Lessico

sm. inv. [sec. XIX; dalla loc. latina (convocatio ad) referendum, (convocazione per) riferire].

1) Consultazione popolare diretta, svolta nei modi previsti dalla legge, su singole questioni di interesse nazionale: referendum per decidere fra monarchia e repubblica.

2) Metodo di rilevazione statistica, usato specialmente nelle indagini sull'opinione pubblica e nelle ricerche di mercato.

Diritto: generalità

La Costituzione italiana contempla tre casi di referendum: il referendum costituzionale (art. 138); il referendum abrogativo (art. 75); il referendum per la modificazione territoriale delle Regioni (art. 132). Le norme su tutti i referendum sono contenute nella legge 25 maggio 1970, n. 352.

Diritto: referendum costituzionale

La Costituzione prevede che possano essere sottoposte a referendum le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali entro tre mesi dalla loro pubblicazione quando ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o 500.000 elettori o cinque Consigli regionali. Quando una legge è sottoposta a referendum non può essere promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non può però essere sottoposta a referendum la legge che nella seconda votazione sia stata approvata da ciascuna delle Camere con una maggioranza di due terzi dei suoi componenti. Non è ammesso nella nostra Costituzione il referendum istituzionale, ossia quello che ha per oggetto la forma repubblicana (art. 139).

Diritto: referendum abrogativo

L'art. 75 della Costituzione prevede che, quando lo richiedano 500.000 elettori o cinque Consigli regionali, possa essere indetto referendum popolare per decidere sull'abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente forza di legge (decreto legge o decreto legislativo). Non è però ammesso il referendum abrogativo in materia tributaria e di bilancio, per le leggi di amnistia e d'indulto o di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Alla votazione deve partecipare la maggioranza degli aventi diritto al voto e deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Hanno diritto di votare tutti i cittadini che sono chiamati a eleggere la Camera dei Deputati, ossia i cittadini che hanno compiuto il diciottesimo anno di età.

Diritto: referendum per la modifica territoriale delle Regioni

L'art. 132 della Costituzione prevede che, con legge costituzionale e sentiti i Consigli regionali, si possa stabilire la fusione di Regioni o la costituzione di nuove Regioni che abbiano almeno un milione di abitanti, quando ne fanno richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni che sono a ciò interessate. La proposta deve essere approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni. Con legge dello Stato, previo referendum e sentiti i Consigli regionali, si può consentire che siano staccati da una Regione, per essere aggregati a un'altra, Province o Comuni che ne facciano richiesta.

Cenni storici: generalità

L'importanza dell'istituto del referendum nel contesto istituzionale di uno Stato è data soprattutto dal fatto di essere un istituto gestito a democrazia diretta, amministrato cioè da tutti i cittadini con partecipazione diretta e non tramite i propri rappresentanti. È un segno di maturità politica e democratica di tutto un popolo ed è quindi logico trovarlo presente nelle Costituzioni di più schietta impronta democratica: nella Federazione Svizzera il referendum è di uso frequente e nei Cantoni minori (Appenzell, Glarona, Obwalden, ecc.) si può dire che costituisca il mezzo normale per l'esercizio del pubblico potere; in alcuni Stati degli USA interviene il referendum (recall) anche per la nomina di funzionari del potere esecutivo e di quello giudiziario mentre in altri (la maggioranza) il ricorso al referendum si limita all'ambito legislativo e non è previsto in campo federativo. Proprio il caso degli Stati Uniti si presta a una considerazione: la sua Costituzione è stata fra le prime a presentare una matrice democratica e questa è ben ravvisabile nelle istituzioni conservatesi nei singoli Stati, ma a livello federale la netta prevalenza del potere esecutivo ha bloccato questo processo di democratizzazione degli istituti dando a volte origine ad aperti contrasti con i rappresentanti del Congresso. Grande importanza politica ebbe il referendum in Francia, dove ha costituito la chiave di volta nei momenti cruciali della sua storia politica in tutto il sec. XIX e nel XX: per riferirci solo ai più recenti, il referendum ha visto il popolo francese rigettare la proposta dei suoi dirigenti politici di ritornare nel 1945 al modello costituzionale della III Repubblica; nel 1946 bocciò anche il modello di nuova Costituzione preparato e approvò solo il secondo (13 ottobre 1946); nel 1958 il progetto costituzionale presentato da De Gaulle per la IV Repubblica fu approvato con referendum e nel 1968 fu ancora un referendum che convinse lo stesso De Gaulle a lasciare la presidenza della Repubblica. In Germania il referendum fu introdotto dalla Repubblica di Weimar (1919) e in Spagna dalla Repubblica nel 1931. Oggi prevedono il ricorso al referendum la Danimarca, l'Irlanda, la Germania (ma solo per nuove divisioni dei Länder), l'Islanda (solo per modifiche allo Statuto della Chiesa nazionale), l'Austria, l'Australia.

Cenni storici: Italia

In Italia l'istituto del referendum è stato introdotto nel 1946 quando i cittadini furono chiamati a scegliere fra monarchia e repubblica. In quella stessa occasione fu eletta l'Assemblea Costituente che preparò il testo della nuova Costituzione, nella quale il referendum è riconosciuto come istituto di democrazia diretta in materia costituzionale e legislativa e per nuove divisioni o fondazioni di Regioni. Con il primo referendum del 1946 l'Italia chiuse definitivamente con il regime monarchico, che nell'ultimo periodo si era inquinato largamente per colpevoli connivenze con il fascismo, e con la scelta della forma repubblicana si avviò sulla strada della democrazia. Importante per i suoi riflessi sociali fu il referendum sul divorzio (1974), che vide la maggioranza degli elettori schierati a difesa della libertà dei coniugi di decidere se continuare o rompere la loro unione. Nel 1981 gli italiani sono stati chiamati a esprimersi sul tema dell’aborto, mostrandosi in larga maggioranza contrari all’abrogazione della norma che consente l’interruzione volontaria di gravidanza. Successivamente sono stati sottoposti al corpo elettorale numerosi altri referendum abrogativi (da ricordare per la particolare importanza quello che, tra i diversi referendum su cui è stata chiamata a esprimersi la popolazione nel 1993, ha determinato una revisione della legge elettorale). Nel 1995 gli elettori si sono espressi su ben 12 quesiti referendari, i più importanti dei quali riguardavano la regolamentazione del sistema radiotelevisivo. Non sono state eliminate le norme della legge Mammì che consentono a un privato di avere più di una concessione televisiva in ambito nazionale, al contrario è stata abrogata quella parte della stessa legge che assegna il controllo della RAI allo Stato. Nel 1997 agli italiani sono stati sottoposti 7 quesiti referendari relati a temi quali l’abolizione dei poteri speciali riservati al Ministero del Tesoro nelle aziende privatizzate; l’abolizione dei limiti per essere ammessi al servizio civile in luogo del servizio militare; l’abolizione della possibilità per i cacciatori di entrare liberamente nei fondi altrui; l’abolizione del sistema di progressione delle carriere dei magistrati; l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti; l’abolizione della possibilità per i magistrati di assumere incarichi al di fuori delle loro attività giudiziarie; e l’abolizione del Ministero delle Risorse agricole, alimentari e forestali. Il referendum falliva il proprio scopo per il mancato raggiungimento del quorum. Stessa sorte toccava al referendum indetto nel 1999 per abolire la quota proporzionale nelle elezioni della Camera dei Deputati. Altri sette quesiti referendari venivano sottoposti al giudizio del popolo italiano nel 2000, in materia di eliminazione del rimborso spese per le consultazioni elettorali o referendarie; eliminazione della quota proporzionale nell’elezione della Camera dei Deputati; abolizione del voto di lista per l’elezione dei membri togati del CSM; separazione della carriera di pubblico ministero da quella da giudice; abolizione della possibilità per i magistrati di assumere incarichi che esulano dalle loro attività giudiziarie;  abrogazione dell’Articolo 18 dello Statuto del Lavoratori; abrogazione della possibilità di trattenere dalla busta paga o dalla pensione la quota di adesione volontaria a un sindacato o a un’associazione di categoria attraverso patronato. Anche in questo caso il quorum non veniva raggiunto. Nel 2003 si è svolto il referendum per la reintegrazione dei lavoratori illegittimamente licenziati, ma anche questa volta la consultazione referendaria non raggiungeva il quorum. Nel 2005 gli italiani sono stati chiamati a esprimersi in merito alla procreazione assistita. Il referendum, proposto dai Radicali, aveva esito negativo per mancato raggiungimento del quorum. Nel 2009 si è svolto il referendum per apportare modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, senza raggiungere il quorum. Raggiungeva invece il quorum e aveva esito positivo il referendum abrogativo del 2011 relativo alla modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici e locali di rilevanza economica; alla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito; all’abrogazione delle norme che consentono la prodizione di energia elettrica nucleare nel territorio nazionale; all’abrogazione della legge sul legittimo impedimento per le alte cariche dello Stato.
Un primo caso di referendum sulle leggi costituzionali si è avuto nel 2001, quando i cittadini sono stati chiamati a votare su una legge che conferiva maggiori poteri agli enti locali (il 64% dei votanti si è espresso a favore della legge): la consultazione si era resa necessaria dato che la legge costituzionale era stata approvata dal Parlamento con una maggioranza inferiore ai due terzi. In sintesi, il referendum si è rivelato un istituto positivo come esercizio di potere decisionale e come salvaguardia delle libertà civili e democratiche, nonché come controllo da parte dei cittadini dei propri rappresentanti al potere esecutivo e legislativo. Un altro referendum costituzionale ha avuto luogo nel 2006 per la modifica della parte seconda della Costituzione, che si è concluso con la prevalenza dei No con il 61,29% dei voti. Gli italiani sono stati chiamati a esprimersi in merito alla Costituzione anche nel 2016, quando si è svolto il referendum, fortemente voluto dall’allora premier Matteo Renzi, sulle disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di finanziamento alle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V. Il referendum ha visto la vittoria del No con il 59,12% dei voti. Un nuovo referendum costituzionale che prevede la modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari era previsto per il 29 marzo 2020, ma è stato rimandato a data da destinarsi a causa dell’esplosione della pandemia di Covid-19.

 

Bibliografia

V. Crisafulli, Norme regionali e norme statali in materia di referendum, in “Riv. amm.”, 457, 1955; C. Mortati, Significato del referendum, in “Rass. parl.”, 60, 1960; P. Virga, Diritto costituzionale, Milano, 1971; G. M. Salerno, Referendum, Padova, 1992.

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