovrà essere alimentata da tutte le informazioni utili a tale scopo immesse liberamente nel sistema stesso sia dagli operatori pubblici e privati, autorizzati o accreditati, sia direttamente dai lavoratori e dalle imprese; essa dovrà essere liberamente accessibile sia dai lavoratori sia dalle imprese e dovrà essere consultabile da un qualunque punto della rete (è fatto divieto agli operatori di raccogliere informazioni sull'affiliazione sindacale o politica, sul credo religioso, sull'orientamento sessuale, sullo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché su eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro). Alle regioni è demandato il riconoscimento dell'idoneità degli operatori pubblici e privati a operare nell'ambito territoriale di riferimento ma per garantire uniformità nazionale in materia sono riservate allo Stato, tra l'altro, le competenze in materia di conduzione coordinata e integrata del sistema informativo lavoro; le funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime, nonché alla risoluzione delle controversie collettive di rilevanza pluriregionale; le funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro, alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione Europea, all'autorizzazione per attività lavorative all'estero; le forme di coordinamento e raccordo tra operatori privati e operatori pubblici, ai fini di un migliore funzionamento del mercato del lavoro, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province.
Diritto: indicazioni legislative
Nell'ordinamento dello Stato italiano il lavoro assume rilevanza particolare, tanto che a esso si richiama l'art. 1 della Costituzione affermando: “L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. In un momento storico disastroso per la nazione appena uscita, lacera e distrutta, da una guerra perduta (1945), i costituenti hanno voluto porre a fondamento di quella Costituzione, che avrebbe dovuto formare la trama sulla quale ordire la rinascita del Paese, proprio l'unico strumento che sarebbe servito allo scopo, il lavoro. Su di esso deve fondarsi la struttura dello Stato, inteso come comunità e come organizzazione. Come comunità, in quanto a tutti i cittadini è richiesto il dovere “di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della Società” (art. 4, II, Costituzione); come organizzazione, in quanto si conferisce alla Repubblica intesa come organizzazione statale il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, II, Costituzione). La Costituzione contiene poi, agli art. 35-40, una serie di norme per la tutela fisica, economica e morale del lavoratore. Viene riconosciuto il diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro e anche idonea a consentire al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza “libera e dignitosa”; viene tutelato il lavoro delle donne e dei fanciulli e in particolare la lavoratrice madre, perché possa adempiere anche alla sua funzione familiare. Vengono stabilite norme per la previdenza e assistenza e per le assicurazioni obbligatorie. Viene affermato il principio del diritto di sciopero, della libertà dell'organizzazione e dell'attività sindacale. Questi sono in linea di massima i principi stabiliti dalla Costituzione per la tutela del lavoro e del lavoratore. Ma dalla promulgazione della Costituzione essi non sono ancora stati completamente tradotti nella legislazione ordinaria. In particolare su due materie manca ancora un'opportuna legislazione: la registrazione dei sindacati e la disciplina del diritto di sciopero. E ciò è ancora più grave perché proprio la Costituzione stabilisce per queste materie un rinvio alla legge (art. 39, II e 40). Esse sono poi materie di particolare importanza e delicatezza, perché è proprio attraverso la forza dei sindacati e l'arma dello sciopero che i lavoratori hanno visto attuati in disposizioni di legge ordinaria i principi costituzionali che li riguardano ed è spesso proprio attraverso questi strumenti che essi possono effettivamente partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, così come la Costituzione stessa prevede (art. 3, II). D'altra parte la non attuazione del sistema erga omnes dell'art. 39, II può essere letta come una garanzia per i sindacati: in un clima di frammentazione sindacale una legge che imponesse una suddivisione aprioristica in categorie professionali potrebbe risultare un vincolo alla libertà di organizzazione sindacale, che deve potersi adeguare ai cambiamenti sociali del mondo del lavoro. In materia di sciopero non esiste una disciplina organica ma, anche in questo caso, la non emanazione di norme legislative potrebbe essere letta non come una mancata attuazione della Costituzione ma come una garanzia della libertà di sciopero tutelata dalla Costituzione stessa. Restrizioni in materia sono state sancite in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali (legge n. 146 del 1990 come modificata dalla legge n. 83 del 2000). Manca in Italia anche una legislazione ad hoc in tema di violenze psicologiche sistematiche sul luogo di lavoro, fenomeno che viene indicato con il termine inglese mobbing; un disegno di legge in materia è stato presentato nel settembre del 2002. In attesa dell'emanazione di una disciplina specifica è proprio facendo riferimento alle norme costituzionali, e alle tutele previste dallo Statuto dei lavoratori, che la giurisprudenza muove i primi passi a difesa dei lavoratori che subiscono questo tipo di prevaricazione: il divieto di discriminazione (art. 3), la concezione del diritto alla salute come fondamentale (art. 32) e ancora la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (art.35) sono i principi a cui fare riferimento. Sono state attuate le norme di carattere assistenziale e previdenziale; è stato disciplinato il lavoro dei bambini e degli adolescenti (legge 17 ottobre 1967, n. 977, come modificata dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345), e fissato il limite minimo di età per l'ammissione al lavoro al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non prima che abbia compiuto i 15 anni. Sono state emanate norme per la tutela delle lavoratrici madri (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, abrogata e sostituita dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 in attuazione della legge n. 53 del 2000); è stata, inoltre, introdotta la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (legge 9 dicembre 1977, n. 903, anch'essa profondamente modificata dal decreto legislativo n. 151 del 2001), che si attua, dagli inizi degli anni Novanta, anche grazie ai finanziamenti pubblici e agli incentivi fiscali per la concretizzazione di progetti volti a realizzare condizioni di parità tra i due sessi. È stata disciplinata la materia dei licenziamenti individuali (legge 15 luglio 1966, n. 604; legge 11 maggio 1990, n. 108), per cui è richiesta la “giusta causa” per poter operare licenziamenti da parte dei datori di lavoro. È stato emanato lo Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300), che contiene norme sulla tutela del lavoratore e della libertà sindacale. L'art. 18 dello Statuto dei lavoratori sancisce che “il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace …o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro”. La Corte costituzionale, nel febbraio 2003, ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della norma laddove limita la reintegrazione al posto di lavoro alle imprese con almeno 15 dipendenti. Il referendum popolare per l'abrogazione delle suddette norme è stato indetto con D.P.R. 9 aprile 2003 ma alla votazione per il referendum non ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto. È stata anche modificata la materia processuale (legge 11 agosto 1973, n. 533 e successive modifiche) in modo da rendere più rapidi e più semplici i procedimenti in materia di controversie individuali di lavoro, stabilendo termini molto brevi e l'oralità del procedimento, con decreto legislativo n. 165 del 2001 (che sostituisce il decreto legislativo n. 29 del 1993) sono devolute al giudice ordinario le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Diritto: organi di tutela
In sede governativa sono costituiti dal Ministero del Lavoro(dal 2001 Ministero del Lavoro e delle politiche sociali), l'organo a cui sono demandati il controllo sull'esecuzione dell'indirizzo economico fissato in sede governativa, il coordinamento di tutta l'attività amministrativa in rapporto alla previdenza sociale e all'igiene e sicurezza sui posti di lavoro, l'intervento con opera mediatrice nelle grandi vertenze fra datori di lavoro e lavoratori; dall'Ispettorato del Lavoro, organo di vigilanza per il rispetto della legislazione sul lavoro, l'applicazione dei contratti collettivi, il funzionamento delle attività previdenziali e assistenziali; dall'Ufficio del Lavoro, per il collocamento dei lavoratori e l'assistenza agli emigrati. In campo internazionale opera l'Organizzazione Internazionale del Lavoro con il compito d'informarsi sulle condizioni di lavoro nei vari Stati membri e di fissare le norme a cui essi si devono attenere, controllandone poi l'applicazione.
Economia
In quanto fattore di produzione, il lavoro è offerto e domandato sul mercato, offerto cioè dal lavoratore e domandato dagli imprenditori. In particolare, per offerta di lavoro di un Paese si intende l'insieme degli individui che intendono lavorare oppure la quantità di ore lavorative che la popolazione è disposta a offrire; per domanda di lavoro il numero d'individui o la quantità di ore richiesta dagli imprenditori (pubblici o privati) per essere impiegata nel processo produttivo. Il concetto di mercato del lavoro, generalmente accettato almeno nell'ambito del sistema di produzione capitalistico, implicherebbe la natura di “merce” del fattore lavoro. Esso però è una merce del tutto particolare e affatto diversa dalle altre, soprattutto perché inseparabile dalla persona del lavoratore. In proposito, Marx ha distinto la persona del lavoratore dal lavoro come forza-lavoro, cioè come capacità lavorativa creatrice di ricchezza acquistata e venduta sul mercato, dal lavorocome risultato degli sforzi compiuti dal lavoratore, ossia come merce prodotta dalla forza-lavoro, e ha osservato come il capitalista, acquistando l'uso della forza-lavoro, acquisti anche il prodotto di cui si appropria e che rivende. Che il lavoro fosse l'unica vera fonte di produzione era, d'altra parte, già stato posto in rilievo anche dagli economisti classici (pur dovendosi rilevare in proposito che il solo lavoro senza la cooperazione degli altri fattori non è in grado di produrre alcunché), i quali ripresero inoltre la distinzione fisiocratica fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo, definendo il primo come quello che produce un'eccedenza rispetto al salario pagato per esso, eccedenza che appartiene al proprietario del capitale. Tanta d'altra parte fu l'importanza attribuita dai classici al fattore lavoro che in esso fu fatta risiedere la causa del valore dei beni. Sempre ai classici, e in particolare ad A. Smith, risale la teoria della divisione del lavoro, intesa come scomposizione del processo produttivo in una serie di operazioni distinte ognuna delle quali è svolta da un operaio diverso in essa specializzato. In questo senso, la divisione del lavoro è stata dalla generalità degli economisti riconosciuta sia come fattore essenziale dell'incremento della produttività del lavoro, e quindi come fonte di economie di scala, sia come presupposto per lo sviluppo dello scambio, in quanto ogni individuo, anziché produrre da solo tutto quanto gli può occorrere, si specializza nella produzione di un bene che vende quindi ad altri in cambio dei beni nella cui produzione essi sono a loro volta specializzati. Questo secondo fondamentale vantaggio della divisione del lavoro è legato non tanto alla separazione dei compiti all'interno di uno stesso processo produttivo o di una stessa impresa (produzione di un dato bene) quanto alla separazione dei compiti all'interno dell'intero sistema produttivo (produzione di beni diversi da parte d'individui o imprese diversi), fino a comprendere la specializzazione in determinate attività da parte di Paesi diversi (divisione internazionale o territoriale del lavoro). S'intende infine per mobilità del lavoro(inglese, labor turnover) il fenomeno che permette al mercato del lavoro di raggiungere l'equilibrio. Essa consiste nella tendenza, da parte appunto del fattore lavoro, a spostarsi da un'occupazione a un'altra o da una mansione a un'altra, oppure a spostarsi da un'area geografica a un'altra (mobilità spaziale o geografica) in risposta all'offerta di lavoro o alle differenze salariali. La mobilità del lavoro comprende inoltre il movimento di uscita dal mercato da parte di lavoratori che hanno raggiunto l'età della pensione o si ammalano o muoiono, e quello di entrata nel mercato da parte di nuove forze di lavoro. § Il lavoro , o lavoro in affitto, è caratterizzato da un rapporto trilaterale: una società fornitrice assume prestatori di lavoro temporaneo con un contratto particolare e li pone a disposizione di imprese utilizzatrici che abbiano necessità di soddisfare particolari e temporanee esigenze. § Il telelavoro è una forma organizzativa che rivede i principi cardine della prestazione lavorativa e che consiste nel lavorare a casa con l'ausilio delle più avanzate tecnologie (computer, software, modem, Internet, posta elettronica). Nel 1999, in Italia, è stato varato dal Consiglio dei ministri un regolamento che disciplina il telelavoro nel pubblico impiego. L'innovazione, volta a consentire un notevole risparmio di risorse economiche e umane, dovrà essere concordata con le organizzazioni sindacali.
Religione
Nella Bibbia, il lavoro è giudicato spiritualmente negativo (Ecclesiastico 38,24-34), perché non dà all'uomo la possibilità d'innalzarsi alla meditazione delle cose divine, occupandolo per intero nell'esecuzione di opere materiali. Una migliore valutazione del lavoro si ha nei Vangeli: San Luca proclama che “l'operaio è degno della sua mercede” (10,7) e San Paolo incalza: “Chi non vuol lavorare non mangi” (II Epistola ai Tessalonicesi 3,7-13); San Giacomo sostiene che “la mercede frodata all'operaio grida vendetta al cospetto di Dio” (Epistola 5,4). Nei primi Padri del cristianesimo, sulla linea del pensiero giovanneo (Vangelo di Giovanni 6,27) il lavoro acquista un preciso significato teologico come mezzo di riscatto e di perdono e strumento di elevazione morale. In questo senso, i Padri condannarono il lavoro che poteva avere conseguenze immorali. In questa visione il lavoro diventa norma di ascesi nella pratica monastica sia in Oriente sia in Occidente e San Benedetto sintetizza il concetto nella formula “Ora et labora”. Se da una parte gli scrittori ecclesiastici accettano la divisione della società in classi, dall'altra, davanti a evidenti e gravi abusi, intervengono a condannare le forme più gravi di sfruttamento e raccomandano l'emancipazione degli schiavi. Nel Medioevo, papa Gregorio Magno ricordò ai padroni che essi dovevano considerarsi procuratores pauperum et dispensatores Dei, ma le sue parole caddero in un terreno sterile. La Chiesa trovò particolarmente congeniali al suo pensiero sul lavoro le corporazioni medievali, quale sintesi fra l'opera manuale e la solidarietà umana. La solidarietà però era limitata al gruppo di una stessa “arte” e nello stesso gruppo aveva mortificanti limiti nella gerarchia che vi si istituiva. In tempi moderni, davanti alla “questione sociale” sorta dai nuovi rapporti di lavoro nella società industriale, la Chiesa ha precisato il suo pensiero sociale nell'enciclica Rerum Novarum (1891) di papa Leone XIII e nella Quadragesimo Anno (1931) di Pio XI e in altri atti ufficiali, fino al Concilio Vaticano II, che testimoniano la preminenza del lavoro sul capitale. Questa dottrina ha trovato la sua più completa espressione nel documento Gaudium et spes (1965) del Concilio Vaticano II: “Il lavoro ... è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, perché procede direttamente dall'uomo, che con esso si perfeziona, prolunga l'opera della divina creazione, lo associa all'opera redentiva di Cristo e ha un esempio in Gesù, che ha lavorato con le proprie mani”. Con il pontificato di Giovanni Paolo II (1978) la dottrina sociale della Chiesa cattolica ha trovato rinnovato vigore, sostenuta dalla pubblicazione di due nuove importanti encicliche: la Laborem Exercens (1981) e la Centesimus Annus (1991), quest'ultima esplicitamente richiamantesi alla Rerum Novarum. Ponendosi dal punto di vista delle grandi trasformazioni economico-sociali apertosi con l'avvento dell'epoca postmoderna, in particolare la Chiesa cattolica, dopo la caduta dei regimi comunisti dell'Europa orientale e la crisi della visione del mondo del lavoro a essi collegata, si preoccupa, senza mai costituirsi in una ideologia politico-economica, di indicare i percorsi attraverso i quali il sistema di “economia libera”, di “economia d'impresa” o di “economia di mercato”, coniugando assetto capitalista e democrazia politica, possa diventare occasione di sviluppo per i Paesi già industrializzati e per quelli che ancora vedono le proprie popolazioni lottare per il soddisfacimento dei bisogni più elementari. Tra le condizioni principali perché ciò accada, si segnalano un solido contesto giuridico a sostegno della libertà umana, l'impegno per una maggiore educazione, la sconfitta delle emarginazioni dei soggetti sociali più deboli, la compatibilità con le risorse, un corretto rapporto tra Stato e società civile, fondato soprattutto sul principio di sussidiarietà (per il quale “una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze”) e sul rifiuto di quell'atteggiamento dello Stato assistenziale che “intervenendo direttamente, deresponsabilizzando la società, provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti”.
Sociologia
Nella moderna cultura sociale dell'Occidente, il lavoro riveste un significato cruciale. Esso rende l'uomo “creatore”, in quanto produttore di beni materiali o di opere dell'ingegno, secondo una linea di pensiero che – negando il carattere servile attribuito al lavoro dall'antichità classica e la visione del lavoro come espiazione, propria del primo cristianesimo – ne afferma la positività e la centralità sociale. Nell'etica protestante – magistralmente indagata da M. Weber – il lavoro si contrappone all'ozio e alla dissolutezza, connotando la dignità dell'uomo e aprendo la strada alla valorizzazione della figura dell'imprenditore (organizzatore e produttore di lavoro) come simbolo della modernità. Alle origini della società industriale borghese, J. Locke e A. Smith collegano lavoro, diritto di proprietà e attribuzione di valore economicamente misurabile agli oggetti, mentre nel senso comune l'operosità dell'artigiano e più tardi del salariato acquista un primato morale destinato a riflettersi nel pensiero politico e sociale dell'Ottocento. Per K. Marx l'umanità si realizza pienamente soltanto nel lavoro e l'esproprio della ricchezza perpetrato dal sistema di produzione capitalistico ai danni della forza lavoro salariata (prelievo di plusvalore) rende legittimo e storicamente necessario un movimento rivoluzionario per la riappropriazione della ricchezza e, con essa, della dignità dei produttori per il superamento della divisione sociale del lavoro. Pur restringendo impropriamente la nozione di attività produttiva, K. Marx ha perciò il merito di inaugurare una riflessione fondamentale per le società industriali come quella sulla divisione sociale del lavoro. Divisione basata sulla specializzazione delle mansioni, sulla gerarchia di fabbrica, sulla separazione fra produzione manuale e intellettuale, che costituisce per i marxisti la principale causa del sistema delle diseguaglianze nella società capitalistica industriale. Agli inizi del sec. XX, anche É. Durkheim approfondisce l'analisi della divisione del lavoro, assumendola però come un'essenziale caratteristica strutturale delle società complesse. A essa si deve lo sviluppo di quella solidarietà organica fra individui che rappresenta il superamento della solidarietà meccanica operante nei gruppi umani tecnologicamente arretrati e fondata sulla legge del clan e sul comunitarismo tribale. Coerentemente, Durkheim finisce per considerare il conflitto industriale (la lotta di classe di Marx) come una sorta di patologia delle società evolute, espressione dell'anomia sociale. Più o meno nello stesso periodo, F. W. Taylor, con i suoi Principles of Scientific Management, trasferiva il dibattito teorico sul piano – denso di immediate implicazioni pratiche (lavoro a catena) – dell'analisi dei sistemi produttivi, delle loro tecnologie e delle condizioni di massimo rendimento della forza lavoro. L'approccio tayloristico sarà alla base degli sviluppi – anche critici rispetto al modello originario – conseguiti dalle ricerche di sociologi e psicologi che si dedicheranno all'analisi dell'organizzazione scientifica del lavoro (scuola delle industrial relations). Muovendo dalle indagini pionieristiche degli anni Venti e Trenta (celebre quella diretta da E. Mayo sui lavoratori della Western Electric Co. di Hawthorne, USA), la nascente sociologia industriale sviluppa importanti ricerche sulla frammentazione del ciclo produttivo, sulle dinamiche dell'impresa e sull'influenza delle strutture organizzative. All'importanza dei gruppi informali e al ruolo della leadership nel sistema di fabbrica dedicano importanti ricerche i francesi G. Friedmann e P. Naville. Gli sviluppi dell'automazione e i suoi sconvolgenti effetti sull'organizzazione produttiva, sui suoi profili tecnici e sulla stessa qualità del lavoro industriale hanno appassionato la generazione più recente di studiosi dei fenomeni sociali sin dagli anni Settanta. La rivoluzione tecnologica prodotta dall'informatizzazione, dal decentramento produttivo e dalla capillare applicazione della microelettronica si accompagna, infatti, a processi sociali di enorme rilevanza collettiva, dalla crescita dell'occupazione femminile al declino del tradizionale sistema di fabbrica, dalla crisi di rappresentatività delle vecchie strutture sindacali alla perdita di quella centralità del lavoro nell'esperienza individuale e collettiva che alimentava estesi sistemi di identità e di aspettative; vedi anche qualità.
Meccanica: generalità
Il lavoro di una forza costante F, applicata a un punto materiale che subisce uno spostamento s nella stessa direzione della forza, è la grandezza scalare L uguale al prodotto dell'intensità F della forza per il modulo s dello spostamento: L=Fs; se la direzione della forza non coincide con la direzione dello spostamento, il lavoro L è definito dal prodotto del modulo F della forza per il modulo s´ della proiezione dello spostamento s lungo la direzione della forza: L=Fs´ o, ciò che è lo stesso, dal prodotto del modulo F´ della proiezione della forza F lungo la direzione dello spostamento s per il modulo s dello spostamento stesso: L=F´s. Più sinteticamente il lavoro della forza F costante lungo lo spostamento s è il prodotto scalare della forza per lo spostamento: L=F×s. In generale, se la direzione della forza F e quella dello spostamento s subito dal suo punto di applicazione formano un angolo acuto o nullo, si dice per convenzione che il lavoro è positivo o motore; se invece l'angolo è ottuso o piatto si dice che il lavoro è negativo o resistente; se l'angolo è retto il lavoro è nullo. L'unità di misura del lavoro nel Sistema Internazionale (SI) è il joule /per altre unità di misura, vedi misura). Se lo spostamento ds è infinitesimo, si definisce lavoro infinitesimo o lavoro elementare della forza F il prodotto scalare della forza per lo spostamento infinitesimo:
.
Se F è una forza qualunque, in generale non costante, applicata a un punto P e G la traiettoria percorsa dal punto P, con estremi A e B, si definisce lavoro della forza F da A a B lungo la linea G la somma dei lavori elementari della forza F per gli spostamenti infinitesimi ds compiuti da P, cioè:
dove l'integrale curvilineo è esteso a tutta la linea da A a B. Poiché lo spostamento elementare è ds=vdt, dove v è la velocità del punto P, se si conosce il moto di P, il calcolo del lavoro corrispondente a un cammino finito può essere eseguito integrando rispetto al tempo fra gli istanti tAe tB corrispondenti alle posizioni iniziali e finali di P:
In generale, il lavoro dipende dalla traiettoria percorsa; se però la forza F è conservativa (vedi campo) il lavoro dipende soltanto dalla posizione iniziale e finale del punto P ed è uguale alla differenza dei valori assunti dal potenziale della forza in tali punti: L=UB-UA, con F=grad U. § Lavoro nominale, lavoro elementare eseguito da una forza, o da un insieme di forze, per uno spostamento infinitesimo, compatibile o non compatibile con i vincoli cui è sottoposto il sistema sul quale agisce la forza.
Meccanica: il lavoro virtuale
Considerato un sistema formato da N punti mobili P1, P2,..., Pn, con vincoli indipendenti dal tempo, soggetto alle forze F1, F2,..., Fn, applicate in P1, P2,..., Pn, se a esso viene imposto uno spostamento virtuale, cioè infinitesimo e conforme ai vincoli, il lavoro virtuale delle forze è
dove δPi indica lo spostamento subito dal generico punto Pi. Il lavoro virtuale non deve essere confuso con il lavoro elementare, la cui definizione è formalmente analoga; perciò si usa il simbolo differenziale δ, diverso da quello utilizzato per esprimere il lavoro elementare:quest'ultimo è legato all'effettivo moto dei punti del sistema, mentre quello virtuale viene riferito a uno spostamento geometrico, che spesso è puramente ipotetico.
Meccanica: il principio dei lavori virtuali
Secondo il principio dei lavori virtuali, condizione necessaria e sufficiente per l'equilibrio di un sistema, soggetto a vincoli lisci, è che il lavoro delle forze attive, per ogni spostamento virtuale, non sia mai positivo; in particolare per spostamenti reversibili, tale lavoro deve essere nullo. Questo principio può essere espresso in modo intuitivo nel seguente modo: non viene prodotto nessun moto, se le forze attive non possono compiere lavoro positivo. In simboli: δL≤0 (relazione simbolica della statica), valida per ogni spostamento virtuale; δL=0 (equazione simbolica della statica), valida per spostamenti reversibili. Il principio dei lavori virtuali, che si trova già in germe nell'opera di Aristotele, si è sviluppato e chiarito attraverso i lavori di Giordano Nemorario, Stevino, Galileo, Torricelli, Cartesio, Wallis, raggiungendo l'attuale formulazione per opera di J. Bernoulli; esso costituisce, dopo gli studi di Lagrange, il cardine di tutta la meccanica. In particolare, tale principio consente importanti applicazioni sia ai sistemi rigidi (isostatici) sia a quelli elastici (iperstatici), portando alla determinazione, nei primi, del valore delle reazioni esterne e, nei secondi, di quello delle reazioni iperstatiche o degli spostamenti elastici. Nei sistemi rigidi, scelto ad arbitrio un insieme di spostamenti virtuali compatibili con i vincoli e posta uguale a zero la somma dei lavori virtuali compiuti dalle forze agenti, si ricaverà il valore dell'eventuale reazione incognita dalla risoluzione di tale equazione; in quelli elastici, invece, scelto un insieme equilibrato di forze fittizie e uguagliati a zero i lavori virtuali, si otterrà la reazione iperstatica o lo spostamento incognitoincognito.
Meccanica: il lavoro di deformazione
Nel caso di un solido perfettamente elastico, di vincoli privi di attrito e di applicazione statica delle forze, il lavoro viene speso totalmente per deformare il corpo, trasformandosi in energia potenziale elastica di deformazione, che verrà poi resa, nuovamente sotto forma di lavoro, quando il corpo riprenderà la sua forma iniziale. Detto lavoro esterno il lavoro compiuto dalle forze esterne per lo spostamento del loro punto di applicazione e lavoro interno il lavoro compiuto dalle corrispondenti tensioni interne per la deformazione, tali lavori saranno equivalenti: Le=Li.
Bibliografia
C. Mortati, Sindacati e partiti, Roma, 1952; C. Smuraglia, La Costituzione e il sistema del diritto del lavoro, Milano, 1958; G. Pera, I problemi costituzionali del diritto sindacale italiano, Milano, 1960; R. Scognamiglio, Codice di diritto del lavoro, Bologna, 1973; G. Ancona, Migrazioni mediterranee e mercato del lavoro, Bari, 1990.