Cicerone
La vita
Marco Tullio Cicerone (Arpino 106-Formia 43 a.C.) fu un homo novus , cioè proveniente da una famiglia in cui nessun membro aveva mai ricoperto cariche pubbliche.
Gli anni di formazione
Nacque ad Arpino, una cittadina del Lazio vicino alla Campania, da genitori di agiata condizione, appartenenti all'ordine equestre. Studiò a Roma, con il fratello Quinto, nelle migliori scuole di grammatica e di retorica; approfondì l'eloquenza, con maestri quali Licinio Crasso e Marco Antonio, i più grandi oratori del momento, e il diritto. A 16 anni indossò la toga virile; a 17, durante la guerra sociale, militò contro i marsi e i sanniti, agli ordini di Pompeo Strabone, insieme al di lui figlio, il futuro triumviro. Proseguì poi gli studi con il retore Apollonio Molone di Rodi, con il filosofo accademico Filone di Larissa e con lo stoico Diodoto, che visse in casa sua fino alla morte. Esordì a 25 anni sulla scena forense, in un dibattito di diritto privato, con l'orazione Pro Quinctio (81 a.C.); nell'80, con l'orazione Pro Roscio Amerino, difese Sesto Roscio di Ameria dall'accusa di parricidio contro un potente liberto di Silla: una causa decisamente più importante e rischiosa, che egli vinse. Nel 79 a.C. si allontanò da Roma per un viaggio ad Atene, Rodi e in Asia Minore, per motivi di studio e di salute, ma forse anche per sfuggire ai risentimenti del dittatore Silla. Completò la sua formazione con Antioco di Ascalona, Demetrio di Siria e gli epicurei Zenone e Fedro.
Il cursus honorum
Tornato a Roma nel 77, sposò Terenzia, da cui ebbe due figli, e iniziò il cursus honorum come questore a Lilibeo in Sicilia (75): cinque anni dopo difese i siciliani contro Verre, che, per garantirsi un personale arricchimento, aveva governato l'isola tra furti e violenze d'ogni tipo. Difensore di Verre era il riconosciuto principe del foro Quinto Ortensio Ortalo, ma Cicerone raccolse una tale quantità di prove contro l'iniquo amministratore e fu così incisivamente persuasivo che, dopo la prima arringa (Actio prima), Verre se ne andò in volontario esilio. L'Actio secunda, divisa in cinque libri, fu pubblicata successivamente, senza mai essere stata pronunziata. Le Verrine segnano la raggiunta maturità di Cicerone oratore e l'inizio di una popolarità sempre crescente, che lo portò alla carica di edile nel 69, di pretore nel 66, anno in cui pronunziò il suo primo importante discorso politico per il conferimento a Pompeo del comando nella terza campagna militare contro Mitridate, e infine di console nel 63 a.C.
Il consolato
La sua candidatura era stata appoggiata dai cavalieri come dai patrizi, i cui interessi Cicerone si proponeva di conciliare con un programma politico moderato e rispettoso della legalità, sintetizzato nella formula della concordia ordinum (accordo tra i ceti sociali abbienti). Da console si oppose alla politica dei "democratici", facendo naufragare le proposte di distribuzione di terre agli indigenti con le 3 orazioni De lege agraria contra P. Servilium Rullum. Difese poi il senatore Rabirio, accusato di omicidio (Pro Rabirio). Ma soprattutto sventò la congiura di Catilina, un nobile decaduto che, con l'aiuto di ambienti aristocratici corrotti e di proletari indebitati e probabilmente con la protezione di Cesare, era accusato di tentare un rovesciamento dello Stato (in realtà doveva essere solo una manovra antioligarchica). Cicerone pronunciò, in breve tempo, quattro orazioni contro Catilina: denunciò la congiura (I Catilinaria), informò il popolo dell'accaduto (II), fornì le prove delle sue accuse (III), invocò la necessità della pena capitale contro i congiurati (IV). Fu il suo momento di maggior successo politico: "padre della patria" lo chiamò Catulo.
Negli anni successivi si trovò a dover fronteggiare, in posizione debole insieme al Senato, gli accordi di Cesare, Pompeo e Crasso che avevano formato il primo triumvirato. A causa di una legge fatta votare dal tribuno Publio Clodio, creatura di Cesare, dovette subire l'esilio nel 58 a.C., prima a Tessalonica e poi a Durazzo, per aver fatto eseguire la condanna a morte di cittadini romani senza un regolare processo. La sua casa sul Palatino e le ville a Tuscolo e a Formia furono distrutte.
Per interessamento di Pompeo ritornò a Roma nel 57 e rivendicò i suoi beni con le orazioni Pro domo sua e De haruspicum responso. Si avvicinò quindi ai triumviri (Pompeo, Cesare e Grasso) che reggevano le sorti dello Stato, difendendo personaggi a loro legati, e appoggiò la proroga del comando di Cesare in Gallia (De provinciis consularibus). Allargò il suo progetto di pacificazione sociale e lo sintetizzò (Pro Sextio, 56) nella nuova formula di concordia omnium bonorum, patto fra tutti i cittadini onesti, in favore del mantenimento dell'ordine contro ogni illegalità e sovversione. Ma i contrasti tra nobili e popolari sfociarono in violenti disordini culminati con la morte del tribuno Clodio: Cicerone difese senza successo il suo uccisore Milone (Pro Milone, 52), che fu condannato all'esilio. Nel 51 a.C. fu nominato proconsole in Cilicia, dove diede prova di integrità ed efficienza.
La guerra civile
Scoppiata la guerra civile tra Cesare e Pompeo, Cicerone si allineò, pur con qualche esitazione, al partito di Pompeo, seguendolo in Epiro. Dopo la sconfitta dei pompeiani a Farsalo nel 49 a.C. (battaglia a cui Cicerone non partecipò perché era ammalato a Durazzo) e la morte di Pompeo in Egitto, si riconciliò con Cesare. Nelle cosiddette orazioni cesariane (Pro Marcello, Pro Ligario, Pro rege Deiotaro) chiese e ottenne clemenza per gli sconfitti. Il suo progetto politico era stato ormai superato dagli eventi: Cesare andava accentrando nelle sue mani tutti i poteri, giungendo a proclamarsi dittatore a vita. Colpito da difficoltà familiari (il divorzio da Terenzia; il matrimonio con Publilia, subito seguito da un nuovo divorzio) e da lutti dolorosi (la morte della amata figlia Tullia nel 45), trovò conforto nello studio e nella composizione dei trattati di retorica e di filosofia.
Gli ultimi anni
Morto Cesare (15 marzo 44), Cicerone si illuse di poter riprendere un ruolo politico importante; appoggiò Ottaviano, erede del dittatore, contro Antonio, che di Cesare era stato il più valido collaboratore e aspirava a sostituirlo. Compose contro quest'ultimo 14 orazioni, dette Filippiche, ergendosi a strenuo difensore della legalità repubblicana e della dignità del Senato. Ma il secondo triumvirato (43 a.C.) fissò l'alleanza tra Antonio, Ottaviano e Lepido. Incluso nelle liste di proscrizione, Cicerone fu abbandonato da Ottaviano e decapitato dai partigiani di Antonio, a Formia: affrontò la morte con dignità e coraggio.