Cicerone
Le opere filosofiche di Cicerone
Academica, è un'opera dialogica del 45 con interlocutori Lutazio Catulo e Licinio Lucullo; tratta il problema della conoscenza secondo le dottrine del probabilismo della nuova Accademia rappresentata da Filone di Larissa e Antioco d'Ascalona. Fu composta in due redazioni di due e quattro libri: rimangono il 2° della prima (Academica priora o Lucullus) e il 1° incompleto della seconda (Academica posteriora).
De finibus bonorum et
malorum (I confini del bene e del male oppure Il sommo bene e il sommo male), del 45, è un trattato in tre dialoghi in 5 libri dedicato a Marco Giunio Bruto. Si incentra sul problema fondamentale dell'etica: come l'uomo possa raggiungere la felicità. Nei primi due libri, ambientati nella villa di Cicerone a Cuma, gli interlocutori del dialogo sono Cicerone stesso e due amici, Torquato e Triario. Viene esposta la teoria epicurea secondo la quale il sommo bene è costituito dal piacere e il sommo male dal dolore, e la sua confutazione. Nel III e nel IV il dialogo ha come sfondo la villa di Cicerone a Tuscolo. Catone, il futuro Uticense, sostiene la dottrina stoica secondo la quale la massima felicità consiste nel vivere secondo natura e secondo ragione, cui segue la confutazione di Cicerone. Nel V libro il dialogo si sposta ad Atene nella sede dell'Accademia; gli interlocutori sono Pupio Pisone, Attico, Cicerone, il fratello Quinto e il cugino Lucio. Sono esposte le dottrine accademiche e peripatetiche, in base alle quali il sommo bene sta nella perfezione dell'anima e nella salute del corpo.
A queste ultime va la preferenza dell'autore.
Tusculanae disputationes (Discussioni tusculane), del 45-44, sono 5 libri dedicati ancora a Bruto, in cui l'autore immagina un dialogo fittizio, tenuto in una delle sue ville a Tuscolo con un anonimo interlocutore, sulla felicità umana e sugli ostacoli che si frappongono al suo conseguimento. Nel I libro contesta il convincimento che la morte sia un male; il II verte sulla sopportazione del dolore, che è sempre attenuabile con la ragione; il III indica come si possa mitigare la tristezza; il IV dimostra come si possano lenire gli altri turbamenti dell'anima e, infine, il V espone la tesi che la virtù "basta da sola a dare la felicità".
De natura deorum (La natura degli dei) del 45-44, è un dialogo in 3 libri, sempre dedicati a Bruto. Vengono esposte e confutate le teorie filosofiche epicurea e stoica sull'esistenza degli dei e sulle loro prerogative. Alla fine del terzo libro, lacunoso, Cicerone sembra propendere per la teoria stoica, ritenuta più verosimile.
De divinatione (La divinazione), del 44, è un dialogo in 2 libri fra Cicerone e il fratello Quinto. Lo scrittore critica la divinazione nelle sue varie forme come superstizione; tuttavia sostiene alla fine che "è doveroso difendere le istituzioni dei nostri antenati, mantenendo in vigore i riti e le cerimonie" perché ciò è utile allo Stato.
De fato , è un trattatello scritto dopo la morte di Cesare (44), giunto lacunoso, illustra il contrasto tra destino e libero arbitrio.
Cato maior de senectute (Catone Maggiore ovvero la vecchiaia), è un breve dialogo, dedicato ad Attico, ambientato nel 150 a.C. tra Catone il Censore, ormai ottantaquattrenne, Scipione Emiliano e Gaio Lelio. È un elogio della vecchiaia che permette all'uomo, al di là della decadenza fisica, il conseguimento della maggiore autorevolezza.
Laelius de amicitia (Lelio ovvero l'amicizia), è un breve dialogo, ambientato subito dopo la morte di Scipione l'Emiliano (124 a.C.), tra Lelio, suo amico inseparabile, Fannio e Muzio Scevola. Definisce l'amicizia come comunione di uomini onesti, fondata non già sull'interesse, ma sulla virtù.
De officiis (i doveri), è un trattato in tre libri dedicato al figlio Marco, opera importante per gli ideali morali e pedagogici di Cicerone. Il I libro tratta dei doveri, il II dell'utile, il III delle loro reciproche interazioni conflittuali, escludendo, in conclusione, che possa sussistere un contrasto tra loro.
Pochi frammenti rimangono della Consolatio, per la morte della figlia, dell'Hortensius, esortazione alla filosofia; del tutto perduti sono il De gloria, il De virtutibus e il De auguris.