Ishtar o Ištar
(sumerico Innin o Ininn o Ininni o Inanna). La dea più importante del pantheon mesopotamico, l'unica autonoma, mentre le altre figurano solo come spose di divinità maschili; è la “dea” per antonomasia, il plurale del suo nome significa semplicemente “dee”. Era messa in rapporto, anche d'identificazione, con il pianeta Venere, la cui rappresentazione stilizzata (una stella a otto punte) ne costituiva il simbolo. I suoi caratteri dominanti sono quelli di una “signora della battaglia” e di dea dell'amore (per questo aspetto trova continuità nella greca Afrodite e nella romana Venere). Come dea guerriera appare caratterizzata da una furia distruttrice: è una “leonessa”, e il leone è appunto il suo animale sacro; soprattutto presso gli Assiri era venerata per le sue qualità guerresche. A Ishtar, quale dea dell'amore, prestavano un tipico servizio nei suoi templi le cosiddette prostitute sacre; erano una specie di sacerdotesse che si prostituivano a vantaggio del tempio. Senza Ishtar non ci sarebbe desiderio erotico: racconta il mito che quando la dea scomparve dalla faccia della Terra per recarsi agli inferi, né uomini né animali si accoppiarono più. Ishtar appare come amante del dio Tammūz (sumerico Dumuzi), a cui causa la morte, e per cui, poi, promuove le lamentazioni, che sono un tratto fondamentale del culto di questo dio. Ishtar s'invaghisce anche dell'eroe Gilgamesh che, tuttavia, la disdegna e le rinfaccia la volubilità amorosa. Ishtar troverà continuazione nelle religioni dei Fenici e di altri popoli semitici con il nome di Astarte. § È raffigurata in lunga veste, come dea della fecondità agreste, con ciuffi di canne e spighe di grano che le spuntano dalle spalle, e, in seguito, anche come dea guerriera, spesso con il suo compagno Tammūz. In periodo babilonese la dea appare anche nuda, secondo la più antica iconografia fenicia di Astarte. Nei rilievi e sigilli assiri è armata e accompagnata sempre dal suo simbolo astrale, la stella a otto punte.