Definizione

Nel linguaggio politico corrente il termine regime è spesso usato come sinonimo di ordinamento politico, sistema di governo, ecc., e intende individuare e caratterizzare le varie realtà delle strutture statuali moderne, partendo dalle forme molteplici, ma organicamente coerenti, attraverso le quali il potereprime e si organizza. Così, abbandonate le distinzioni classiche basate sulle classificazioni che risalgono ad Aristotele, Plutarco, Machiavelli e Montesquieu, ecc. (ormai poco significative per la sensibilità politica dell'uomo contemporaneo), l'odierna classificazione, più completa e soddisfacente, delle nuove realtà degli Stati moderni parte dal criterio più sostanziale della distribuzione effettiva del potere nello Stato, senza sottacere le soluzioni teoriche della sua legittimazione. È chiaro che così facendo nel termine finiscono per confondersi tanto il significato organizzativo strutturale, quanto quello ideologico giustificativo del potere politico.

Il regime assoluto

Per regime assoluto storicamente si intende quello nel quale il sovrano (generalmente un monarca) detiene tutto il potere statuale senza essere sottoposto al controllo da parte di altri uomini, né all'imperio della normale legislazione vigente (a legibus solutus, appunto). In tali regimi non esisteva alcuna separazione dei poteri (secondo le diverse funzioni: potere legislativo, esecutivo e giudiziario), né si lasciava spazio ad alcun riconoscimento di diritti politici ai cittadini (sudditi); e lo stesso Stato era visto come patrimonio privato ed esclusivo del sovrano. Simile strapotere oppressivo, accentrato in un solo ente, trovava allora giustificazioni teoriche tanto nella sfera trascendentale di una diretta investitura da Dio, quanto nella concezione razionalistica (tipica del contrattualismo di Hobbes), fondata su un'idea pessimistica e catastrofica dell'uomo; e in ambedue i casi, comunque, l'unico limite possibile all'attività del sovrano consisteva nell'osservanza della legge divina o nella capacità effettiva di garantire la sicurezza dell'esistenza fisica dei sudditi.

I regimi liberali o liberal-democratico-parlamentari

Sulle ceneri dei regimi assoluti, spazzati via dalle profonde trasformazioni economiche, culturali e politiche avvenute nelle società e a seguito delle esperienze rivoluzionarie inglesi, americane e francesi, gli Stati moderni conobbero un nuovo assetto giuridico ed etico-politico con i regimi liberali. In essi la sovranità non fu più patrimonio di un solo individuo, quanto dell'intera comunità nazionale rappresentata da un organo supremo: il Parlamento, composto per libera elezione da parte dei cittadini. Da ciò appunto deriva il fatto che i regimi liberali sono anche chiamati regimi parlamentari, soprattutto dopo che il progressivo ampliarsi della sfera d'azione del Parlamento a poco a poco svuotò di ogni potere effettivo la corona. Ma i regimi parlamentari o liberali, per quanto basati sul concetto dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e dell'universalità dei diritti fondamentali dell'individuo, all'atto pratico, sul piano del godimento dei diritti politici, facevano nelle loro leggi elettorali una netta discriminazione di carattere censitario, così che solo le classi più agiate dello Stato erano ammesse al diritto di voto attivo e passivo, mentre i ceti meno abbienti e popolari ne rimanevano del tutto esclusi. Tuttavia un graduale processo di riforme elettorali successive ha esteso tale diritto di voto a favore di settori sempre più ampi di popolazione, finendo per trasformare, con la concessione del suffragio universale, i regimi liberal-parlamentari in regimi di democraziamentare rappresentativa, in cui la sovranità spetta a tutto il popolo, senza più alcuna sorta di discriminazioni, che la esercita attraverso i suoi rappresentanti sottoposti al controllo periodico delle elezioni.

I regimi comunisti

Alle modificazioni, per quanto profonde e significative, che hanno condotto al regime parlamentare si è obiettato che, permanendo immutate le strutture economiche produttive privatistiche della società, tutti questi regimi liberali o liberal-democratico-parlamentari (definiti dai marxisti come regimi borghesi o capitalisti) non sarebbero in grado di realizzare un sistema di democrazia sostanziale, nella quale lo sfruttamento del proletariato dovrebbe essere definitivamente cancellato. Proprio per realizzare i postulati di detta democrazia sostanziale, che deve comportare la distruzione dello Stato borghese mediante la lotta di classe e la rivoluzione comunista, in alcuni Paesi sono sorti i cosiddetti regimi comunisti nei quali ai tradizionali e formali assetti politici rappresentativi si è sostituito quello nuovo e non sempre uniforme dell'egemonia del partito guida della classe operaia. I regimi comunisti hanno così assunto una duplice caratteristica. Nell'URSS, per esempio, si era realizzato un regime, definito sovietico, nel quale il complesso dell'economia era diretto dallo Stato, ma quest'ultimo era completamente egemonizzato dal partito comunista (PCUS). Di contro, in altri Paesi a regime comunista si è avuto un fenomeno costituzionalmente più attenuato che ha assunto la caratteristica delle democrazie popolari, dove erano presenti vari partiti, ma fortemente vincolati e subordinati ai rispettivi partiti comunisti. Poiché nei regimi comunisti non veniva tollerata l'organizzazione legale del dissenso e tantomeno la presenza di un pluralismo politico, si è spesso parlato di loro come di regimi totalitari di classe.

I regimi totalitari fascisti e nazisti

Una forma più forte e tipica di regime totalitario si è verificata storicamente in alcuni Paesi durante il periodo in cui furono sottoposti al dominio dei movimenti dittatoriali fascisti e nazisti. Allora si videro non solo le strutture giuridiche e costituzionali dello Stato liberale finire a mano a mano svuotate di ogni contenuto garantista, dando luogo a un sistema politico autoritario fondato sul potere di un capo carismatico e di un partito organizzato in modo paramilitare, ma gli stessi limiti all'azione dello Stato vennero sempre più dilatati a discapito della sfera di autonomia dei cittadini, invadendo tutte le manifestazioni della vita associata, pubblica o privata, e dando vita a quella forma dello Stato “totale”, in cui l'individuo finiva per essere travolto e sommerso secondo lo slogan: “Tutto nello Stato, nulla contro lo Stato o al di fuori dello Stato”. Accanto a queste classificazioni, partendo dalla considerazione della funzione legale o di fatto esercitata dalla presenza di uno o più partiti nella vita dello Stato, si distinguono poi regimi monopartitici e regimi pluripartitici (questi ultimi a loro volta suddivisi in regimi bipartitici o multipartitici secondo che il sistema politico ruoti attorno alla presenza maggiormente rilevante di due o più partiti).

Bibliografia

T. D. Weldon, States and Morals: a Study in Political Conflicts, Londra, 1946; I. Berlin, Two Concepts of Liberty, Oxford, 1958; George H. Sabine, Storia delle dottrine politiche, Milano, 1968; B. de Jouvenel, Del potere, Varese, 1991.

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