Warhol, Andy
Indicepseudonimo del pittore e cineasta statunitense di origine cecoslovacca Andrew Warhola (Pittsburg 1928-New York 1987). Inizialmente grafico pubblicitario, passò poi alla pittura, sfruttando come nuovi mezzi di espressione i sistemi meccanici di produzione dell'immagine. Il suo linguaggio si è definito negli anni 1961-62 con la scelta di procedimenti tecnici (soprattutto il riporto serigrafico) di fondamentale importanza per lo sviluppo della pop art americana, di cui Warhol è stato uno dei protagonisti. Celebri sono i grandi acrilici con le scatole di minestra Campbell's, i ritratti di Marilyn Monroe, le bottiglie di Coca-Cola, le sequenze di fotogrammi della Gioconda, le immagini serigrafiche di Jackie Kennedy, di Liz Taylor, di Elvis Presley, fino al ritratto di Mao Tse-tung e all'ultima serie dei Travestiti negri (1975). Oltre a questa attività di fabbricazione di immagini che, ripetute ossessivamente, costituiscono una spietata denuncia di aspetti della vita contemporanea (divismo, consumismo ecc.), l'artista dal 1963, unitosi al movimento underground, rivoluzionò anche il cinema tornando alle sue origini tecniche. Operando nella factory, officina newyorkese di lavoro collettivo, ripercorse con sensibilità modernissima e provocatoria le tappe dell'“invenzione” scientifica, riproponendo un cinema “primitivo”, esasperato in inquadrature fisse, cinepresa statica, assenza di montaggio, pellicola muta e bianconera, metraggio abnorme (sei ore per Sleep, 1963; otto per Empire, 1964). Alla parola sostituì l'eloquenza del corpo, dei suoi atti fisiologici e sessuali (Kiss e Eat, 1963; Blow Job e Couch, 1964). Ai divi della morta Hollywood trasfigurati nelle sue serigrafie ha opposto “cavie viventi” ribattezzate Superstars. Procedendo in una nuova ricerca spaziotemporale, di montaggio e di piano-sequenza, ricreando con un metodo narrativo originale una nuova Hollywood domestica, servendosi progressivamente dei mezzi più moderni (sonoro, colore, obiettivi variabili, movimenti di macchina, schermo espanso), ha fotografato i suoi personaggi (drogati, invertiti, travestiti) impassibilmente negli atti quotidiani, anche intimi. My Hustler (1965), The Chelsea Girls (1966), The Nude Restaurant (1967), Lonesome Cowboys e Blue Movie (1968) provocarono shock, non tanto per la novità del nuovo modo di vedere, quanto per ciò ch'era visto, specie in materia di sesso, e portarono a una svolta commerciale quel cinema nato sotterraneo ed esploso alla luce dello scandalo. Di tale svolta si fece animatore, per conto di Warhol e della factory ormai tramutata in industria, il regista P. Morrissey (n. 1939), che con una trilogia dai titoli secchi (Flesh, 1968; Trash, 1970; I rifiuti di New York, Heat, 1972; Calore) incorporò la crudezza in un discorso quasi hollywoodiano, e coi due ultimi film riuscì ad arrivare, come il suo protagonista Joe Dallesandro, anche in Italia. Qui nel 1977 si è visto anche, ideato e prodotto da Warhol pure se firmato da un altro regista, il film Il male, una commedia dell'orrore.
Andy Warhol. Autoritratto (St. Etienne, Musée d'Art et d'Industrie).
De Agostini Picture Library/G. Dagli Orti
Andy Warhol. Campbell's soup (Milano, Studio Marconi).
Milano, Studio Marconi
Andy Warhol. Early colored Liz (New York, Collezione privata).
De Agostini Picture Library/A. Dagli Orti
O. Granath (a cura di), Andy Warhol, New York, 1969; R. Crone, Andy Warhol, Londra, 1970; P. Gidal, Andy Warhol - Films and Paintings, New York, 1971; E. Patalas (a cura di), Andy Warhol und seine Filme, Monaco, 1971; A. Aprà, E. Ungari, Il cinema di Andy Warhol, Roma, 1972; V. Bockris, Andy Warhol, Milano, 1991; V. Bockris, Andy Warhol, Bologna, 2010; A. C. Danto, Andy Warhol, Torino, 2010; B. Martinelli, Andy Warhol Music Show: la prima discografia illustrata dedicata al genio della Pop Art, Roma, 2011; A. L. De Simone, La superficie del mondo: spazio dell'immagine e immagine dello spazio nei ritratti di Andy Warhol, Santa Maria Capua Vetere, 2012; G. Celant, Pop art & Warhol, Milano, 2016; A. L. De Simone, Andy Warhol's TV: dall'arte alla televisione, Milano, 2017; P. Phelan, R. Meyer, Contact Warhol: fotografia senza fine, Milano, 2019.