trash
s. inglese (propr., spazzatura, porcheria) usato in italiano come sm. e agg. Lo stesso che spazzatura, riferito polemicamente a espressioni artistiche e a forme di spettacolo: cinema trash; anche il basso gusto estetico di tali manifestazioni. Nel corso degli anni Novanta il fenomeno trash si è affermato sempre più soprattutto nel mondo dello spettacolo e della arti. I cinque principi a cui, secondo T. Labranca, teorico del fenomeno, il trash obbedisce sono: antintellettualismo, contaminazione, incongruità, massimalismo e soprattutto emulazione fallita. Il primo è la proclamazione di una assoluta libertà di espressione e negazione totale di ogni ricerca del sublime. Contro il pregiudizio estetico racchiuso nella radicale opposizione di bello/brutto, il trashista rivendica la libertà di giudizio, svincolata dai canoni correnti e anzi opposta a tali canoni che vengono generalmente proclamati dai critici. Il trash odia dunque la critica che come tale impone categorie di gusto, generi e vincoli che invece si vogliono superare. Contaminazione è il secondo principio: ovvero il gioco dell'accumulazione senza limiti, in cui la commistione viene eseguita senza regole, anzi obbedendo agli altri due principi, l'incongruità e il massimalismo. Questi presuppongono che l'imitazione sia sempre pessima, anzi l'emulazione per essere trash deve risultare sempre diversa dal proprio modello: deve trattarsi di una emulazione fallita. Il trash nasce quindi proprio dall'impossibilità di raggiungere un risultato, a fronte di una ferma e caparbia volontà di raggiungerlo: è la cattiva imitazione, la citazione sbagliata. In quanto creazione inconsapevole il trash nasce quindi molto prima del suo nome. Bisogna risalire indietro di decenni per trovare le prime forme di questo fenomeno di recupero, divenuto tanto di moda da raggiungere persino la pubblicità. Una prima origine è da ricercare nella diaspora di alcuni registi statunitensi dagli studios di Hollywood. Si tratta degli indipendenti E. Wood, R. Meyer, J. Waters, registi con pochi scrupoli e mossi dalla ferma volontà di portare a termine pellicole nel modo più veloce, più economico e più folle possibile per attirare il pubblico dallo stomaco forte e dai gusti sommari che popola i drive-in. Wood è il capostipite negli anni Sessanta, l'ormai mitico autore di Plan 9 from Outer Space. Secondo una definizione di G. Salsa, altro studioso del trash, Wood è stato colui che “ha insegnato al cinema come trasformare il garage dietro casa in astronavi aliene”. Meyer è, invece, grande estimatore delle misure da record di una serie di starlettes, spesso copie “esagerate” delle sexy-star del momento. Meyer è impegnato dal 1985 in una pellicola, mai portata a termine, in cui si vedono soltanto enormi seni femminili. E infine c'è Waters, che secondo il regista W. Hill ha inventato insieme ad Andy Warhol la Trash culture. Waters è stato capace di mettere in scena tutta la peggiore cultura del consumismo selvaggio, in trame inconsulte e anche con interpreti d'eccezione come K. Turner, per lui “mamma-serial-killer” in Serial Mom. Non a caso uno dei cult del trash sono proprio le pellicole pessime girate da personaggi diventati famosi e da questi poi rinnegate. Si tratta dei soft-cores girati da Madonna e S. Stallone; Hercules a New York con A. Schwarzenegger; Monaco Forever con J.-C. Van Damme nei panni di un gay; Sizzle Beach, commedia sporcacciona con K. Costner; He Knows You Are Alone con T. Hanks; o Patricia, un voyage pour l’amour, quasi un film porno con protagonista A. Parillaud, futura Nikita. In sintesi dunque il cinema trash è quello del cattivo gusto imperante, girato con pochi soldi, in cui ogni scena deve lasciare lo spettatore inebetito per il livello di demenza. E, soprattutto, un vero film trash deve essere stato ignorato dalla critica il più a lungo possibile. Come è successo in Italia per le opere di R. Freda, M. Bava, L. Fulci, A. Margheriti, D. Argento. Film di scarso rilievo, non certo disdegnati dal pubblico ma tenuti nell'oblio dal mondo dell'informazione fino a quando non sono stati riscoperti e venerati in quanto trash Perché l'occhio acritico, e comunque “esterno”, è l'unico che può contribuire alla definizione del trash In questo senso è emblematica, ancora in Italia, l'esperienza di Blob. Il flusso continuo e indeterminato delle “citazioni” da quella che è la grande creatura trash, la televisione, è la quintessenza creativa di questo fenomeno che per esistere deve essere “visto”. La trasmissione, firmata da E. Ghezzi e Marco Giusti, ha aperto la strada a una sorta di lettura identificativa del trash TV e ha contribuito però anche a quello che gli esperti definiscono il camp, ovvero il trash consapevole, finendo con lo spingere i “modelli” a esagerare ulteriormente i propri aspetti deteriori. In Blob ha trovato posto tutto il peggio della tv: dalle gaffes, agli atteggiamenti grotteschi, alla volgarità, alla pornografia, fino alla violenza sanguinaria e alla morbosa curiosità per le tragedie e la morte. Le trasmissioni simbolo del trash televisivo sono infatti proprio quelle della TV-verità i cui format, ovvero imitazioni, hanno fatto il giro del mondo. Magazines come America’s Most Wanted, il prototipo del reality show, che negli anni Ottanta hanno invaso le emittenti del pianeta e hanno filiato esperienze al limite del macabro come quella della russa 600 secondi, in cui fatti di cronaca il più “forti” possibile venivano raccontati in dieci minuti scanditi da un soffocante conto alla rovescia. In altri termini quelle trasmissioni di cui O. Stone, nel suo Natural Born Killers, ha fatto una sublime parodia. Il trash è negazione assoluta di ogni concetto di morale e di etica: è immagine priva di senso, è oggetto allo stato puro. Rifiuta ogni genere di profondità e scegliendo sempre la “pancia” rispetto al cervello, l'istinto piuttosto che l'intelligenza: è privo di sentimenti che non siano caricatura di se stessi. Per questo il trash non va confuso con il kitsch, che invece è cattivo gusto ma nel tentativo di imitazione non tanto della forma quanto del senso drammatico dell'originale, e come tale non può che essere inevitabilmente patetico. Il trash è concettualmente vicino alla pop art, e non a caso uno dei suoi “padri” è stato proprio Andy Warhol. La rivoluzione portata a termine da quel movimento artistico, e da questo artista in particolare, è stata proprio quella di fondarsi sul principio di imitazione insensata e ripetuta all'infinito, di copia “deviata” solo in direzione di una esaltazione dell'essenza di oggetto in quanto tale. Il trashista è del resto una sorta di incontenibile collezionatore di orrori e banalità a tutto campo. In un ideale cassonetto raccoglie le cose peggiori prodotte dal mercato. Il trash è in questo senso la vera realizzazione della multimedialità. Rovistando si trovano film porno, a partire da Gola profonda che negli anni Settanta segnò la straordinaria fortuna del genere, videocassette di tutti i tipi con cui poter fare “fermo immagine” nei momenti che sfuggono alla visione veloce, tanti videogames, tanta musica, sesso digitale e poca letteratura. Difficile è infatti una definizione di trash in letteratura perché la pagina scritta tende a rientrare sempre in un canone precostituito e quindi in quel “genere” che il trash invece sfugge. Si può fare eccezione nel caso di autori di serie B con velleità di grandi artisti, ma in quel caso trionfa piuttosto il cattivo gusto. Più facile è invece il caso della musica dove, oltre ai cloni da festa di paese, esiste una sterminata produzione adorata dai cultori. Per esempio Elio e Le Storie Tese, il gruppo italiano di rock “trasgressivo e nonsense”, si autoproclama “gruppo trash per eccellenza” e con questa definizione i suoi componenti hanno anche giustificato la loro presenza al Festival di Sanremo, a loro avviso “avvenimento più trash dell'anno”. Musicalmente, comunque, il trash passa necessariamente per la muzak: la musichetta degli ascensori, dei centralini, dei supermercati e dei centri commerciali. In sostanza dunque il trash è la presa di coscienza e l'evoluzione di quella che negli anni Sessanta era stata battezzata la cultura pop, o meglio la non-cultura popolare.