kitsch

sm. tedesco di incerta etimologia usato in italiano come sm. e agg. (cattivo gusto). Oggetto o anche persona che, per il suo aspetto esteriore o per atteggiamento, offenda in qualche modo il senso estetico o i canoni dell'eleganza e del buon gusto. § Il termine è entrato in uso a partire dai primi decenni del sec. XX nei Paesi di lingua germanica con il significato di “cosa di nessun pregio, robaccia”, si è diffuso nel secondo dopoguerra nell'area anglosassone e, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, è divenuto internazionale. In quanto definizione di una categoria estetica è in realtà intraducibile, ma può essere avvicinato all'espressione italiana “cattivo gusto”. Indica quel diffuso insieme di oggetti e immagini che mescolano, con pretese di artisticità, elementi di linguaggi disparati al fine di produrre nell'osservatore effetti illusori di emozione estetica. Nel kitsch si ritrovano così gli aspetti deteriori e conformistici delle tradizioni popolari e del folklore filtrati dalle aspirazioni etiche ed estetiche più retrive; il mito pacchiano della bellezza mutuato dalle immagini pubblicitarie e televisive; il piacere dell'ostentazione volgare e l'ammiccamento ai desideri e alle fantasie del pubblico. L'apparente volontà di diffusione di massa dei fatti artistici si risolve in un imbarbarimento del gusto che investe non solo le arti, ma tutte le forme del comportamento ed espressive (figurativa, letteraria, del cinema ecc.). Clement Greenberg nel 1939 scrive e pubblica un saggio intitolato Avant-garde and kitsch in cui definisce i movimenti di avanguardia e del modernismo come i migliori mezzi per resistere alla cultura del consumismo e quindi della produzione kitsch. Gillo Dorfles ha scritto nel 1972 un importante libro sulla presenza del kitsch nell'arte (Il Kitch. Antologia del cattivo gusto).

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