Sin
dio-Luna della religione mesopotamica. Il nome Sin è babilonese e corrisponde al Suin assiro: entrambi derivano dal sumeroSuen (Nanna Suen); altra denominazione sumera del dio-Luna era Sheshki. Era considerato figlio di Anu o di Enlil, gli dei più potenti; sua sposa era Ningal (o Nikkal), suoi figli erano Shamash (Šamaš), il dio-Sole, e Ishtar, la dea-Venere. L'anzianità del dio-Luna rispetto al dio-Sole sta a significare la superiorità del primo sul secondo o la fondamentalità del ritmo cosmico lunare rispetto al ritmo cosmico solare. Certo è che quale “misuratore” o “definitore” del tempo veniva assunto Sin e non Shamash. Forse proprio per tale funzione, Sin godeva di attributi regali: la stele di Ur-Nammu (Museo di Filadelfia) lo raffigura mentre offre a un re una corda di misura; sta assiso sul trono, sul capo porta una tiara con quattro paia di corna sormontata dal crescente lunare, ha uno scettro e un bastone nella destra e un'ascia nella sinistra. I re della città di Ur lo consideravano loro capostipite; ciò è significativo in quanto in Ur Sin aveva la sua sede originaria; il nome del suo tempio in Ur era Ekishnugal. La sovranità di Sin è quella di un capo che guida la sua gente in viaggio; ma si tratta di un viaggio nel tempo, anziché nello spazio: è la luna che orienta gli uomini nel trascorrere del tempo, fornendo loro punti di riferimento precisi (i mesi: Sin era il dio del mese). Ciò spiega come il crescente lunare, il simbolo di Sin, fosse interpretabile anche come una barca: un mezzo per viaggiare, dalla forma simile alla falce lunare. Sulla qualità e sulle condizioni del “viaggio” Sin ragguaglia di volta in volta gli uomini che traggono presagi dal suo modo di mostrarsi nelle varie fasi. L'eclissi lunare è intesa come un momento di crisi, ma anche come il momento in cui gli dei interrogano Sin, e Sin dà loro consigli, secondo quel che dice un inno babilonese. Il numero trenta, corrispondente ai giorni di una lunazione o, più precisamente del mese mesopotamico, è quello che designava Sin.