Iàcopo della Quèrcia

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scultore italiano (Siena ca. 1371-1438). Figlio dell'orafo Pietro d'Agnolo di Guarnieri, che probabilmente lo avviò all'arte, trasse il soprannome dal borgo della Quercia Grossa, presso Siena, luogo d'origine della sua famiglia. Scarse sono le notizie sulla sua formazione, nella quale ebbero certo una parte determinante i grandi scultori gotici operosi a Siena e soprattutto Giovanni Pisano. È documentato per la prima volta nel 1401, anno in cui partecipò al concorso fiorentino per la porta del Battistero; ma la formella di Iacopo della Quercia è andata perduta. Il suo primo capolavoro, la Tomba di Ilaria del Carretto (1406-07, Lucca, S. Martino), rivela pienamente la statura dell'artista, capace di rinnovare la linfa dell'estenuata tradizione gotica con forme paragonabili all'austera plastica borgognona di C. Sluter (se il contatto non è documentabile, la consonanza poetica è indubbia) e contemporaneamente di elaborare una visione personalissima del classicismo rinascimentale, che Iacopo della Quercia certamente conosceva nei suoi primi sviluppi fiorentini. L'emozione intensa ma contenuta che emana dalla figura di Ilaria rimanda a una classicità intuita per passione poetica e non per ricerca intellettuale (malgrado il riferimento “archeologico” dei putti che reggono festoni sui lati del sarcofago). Nello stesso spirito si collocano le figure della Fonte Gaia per la piazza del Campo a Siena (1409-19; ora sostituite da copie in loco, essendo i resti degli originali conservati in Palazzo Pubblico) mentre la Pala d'altare della famiglia Trenta (1416-22, Lucca, S. Frediano), al di là dell'esplicita rievocazione di schemi compositivi del gotico fiorito, vive di una vibrante concitazione drammatica, specie nelle storie della predella. Ancora oggi non è facile seguire coerentemente il percorso artistico di Iacopo della Quercia, per la personalità stessa dell'artista, inquieta e complessa (sono noti dalle fonti contrasti coi committenti, denunce per malversazione, ecc.); la vicenda esistenziale si riflette nella mancata o parziale esecuzione di opere di vasto respiro: è il caso dei 12 apostoli commissionatigli nel 1413 per il duomo di Lucca, di cui uno solo (il S. Giovanni) fu realizzato; dei lavori per il fonte battesimale di Siena, progettati fin dal 1417, di cui restano di Iacopo della Quercia solo il pannello bronzeo con la Cacciata di Zaccaria (1430) e i profeti del tabernacolo in marmo (1427). Incompiuto rimase anche l'ultimo capolavoro, la decorazione del portale maggiore di S. Petronio a Bologna, iniziata nel 1425: nei bassorilievi con Storie della Genesi e dell'Infanzia di Cristo le figure sono sbalzate con poderoso senso plastico, in una variante personalissima dello “stiacciato”, tesa a dare il massimo rilievo all'espandersi delle masse in primo piano. Fanno parte del complesso anche le statue a tuttotondo di S. Petronio e S. Ambrogio e la straordinaria Madonna col Bambino. Fu a questi esempi ultimi, a questa umanità primigenia, che guardò il giovane Michelangelo come ai progenitori dei personaggi eroici della Sistina, ponendosi come unico erede dell'esperienza di Iacopo della Quercia, forse la più isolata dell'intero Quattrocento.

Bibliografia

E. Carli, Jacopo della Quercia, Milano, 1952; O. Morisani, Tutta la scultura di Jacopo della Quercia, Milano, 1962; A. Coffin Hanson, Jacopo della Quercia's Fonte Gaia, Oxford, 1965; F. Acerboni, Jacopo della Quercia, Roma, 1983.

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