Michelàngelo Buonarròti
IndiceDagli esordi al David
Pittore, scultore, architetto e poeta italiano (Caprese 1475-Roma 1564). Avviato dal padre Ludovico agli studi umanistici, avendo precocemente manifestato una vivissima disposizione all'arte, fu nel 1488 messo a bottega a Firenze presso il Ghirlandaio, ma preferì frequentare la libera “accademia” degli Orti medicei in S. Marco, dove cominciò a studiare la statuaria antica sotto la guida dell'ultimo allievo di Donatello, Bertoldo di Giovanni. La sua già notevole abilità lo segnalò a Lorenzo il Magnifico, che lo accolse nella sua cerchia di artisti, letterati e filosofi, dove Michelangelo assorbì quelle dottrine neoplatoniche che restarono una delle componenti essenziali della sua cultura. Lo studio della grande tradizione fiorentina (i primi disegni sono copie da Giotto e Masaccio) e l'appassionato interesse per la classicità sono le componenti fondamentali delle prime opere scultoree di Michelangelo, evidenti nel disinvolto e originale uso dello stiacciato donatelliano della Madonna della Scala e nel risentito plasticismo della Battaglia dei Centauri (1490-92; ambedue a Firenze, casa Buonarroti). La crisi dell'umanesimo fiorentino, seguita alla predicazione del Savonarola e alla morte di Lorenzo, turbò profondamente Michelangelo (è di questo momento il poetico Crocifisso ligneo, dal modellato delicatissimo, per il convento di S. Spirito, riscoperto nel 1962 e ora a Casa Buonarroti), che, dopo l'ingresso in città delle truppe di Carlo VIII, lasciò Firenze, trasferendosi nel 1494 a Bologna (dove le figure scolpite per l'arca di S. Domenico, S. Petronio, S. Procolo, un Angelo, testimoniano dell'attenzione con cui egli guardò ai rilievi di Iacopo della Quercia nel portale di S. Petronio) e nel 1496 a Roma. Qui il giovanissimo artista si impose all'attenzione dei contemporanei con la squisita, sensuale evocazione classicista del Bacco (Firenze, Museo Nazionale del Bargello) e con l'intensa e poeticamente trasfigurata in S. Pietro, prima redazione di un tema su cui Michelangelo doveva ritornare lungo tutto l'arco della sua attività e annuncio di quella meditazione sulla morte che ne sarebbe diventato un costante nucleo ispiratore. Di poco posteriore, e vicinissima stilisticamente per l'estrema finezza esecutiva, è la Madonna col Bambino in Notre-Dame a Bruges, dolce e composta, quasi diversa versione dello stesso tema madre-figlio svolto con toccante patetismo nella Pietà romana. Rientrato a Firenze nel 1501, Michelangelo affermò pienamente la sua personalità in un nutrito numero di opere fondamentali: il Tondo Pitti (Firenze, Museo Nazionale del Bargello) e il Tondo Taddei (Londra, Royal Academy) mostrano nel vibrante modellato una libera interpretazione dei modi compositivi e stilistici di Leonardo, a fianco del quale Michelangelo operò per la decorazione ad affresco del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, realizzando il cartone per la Battaglia di Cascina (perduto). Da questi interessi scaturì il primo capolavoro pittorico, la Sacra famiglia detta Tondo Doni (ca. 1504, Firenze, Uffizi), altissimo esercizio di stile, che non a caso divenne, insieme alla Battaglia di Cascina, uno dei testi più studiati dai primi manieristi fiorentini. In queste opere pittoriche (su altri dipinti su tavola – come la Madonna di Manchester e la Deposizione, entrambe alla National Gallery di Londra – i pareri della critica sono tuttora discordi) Michelangelo pare contrapporsi polemicamente a Leonardo, forzando orgogliosamente gli schemi formali, sottolineando la linea dinamica del contorno, rinnegando nell'esaltazione metallica del colore il valore dello sfumato leonardesco. Ma l'opera più celebre di questo momento resta il David marmoreo (Firenze, Galleria dell'Accademia), che venne collocato davanti a Palazzo Vecchio come orgoglioso simbolo della libertà della Repubblica fiorentina, e insieme incarnazione dell'ideale rinascimentale dell'uomo autocosciente, padrone di sé e del proprio destino. Sono ancora di questo periodo le statue per l'altare Piccolomini nel Duomo di Siena (S. Paolo, S. Pietro, S. Pio, archetipi dei corruschi profeti della Sistina) e l'incompiuto S. Matteo (Firenze, Galleria dell'Accademia), unica realizzata delle 12 statue di Apostoli commissionate a Michelangelo dall'Opera di S. Maria del Fiore.
Michelangelo Buonarroti.
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Michelangelo Buonarroti. La Pietà (Roma, S. Pietro).
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Michelangelo Buonarroti. Tondo Pitti (Firenze, Museo Nazionale del Bargello).
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Michelangelo Buonarroti. Tondo Doni (Firenze, Uffizi).
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Michelangelo Buonarroti. David (Firenze, Galleria dell'Accademia).
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Michelangelo Buonarroti. Mosè, figura mediana del monumento funebre a Giulio II (Roma, S. Pietro in Vincoli).
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Michelangelo Buonarroti. Una delle quattro statue Prigioni (Firenze, Galleria dell'Accademia).
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Michelangelo Buonarroti. La tomba di Giuliano de'Medici all'interno della Sacrestia Nuova di S. Lorenzo a Firenze.
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Michelangelo Buonarroti. Lorenzo de'Medici (Firenze, Sacrestia Nuova di S. Lorenzo).
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Michelangelo Buonarroti. Pietà (Firenze, duomo).
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La “tragedia della sepoltura”
Nel 1505 papa Giulio II commissionava a Michelangelo il progetto del proprio monumento funebre da erigersi in S. Pietro, dando così inizio a quella “tragedia della sepoltura” – come la chiamò lo stesso artista – che quasi simbolicamente accompagnò gran parte della sua attività: dal primo grandioso progetto (per il quale Michelangelo in persona si recò per otto mesi a Carrara a cavare i marmi) accantonato nel 1506 dal pontefice, tutto preso dalla costruzione della nuova S. Pietro, al secondo, pensato nel 1513, alla morte di Giulio II – per il quale furono realizzati, in tre anni, le due figure di Schiavi (Parigi, Louvre) e il superbo Mosè (Roma, S. Pietro in Vincoli), cui si aggiunsero più tardi i quattro Prigioni (Firenze, Galleria dell'Accademia), drammaticamente emergenti dalla materia rude che li rinserra –, fino all'ultima versione (1545, S. Pietro in Vincoli), in gran parte realizzata da aiuti, pallido e ormai stanco riflesso della grande immaginazione originaria. Il contrasto tra il pontefice e l'artista sembrò placarsi quando nel 1508 Michelangelo assunse l'incarico di affrescare la volta della Cappella Sistina, compiuta in quattro anni di tenace e solitario lavoro: per superare l'impaccio dell'infelice dimensione architettonica, Michelangelo creò una nuova struttura dipinta, in cui inserì al centro le Storie della Genesi e ai lati le poderose figure dei Profeti, delle Sibille, degli Ignudi, secondo un complesso programma iconografico che, mentre narra il più antico epos della storia dell'umanità, sottintende simbolicamente la vicenda eterna dell'elevazione dello spirito dalla materia alla contemplazione del divino.
I Medici e il Giudizio Universale
L'ascesa al soglio pontificio di un Medici, Leone X, riportò l'attività di Michelangelo a Firenze: la delusione di non veder attuato il suo progetto per la facciata di S. Lorenzo (1516) venne compensata dagli incarichi per la Sacrestia Nuova di S. Lorenzo e per la Biblioteca Laurenziana, iniziate nel 1521-24 e portate avanti a più riprese negli anni successivi. Praticamente agli esordi nel campo architettonico, Michelangelo creò due capolavori, in un linguaggio profondamente nuovo e carico di valenze eversive: se nella Sacrestia Nuova lo spazio brunelleschiano è profondamente alterato da nuovi rapporti proporzionali, da più complesse articolazioni, dalla tensione creata dall'inestricabile rapporto delle strutture con gli interventi scultorei, nel vestibolo della Biblioteca l'euritmia dello spazio rinascimentale è addirittura stravolta e un intero codice linguistico appare sovvertito da un'energia plastica che scaturisce con assoluta libertà. Nel complesso scultoreo della Sacrestia – i due monumenti a Giuliano e Lorenzo de'Medici, con le statue del Giorno e della Notte, dell'Aurora e del Crepuscolo, e la Madonna col Bambino sull'altare – si esprime compiutamente il grande tema michelangiolesco della riflessione dell'uomo sulla vita e sulla morte. La complessità simbolica dell'insieme, che ha il suo fulcro ancora una volta nella statua della Vergine, cui guardano le figure idealizzate dei due Medici, e la superba resa formale, che passa dalla levigatezza estrema dei nudi femminili al rude non-finito di quelli maschili, fanno di quest'opera uno dei massimi esiti della scultura di Michelangelo; essa esprime tutto il suo valore, però, solo nella dimensione architettonica che la accoglie e ne è allo stesso tempo condizionata. Dopo la cacciata dei Medici da Firenze, con la passionalità che gli era propria e che non gli concedeva di rimanere “neutrale”, neanche come artista, Michelangelo, nominato “governatore e procuratore generale sopra alla fabbrica e fortificazione delle mura”, partecipò fino all'ultimo alla difesa della Repubblica, durante l'assedio di Firenze, lasciando tra l'altro una stupenda serie di disegni per le fortificazioni. Dopo la caduta della città, salvato dalle rappresaglie per interessamento di Clemente VII, riprese a lavorare (appartengono a questo periodo il Cristo risorto per la chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma e la Vittoria in Palazzo Vecchio, dal vertiginoso ritmo a spirale, modello per un'intera generazione di scultori manieristi), ma, ormai insofferente dell'ambiente fiorentino, nel 1534, dopo la morte del padre, si trasferì definitivamente a Roma, dove, nello stesso anno, ricevette l'incarico di dipingere nella Cappella Sistina il Giudizio universale sulla parete dell'altare. L'affresco grandioso (1536-41) non solo altera profondamente l'iconografia tradizionale del tema e, nell'abbandono di ogni intelaiatura architettonica, sconvolge il concetto di spazio e di struttura prospettica proprio del Rinascimento, ma ne mette anche in forse le certezze e gli ideali, nella rappresentazione di un'immane catastrofe, di un dies irae che travolge un'umanità sgomenta di fronte a una condanna senza appello. Sulla genesi dell'opera influirono sicuramente i contatti che Michelangelo aveva allora, per il tramite di Vittoria Colonna, coi circoli spiritualisti romani per la riforma della Chiesa.
L'impegno architettonico degli ultimi anni
L'ultima attività di Michelangelo risulta caratterizzata soprattutto dall'impegno nell'architettura: sono di questi anni la sistemazione urbanistica e monumentale della piazza del Campidoglio, simbolico centro di Roma; la trasformazione di parte delle terme di Diocleziano nella Basilica di S. Maria degli Angeli; i progetti per Porta Pia e per la Cappella Sforza in S. Maria Maggiore; il completamento di palazzo Farnese; e soprattutto il nuovo progetto per S. Pietro, pensato da Michelangelo, in ripresa della pianta centrale di Bramante, come un colossale organismo plastico culminante nella grande cupola che – terminata dopo la morte dell'artista – riuscì non solo a dominare le incertezze dei successivi interventi sulla basilica, ma a improntare di sé l'intero panorama urbanistico di Roma. La costante di questa vasta attività architettonica di Michelangelo è il rapporto straordinariamente vitale, dialettico, eterodosso con la romanità, sentita come valore ideale ed eterno, ma fuori da ogni convenzionalismo archeologico, con acuta sensibilità ai significati anche simbolici delle persistenze storiche (si pensi ai due poli, opposti e complementari, della piazza del Campidoglio, centro civile, e di S. Pietro, centro religioso, di una Roma antica ed eterna). È lo stesso rapporto che si trova simbolizzato nello stupendo busto del Bruto (ora al Museo Nazionale del Bargello di Firenze), in cui il tono eroico si fa coscienza morale, riassorbendo in totale contemporaneità il riferimento alla ritrattistica romana. Se le ultime imprese pittoriche (gli affreschi con la Conversione di S. Paolo e il Martirio di S. Pietro nella Cappella Paolina, 1542-50) poco aggiungono alla fama dell'artista, le ultime sculture sono invece tra gli esiti più alti della sua arte: nella Pietà di Palestrina (Firenze, Galleria dell'Accademia), nella Pietà del Duomo di Firenze, e soprattutto nella Pietà Rondanini (Milano, Museo del Castello Sforzesco) – che Michelangelo scolpiva ancora pochi giorni prima di morire – la meditazione sulla morte come liberazione dello spirito dai vincoli terreni raggiunge vette assolute, bruciando ogni residuo concetto di bellezza e compiutezza formale per ottenere il massimo dell'intensità espressiva.
Michelangelo poeta
Dell'animo dell'artista, considerato già dai contemporanei come il più grande esponente del Rinascimento, di cui rappresentò anche la drammatica e tormentata conclusione, sono specchio vivissimo e diretto il Carteggio e i componimenti poetici, le Rime, per le quali è stato sottoposto fin dai tempi suoi, e specialmente in età moderna, al vaglio di una critica a volte troppo benevola, a volte eccessivamente rigida. Si può dire, affrancati dal fascino del personaggio, che “di bello non si possano citare che pochi versi isolati e la quartina della Notte. Il resto è continuamente guasto dalla lotta del pensiero contro la forma che Michelangelo non riesce a dominare” (Momigliano), perché gli mancò “un'adeguata educazione letteraria e una sufficiente disciplina artistica” (Sapegno). Negli ultimi decenni del sec. XX, tuttavia, si è cercato di approfondire la conoscenza della poesia di Michelangelo, analizzandone le fonti culturali (soprattutto il platonismo), precisandone i legami con le precedenti esperienze letterarie, mettendone in luce le peculiarità stilistiche: la “petrosità”, la compattezza del linguaggio, la struttura drammatica del discorso. Di notevole, nelle composizioni di Michelangelo, vi è, in un periodo di imitazione petrarchesca, un frequente allontanarsi da quegli schemi, per avvicinarsi al Berni e qualche volta a Dante e agli stilnovisti. Le Rime constano di ca. 250 composizioni, escluse quelle giovanili, andate distrutte: vanno dal 1503 al 1560. Del periodo 1503-20 ci è pervenuta una decina di componimenti, tra i quali il celebre sonetto caudato sui disagi sopportati nel dipingere la volta della Sistina (“I'ho già fatto un gozzo in questo stento”) e il sonetto sulla Roma corrotta di Giulio II (“Qua si fa elmi, di calici e spade”). I componimenti degli anni dal 1520 al 1534 sono di intensa sperimentazione, oscillando dalla poesia dotta a quella popolare, dal gusto idealizzante a quello realistico. Più compatta la produzione che va dal 1534 al 1547: è il periodo che, nella biografia di Michelangelo, coincide con l'amicizia tenera per il giovane Tomaso Cavalieri e quella devota per Vittoria Colonna. Le poesie di questo periodo sono caratterizzate dal contrasto fra la tensione sensuale e l'empito religioso; la forma preferita è il madrigale: celebre, fra tutti, il madrigale Per qual mordace lima, dedicato alla Colonna. Dal 1547 al 1560 prevalgono nella lirica di Michelangelo i temi della vecchiaia, della stanchezza della vita e della religiosa attesa della morte. Sono di quest'ultimo periodo alcune delle poesie più note, come il sonetto sulla rinuncia alle passioni (Giunto è già 'l corso della vita mia) e la commossa preghiera a Dio perché il prossimo trapasso sia più facile (Carico d'anni e di peccati pieno). Se sulle Rime gravano i limiti dell'occasionalità, dell'opacità del linguaggio, della disparità degli esiti, che solo in alcuni componimenti raggiungono l'estrema concentrazione lirica, più immediato e denso di commozione è il Carteggio, che resta comunque il documento di una personalità di eccezione.
Bibliografia
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