Definizione

sf. [sec. XIX; da genetico]. Scienza che studia la natura e le proprietà dei meccanismi di trasmissione dei caratteri ereditari, di generazione in generazione, nelle varie specie animali e vegetali.

Cenni storici: dalle origini a Mendel

Sino a epoca recente il problema dell'eredità biologica è stato prevalentemente legato a quello della generazione, ovvero alle modalità secondo cui un organismo produce un altro organismo simile a se stesso. Nell'antichità, secondo la concezione aristotelica, si supponeva che fosse l'azione dell'anima inerente al seme a garantire l'unità della specie e quindi la somiglianza generativa. Secondo altre teorie, dovute a Ippocrate e Democrito, nel seme si raccolgono particelle staccate da ogni organo del corpo che ne riproducono le caratteristiche allorché si fondono i semi dei due genitori formando un organo simile a quello di provenienza. Nel Seicento fu avanzata la concezione preformista secondo cui nell'uovo o nello spermatozoo è contenuto in miniatura l'organismo già formato e supposto come un germe preesistente creato da Dio all'inizio del mondo; genitori e figli si assomigliano quindi perché derivano da germi creati secondo uno stesso modello. P.-L. Maupertuis e G. Buffon osservarono tuttavia che se il germe è l'uovo oppure lo spermatozoo, il figlio dovrebbe assomigliare solo alla madre o solo al padre, il che contrasta con l'esperienza, e riprendendo la concezione di Ippocrate e Democrito proposero la teoria delle molecole organiche. Anche C. Darwin nell'Ottocento formulò un'ipotesi di questo tipo, ma fu proprio con lo sviluppo della teoria dell'evoluzione che il problema s'impose in modo nuovo. Si sottolineò l'importanza non tanto della somiglianza quanto della dissomiglianza dai genitori dovuta alle variazioni su cui incide la selezione, fatto noto da tempo agli allevatori e agli orticoltori che, attraverso opportuni incroci, avevano ottenuto nuove razze. Tali ricerche venivano condotte supponendo che l'eredità fosse continua, cioè che i caratteri dei genitori si mescolassero nei discendenti dando come risultato un valore intermedio. Partendo da questa concezione, F. Galton sostenne la teoria dell'eredità ancestrale per cui un individuo deriverebbe 1/4 dei suoi caratteri dai genitori, 1/16 dai nonni e così via. Con ricerche statistiche formulò anche la legge di regressione secondo cui un certo carattere, p. es. la statura, tende ad allontanarsi da quella media dei genitori per spostarsi verso quella media della popolazione.

Cenni storici: le teorie di Mendel

Tale teoria, alla luce di successive ricerche, risultò infondata, mentre fu confermata la teoria opposta, dovuta a G. Mendel e formulata in una memoria del 1866, secondo cui i caratteri ereditari vengono trasmessi come unità che si mantengono costanti e distinte nella discendenza. Mendel realizzò incroci di piante della stessa specie distinte per caratteri appaiati e contrastanti (alto-basso, liscio-rugoso) e seguendo la distribuzione statistica di questi caratteri nelle successive generazioni poté individuare le sue famose leggi. Egli ammise inoltre che a ciascun carattere osservato corrispondesse un elemento contenuto nelle cellule riproduttive capace di collegarsi con un altro in modo durevole o provvisorio nei discendenti, senza alterarsi. L'ipotesi che i caratteri ereditari fossero prodotti da particelle materiali contenute nelle cellule riproduttive, avanzata anche da A. Weissmann dopo il 1880, fu respinta da molti quale concezione speculativa ispirata al materialismo e al meccanicismo. Le leggi di Mendel rimasero pertanto sconosciute e comunque non capite dai pochi che le conoscevano sino ai primi del sec. XX, quando H. De Vries, C. Correns e E. von Tschermak ne confermarono la fondatezza con i loro lavori.

Cenni storici: il Novecento

A partire dai primi del Novecento fu un susseguirsi di scoperte e di formulazioni di teorie. K. E. Correns e T. Boveri nel 1902, W. S. Sutton nel 1903 evidenziarono lo stretto parallelismo esistente tra il comportamento dei cromosomi nella gametogenesi e nella fecondazione e l'andamento dei caratteri mendeliani da una generazione all'altra. Giunsero così a formulare la “teoria cromosomica dell'eredità” secondo la quale i geni portatori dei caratteri ereditari sono localizzati nei cromosomi e trasmessi con questi, grazie ai gameti, da una generazione all'altra. Successivamente, altre importanti scoperte furono quelle compiute da T. H. Morgan e dai suoi allievi. Morgani scoprì i cromosomi sessuali, interpretò correttamente l'eredità legata al sesso e formulò il concetto di linkage (associazione) e di crossing-over (scambio) dei geni. Altre scoperte seguirono, ma quella forse più clamorosa si ebbe nel 1953, quando J. D. Watson, F. H. Crick e M. Wilkins chiarirono la struttura della molecola degli acidi nucleici. Il codice con il quale è registrata l'informazione nelle molecole di DNA fu scoperto da M. W. Nirenberg e S. Ochoa. In tal modo l'analisi della genetica è veramente giunta alla base dei fenomeni vitali ed è ora possibile studiare il funzionamento dei geni e le modalità di espressione degli stessi. § I campi di applicazione della genetica sono i più svariati, da quello medico a quelli chimico, farmaceutico, industriale, agricolo e zootecnico. Di antiche tradizioni ed esperienze è l'ottenimento in zootecnia e in agricoltura di varietà animali (animali transgenici) e vegetali (OGM, organismi geneticamente modificati, ottenuti con manipolazione genetica) dotate di particolari requisiti e che ben si adattino all'allevamento e alla produzione in particolari ambienti (per esempio l'ottenimento di bestiame a gambe corte che meno facilmente può fuggire dai recinti e quello di numerose varietà di grano ognuna adatta alla coltivazione in particolari luoghi). Ancor più numerosi sono i campi di ricerca della genetica, in particolare tre hanno avuto sviluppi assai vasti: la genetica batterica, la genetica di popolazioni e la genetica genica.

Campi di applicazione e di ricerca: genetica batterica

Studia i fenomeni di trasmissione dei caratteri ereditari nei Batteri e nei virus, per cui è più corretto parlare di genetica dei microrganismi. Questo campo di ricerca ha assunto notevole importanza per la praticità con cui è possibile condurre il lavoro sul materiale vivente e per l'elevatissimo numero di individui su cui è possibile sperimentare. Queste possibilità permettono la scoperta di eventi genetici che in altri esseri viventi non è possibile determinare in vivo e che, spesso, sono dilazionati nel tempo per cui diventano estremamente rari a osservarsi. Bastano poche placche di agar (sorta di gelatina) per coltivare e saggiare miliardi di generazioni di Batteri in brevissimo tempo; si è così accertato che essi sono capaci di ricombinare il proprio materiale genetico mediante tre meccanismi: trasformazione, transduzione e coniugazione. Quest'ultimo è stato notato principalmente tra i colibacilli (Escherichia coli). Se due colture marcate, per esempio, con i geni P+R l'una e PR+ l'altra vengono mescolate, è possibile ottenere dei ceppi ricombinanti quali PR e P+R+. Oggi le principali caratteristiche di tale fenomeno sono chiare e si sa che quando due batteri si coniugano si stabilisce una continuità tra di essi per mezzo di ponti citoplasmatici. A questo punto avviene l'iniezione di materiale genetico da un batterio all'altro. Si usa indicare con F+ il batterio donatore (maschio) e con F- quello ricevente (femmina). Il batterio che ha ricevuto il materiale genetico porta, per un certo tempo, un corredo diploide che la successiva divisione per scissione riporta ad aploide. Ora nei batteri derivanti per scissione da un batterio che si era comportato come F- potranno essere presenti, se è intervenuto il crossing-over, dei tipi ricombinanti. In base all'esempio precedente, se P e R determinano l'impossibilità a sintetizzare due sostanze “q” e “s”, il ceppo di batteri P+R cresce solo se nella coltura di laboratorio è presente “s” e quello PR+ solo se è presente “q”. Tra i tipi ricombinanti PR cresce solo se sono presenti sia “q” sia “s”, mentre P+R+ cresce bene anche su terreno di coltura normale (detto minimo) in cui sono assenti tanto la sostanza “q” quanto “s”. È così possibile risalire, dalle frequenze di presenza dei ceppi ricombinanti, alla distanza dei due loci genici P ed R e localizzarli (mapparli) sul cromosoma dei Batteri in esame. Un altro metodo utilizzato per mappare il cromosoma dei Batteri è quello che si basa sul tempo necessario al trasferimento dei complessi genici da F+ a F-. Infatti il cromosoma impiega un certo tempo a compiere tale passaggio ed è possibile, interrompendo la coniugazione, per esempio con una violenta agitazione, stabilire il tempo necessario al trasferimento dei vari complessi genici. È stato ammesso che il cromosoma dei Batteri sia circolare e che possa aprirsi (grazie all'intervento di enzimi capaci di tagliare il DNA) per iniziare il trasferimento ora in un punto ora in un altro. Questa ipotesi è stata formulata per il fatto che non è sempre lo stesso complesso genico a essere trasferito per primo. Il microscopio elettronico ha poi confermato tale modello, grazie alla possibilità che ha dato di fotografare le varie fasi del meccanismo di ricombinazione in esame. L'enorme importanza, dal punto di vista pratico, della genetica batterica risiedeva sino a qualche tempo fa solo nella possibilità di ottenere ceppi di microrganismi capaci di produrre tipi sempre nuovi di antibiotici. Le ricerche di questi ultimi anni, gettando nuova luce sul concetto di gene e sul modo di operare di questi, hanno aperto anche nuove possibilità allo studio e alla cura (terapia genica) di alcune malattie ereditarie e tumorali.

Campi di applicazione e di ricerca: genetica di popolazioni

Studia le frequenze geniche e le modalità di distribuzione dei geni nelle popolazioni naturali; ovviamente si interessa anche delle cause (mutazione, selezione, ecc.) che determinano le variazioni delle frequenze stesse. Uno dei principali scopi della genetica di popolazioni è quello di chiarire i meccanismi evolutivi e le prospettive evolutive di una popolazione, dal momento che l'evoluzione biologica è legata, in definitiva, proprio ai cambiamenti delle frequenze geniche. La genetica di popolazioni, individuando le variabilità di frequenze geniche all'interno di una popolazione naturale, studia i gruppi di individui (popolazioni) che si pongono tra il singolo e la specie in quanto ritiene costituiscano l'unità di base in cui avvengono tutti i processi evolutivi, o almeno tutti quelli essenziali alle trasformazioni di una specie in una o più altre. Le analisi delle variazioni nella struttura genica delle popolazioni vengono effettuate, oggi, non solo con indagini dirette all'interno di una popolazione, ma anche simulando con modelli matematici quello che avviene in una popolazione ideale e cioè una popolazione infinitamente grande, in cui tutti gli individui hanno eguale probabilità di accoppiamento, nonché anche in assenza di mutazione e selezione. In una simile popolazione si stabilisce l'equilibrio delle frequenze genotipiche nell'arco di una generazione, qualunque fossero le frequenze geniche iniziali. In base a questo modello è possibile stabilire che l'equilibrio genetico è raggiunto, cioè si ha una nuova specie, quando le frequenze rimangono inalterate nelle generazioni successive. In termini matematici, considerando un gene con due alleli codominanti e ponendo la frequenza dell'allele A uguale a p e quella dell'allele a uguale a q, essendo p+q=1, quando si sarà raggiunto l'equilibrio la frequenza dei tre genotipi AA:Aa:aa dovrà essere p2 : 2pq : q². L'applicazione di questa formula a una popolazione reale permette di conoscere se essa è sottoposta a forze evolutive oppure no. Un altro dei problemi più attuali della genetica di popolazioni è lo studio delle cause che determinano le variazioni nelle frequenze geniche tra le popolazioni. Esistono in proposito due posizioni teoriche: quella panselezionista e quella panneutralista. Secondo la prima le differenze nelle frequenze alleliche sono dovute alla selezione naturale in quanto solo determinati alleli sono più o meno vantaggiosi in un ambiente idoneo per quella popolazione. Un esempio di ciò è il gene per la talassemia frequente nelle popolazioni delle aree in cui è diffusa la malaria e che protegge dall'insorgere di questo morbo i portatori eterozigoti. La seconda ipotesi, panneutralista, considera i geni selettivamente neutri e le variazioni di frequenza nelle popolazioni dovute a fattori casuali. Un esempio è costituito dal fatto che molte varianti elettroforetiche di proteine non presentano mutamenti nelle proprietà funzionali, tanto da far ritenere verosimile che ci siano alleli selettivamente neutri o quasi neutri. Non esistono comunque sino ad ora prove certe a favore dell'una o dell'altra ipotesi. Il significato da attribuire a questa variabilità genetica delle popolazioni costituisce il punto principale di discussione tra le varie correnti di studiosi dell'evoluzione.

Campi di applicazione e di ricerca: genetica genica

Studia il comportamento, la struttura biochimica e le funzioni dei geni al fine di poter intervenire direttamente (manipolandolo) sul genoma degli esseri viventi. Da questa opportunità scaturisce il nome di “manipolazione genica” dato a questa sezione della genetica. È nata addirittura una nuova scienza detta ingegneria genetica per indicare l'insieme delle tecnologie che prevedono la manipolazione di materiale genico nell'ambito di una specie e tra specie diverse. Tale disciplina si è sviluppata a partire dal 1970 quando G. Khorana, J. Shapiro e altri sono riusciti, con opportune tecniche di manipolazione, prima a isolare un gene allo stato puro, poi a ricollegarlo a una precisa funzione biologica, infine a “sintetizzarlo” artificialmente, il che equivale, entro certi limiti, a “creare” le basi elementari della vita. La messa a punto di queste tecniche, che si basano sulle conoscenze di biologia molecolare, è così potenzialmente sconvolgente che indusse J. Shapiro a ritirarsi da tale lavoro scientifico subito dopo la pubblicazione dei propri dati. Grazie a nuove metodologie legate alla manipolazione genetica e alla capacità di sequenziare velocemente il DNA, la genetica ha avuto un enorme sviluppo sia nella conoscenza di base sia nelle possibili applicazioni pratiche. Con l'analisi delle mutazioni di molti geni è stato possibile studiarne a fondo la loro funzione e inoltre è stato possibile identificare i geni responsabili di molte malattie trasmissibili geneticamente. Geni di organismi complessi possono essere inseriti in organismi più semplici ed è possibile analizzare in grande dettaglio il loro ruolo e le loro caratteristiche strutturali. Il lievito di birra Saccharomyces cerevisiae rappresenta uno dei sistemi genetici più studiati negli ultimi anni. È un organismo eucariotico monocellulare con un corredo cromosomico singolo (genoma aploide) di 17 cromosomi il cui DNA è stato completamente sequenziato con uno sforzo collettivo di vari laboratori europei e statunitensi (1996). Questo notevole risultato rende possibile l'identificazione di nuovi geni che regolano la vita di questo organismo. Il lievito si riproduce per gemmazione di una cellula figlia dalla cellula madre in un ciclo cellulare semplice, ma può avere anche una riproduzione sessuale quando due cellule con caratteristiche sessuali diverse si accoppiano dopo uno stimolo ormonale. Questa fase diploide rende possibile analisi genetiche di mutazioni in geni che codificano per proteine essenziali. Il lievito può essere trasformato (introduzione di DNA sotto forma di plasmide) con DNA che contiene geni mutati o geni di altri organismi, come per esempio l'uomo. È possibile in questa maniera studiare le funzioni di geni umani in un organismo che si comporta a livello cellulare in modo molto simile all'uomo. I geni umani possono essere mutagenizzati in vitro e introdotti nel lievito per studiare l'effetto di queste mutazioni. Attraverso queste metodiche sono stati caratterizzati molti geni umani e identificate le caratteristiche strutturali importanti per il loro funzionamento. Le procedure che si usano per identificare e isolare mutazioni vengono denominate screening genetici e sono generalmente disegnate per identificare e isolare mutazioni recessive indotte da un trattamento con sostanze mutagene. In organismi con un solo corredo cromosomico (aploidi), come i Batteri e il lievito, è possibile vedere immediatamente i difetti causati da queste mutazioni indotte. Una mutazione nella sola copia disponibile di un determinato gene avrà infatti un effetto visibile sulla cellula. Negli organismi diploidi (corredo cromosomico doppio) la mutazione sarà visibile solo se essa sarà presente su entrambe le copie cromosomiche (omozigosi). I geni che codificano per proteine essenziali sono i più importanti per una analisi genetica. L'espressione di mutazioni in geni essenziali conduce alla morte dell'organismo e quindi, per studiare gli effetti di queste variazioni, è necessario usare mutanti condizionali. Una proteina mutante può essere funzionale a 30 °C, ma completamente inattiva a 37 °C, mentre la proteina normale crescerebbe normalmente a entrambe le temperature. I ceppi che contengono le mutazioni possono essere mantenuti in vita alla temperatura permissiva e poi per l'analisi genetica fatti crescere alla temperatura non permissiva per studiare l'effetto dell'inattivazione del determinato gene. Un esempio di questo tipo di analisi è rappresentato dalle mutazioni che influenzano il ciclo cellulare in lievito. È possibile seguire al microscopio ottico la crescita e la divisione del lievito che avviene per gemmazione e la dimensione della gemma è indicativa delle varie fasi del ciclo. In un primo momento sono stati individuati mutanti sensibili alla temperatura e in seguito sono stati analizzati al microscopio, nella ricerca di difetti nel ciclo, alla temperatura non permissiva. Questi mutanti non crescevano più lentamente delle cellule non mutagenizzate, dimostrando di non riportare un generico danno al metabolismo, ma si fermavano tutti in una particolare posizione del ciclo. Il risultato ha dimostrato che il prodotto del gene mutato era necessario in quella particolare fase del ciclo. Questo screening ha permesso l'isolamento dei geni CDC (Cell Division Cycle) che regolano il ciclo cellulare in molti organismi. Il fenomeno della soppressione genica viene usato per identificare proteine che specificamente interagiscono tra loro all'interno della cellula. Il principio di questa analisi si basa sul fatto che una mutazione puntiforme (sostituzione di un singolo amminoacido di una proteina) può indurre cambi strutturali nella proteina A per cui non è più in grado di interagire con la proteina B, coinvolta nello stesso processo cellulare. Tuttavia possono verificarsi delle mutazioni nella proteina B che la rendono in grado di interagire con la proteina mutata A. Si dice quindi che entrambi i geni sono mutati, ma che la mutazione in B sopprime la mutazione A. Come abbiamo visto, l'analisi genetica di un organismo semplice può dare informazioni essenziali per individuare i geni responsabili di determinati fenotipi, tuttavia è essenziale mappare precisamente lungo i cromosomi la posizione di questi geni per poi isolarli e determinare la loro sequenza. La localizzazione di una mutazione in un determinato cromosoma è il primo passaggio per la mappatura. Un esempio è rappresentato da mutazioni recessive nel cromosoma X di Drosophila, ma può essere estrapolato per l'uomo. Queste mutazioni recessive legate al cromosoma X mostrano sempre uno schema di segregazione legato al sesso in vari incroci. Se incrociati con femmine omozigoti normali, maschi che sono portatori della mutazione, producono una progenie normale. Tutta la progenie maschile che proviene da una femmina omozigote per la mutazione (su entrambi i cromosomi) avrà un fenotipo mutante e tutte le femmine saranno eterozigoti (un X dal padre e uno dalla madre) e quindi con un fenotipo normale. Tuttavia le femmine eterozigoti faranno da portatrici della mutazione e la trasmetteranno al 50% della progenie maschile. Questo esempio dimostra che ogni mutazione recessiva che ha uno schema di segregazione legato al sesso può essere mappata nel cromosoma X.

Le prospettive della genetica genica: tipi di mutazione

Le malattie genetiche umane mostrano diversi schemi di ereditarietà a seconda del tipo di mutazione che le causa. La distrofia muscolare di Duchenne, una malattia degenerativa del muscolo che colpisce specificamente i maschi, è causata da una mutazione recessiva del cromosoma X e mostra un tipico schema di segregazione legato al sesso. La fibrosi cistica dipende da una mutazione recessiva in un cromosoma. Questo tipo di mutazione ha uno schema di segregazione molto diverso. Maschi e femmine possono essere colpiti dalla malattia in eguale misura. Entrambi i genitori devono essere portatori eterozigoti dell'allele mutato perché i loro figli siano a rischio della malattia. Ogni figlio di genitori eterozigoti ha il 25% di probabilità di prendere dai genitori entrambi i geni mutati e quindi essere affetto dalla malattia, il 50% di ricevere un allele normale e uno mutato ed essere portatore e il 25% di essere normale. La corea di Huntington, una malattia degenerativa del sistema nervoso che colpisce in età adulta, è invece causata da un terzo schema di segregazione: le mutazioni autosomali dominanti. Se entrambi i genitori sono portatori, ciascun figlio (nonostante il sesso) ha il 50% di probabilità di ereditare il gene mutato ed essere malato. Mappare un gene autosomale (su uno specifico cromosoma) è certamente più complicato che mappare mutazioni legate al sesso. Una volta che il cromosoma specifico è stato individuato si procede con analisi di linkage (vicinanza di altri geni o marcatori) per identificare altri marcatori noti, sullo stesso cromosoma per disegnare una mappa. Attraverso l'analisi delle frequenze di ricombinazione tra due geni o marcatori specifici, si può stabilire la distanza dei marcatori stessi e infatti più due geni sono distanti tra loro, sullo stesso cromosoma, più sarà facile che avvenga ricombinazione tra loro. In base a questo principio della genetica classica è possibile stabilire delle unità di misura di distanza e una unità genetica di mappa corrisponde alla distanza tra due posizioni che hanno una frequenza di ricombinazione pari all'1% e viene definita come centimorgan in onore del grande genetista della Drosophila, T. H. Morgan. In questo organismo 1 centimorgan corrisponde a circa 400 kilobasi di DNA. Queste distanze variano da organismo a organismo perché dipendono anche dalla composizione stessa del genoma.

Le prospettive della genetica genica: DNA ricombinante

Negli organismi sperimentali usati comunemente per l'analisi genetica (Batteri, lievito e Drosophila) esistono marcatori fenotipici per mappare mutazioni, ma nel caso dei geni associati a malattie genetiche trasmissibili questo non è possibile. Tuttavia, con l'uso delle tecniche del DNA ricombinante, esiste ora un gran numero di marcatori molecolari tra cui i più usati sono i cosiddetti RFLP (Restriction Fragment Length Polimorfism, polimorfismo della lunghezza dei frammenti di restrizione). Questa tecnica si basa sul principio che variazioni sulle sequenze di DNA avvengono lungo tutto il genoma e, poiché gran parte del genoma non codifica per proteine, una variabilità di sequenza piuttosto grande è possibile anche nell'uomo. Si è stimato che un cambiamento di sequenza avvenga all'incirca ogni 200 nucleotidi. Queste variazioni sono definite come polimorfismi e si possono riferire a diversi sistemi di analisi. Se le sostituzioni avvengono nelle sequenze specifiche riconosciute da enzimi di restrizione, il sito in questione non sarà più tagliato e quindi una mappa dei siti di restrizione in una regione specifica del genoma conterrà frammenti di lunghezza diversa. In base a tali variazioni è possibile disegnare mappe specifiche del cromosoma e associare un particolare disordine genetico a un frammento specifico di restrizione. Quale sia l'origine dei polimorfismi è un problema molto interessante della genetica moderna. Molte mutazioni si formano spontaneamente lungo il DNA e possono influenzare regioni e sequenze che codificano per delle proteine. In questo caso, se il loro effetto è molto grave, le mutazioni non verranno trasmesse alla progenie perché colui che ne è portatore morirà. Altre avvengono in regioni non codificanti e non avranno nessun effetto sulle funzioni cellulari e quindi verranno trasmesse senza problemi alle generazioni successive. Nell'uomo i polimorfismi sembrano essere associati a singoli cambiamenti di basi nel DNA. Il dinucleotide CpG (Citosina fosforo Guanina), per esempio, è un hot spot per singoli cambiamenti di sequenza, quindi i siti di restrizione che contengono tale sequenza sono spesso polimorfici. Queste sequenze polimorfiche sono spesso organizzate in maniera ripetuta, da 14 fino a 70 coppie di basi e si incontrano mediamente lungo il genoma, una volta ogni 40 kilobasi. Usando una tecnica di biologia molecolare chiamata PCR (reazione polimerizzante a catena), che è in grado di amplificare molte volte il DNA, è possibile stabilire esattamente la posizione di queste sequenze ripetute, in regioni di DNA definite, e quindi mappare geni che sono a esse adiacenti. Si possono identificare molte famiglie che sono a rischio di malattie genetiche perché entrambi i genitori sono eterozigoti per una mutazione recessiva associata a una particolare malattia genetica. Analizzando il DNA di queste famiglie e studiando la frequenza con la quale il marcatore polimorfico (per esempio la sequenza CA, ripetuta 14 volte) segrega insieme al gene mutante che causa la malattia, si ha la misura della loro vicinanza. Più è alto il numero delle famiglie studiate, più è precisa la mappatura del gene associato alla malattia. Tuttavia poiché nell'uomo il numero di generazioni che può essere analizzato in una famiglia è limitato (nonni, figli, nipoti), la localizzazione di una particolare malattia è molto approssimata. Per superare questi limiti, è stato introdotto l'impiego di una nuova strategia chiamata linkage disequilibrium. Il metodo si basa sul principio che una malattia genetica è molto probabilmente causata da una mutazione avvenuta da molte generazioni. Il cromosoma di questo antenato conterrà dei marcatori molto prossimi al gene mutato che verranno trasmessi generazione dopo generazione. Al contrario marcatori abbastanza distanti dal gene mutato tenderanno ad allontanarsi sempre di più, a causa della ricombinazione. Studiando la distribuzione di marcatori specifici in tutti gli individui malati in una popolazione, è possibile individuare il locus genetico della malattia, in regioni piccole. Negli ultimi anni questa metodologia è stata largamente usata e, per esempio, nella popolazione finlandese, dove è frequente la displasia distrofica, è stato possibile localizzare il gene in una regione di 60 kilobasi.

Le prospettive della genetica genica: isolamento del gene

Alcune malattie genetiche possono essere associate a grossi cambiamenti della struttura dei cromosomi stessi, come per esempio delezioni di frammenti grandi abbastanza da essere visibili al microscopio, duplicazioni o traslocazioni di intere regioni da un cromosoma all'altro. Ciò permette di limitare la regione che contiene il locus delle malattia genetica e usare marcatori specifici per quel cromosoma. In questa maniera il gruppo di T. Kunkel di Harvard ha clonato il gene della distrofia muscolare Duchenne il cui locus si trova nel cromosoma X. Alcuni pazienti affetti da tale malattia mostravano una delezione piuttosto grande proprio nel cromosoma X e, con tecniche di ingegneria genetica, è stato isolato il frammento mancante. In seguito, paragonando il DNA di questi pazienti con quello di altri pazienti, che invece non mostravano la delezione, è stato possibile isolare il gene responsabile della malattia. Il clonaggio del gene della distrofia muscolare permette ora di diagnosticarla in soggetti a rischio familiare. La storia dello studio della distrofia muscolare Duchenne ci fornisce l'esempio di una nuova metodologia nella genetica moderna che si definisce reverse genetics (genetica inversa). La delezione del frammento di DNA nel gene della distrofia muscolare codifica per una proteina chiamata in seguito distrofina la cui funzione non era nota. Dopo l'isolamento del gene con le tecniche descritte precedentemente, è stato possibile definire la funzione della distrofina e stabilire le cause molecolari e biochimiche della malattia. Con il sequenziamento dell'intero genoma del lievito Saccharomyces cerevisiae e di altri organismi e con la grande quantità di dati già a disposizione per il genoma umano, la genetica inversa rappresenta la metodologia per studiare le funzioni di geni sconosciuti. Attraverso tecniche di ricombinazione sito-specifica è possibile inattivare il gene di interesse e analizzare gli effetti sull'organismo: la tecnica, chiamata gene knockout (inattivazione genica), è largamente usata nel lievito e nel topo ed è uno strumento molto potente per rivelare i meccanismi di base dei processi cellulari. Nel topo il gene knockout permette di studiare i meccanismi molecolari dello sviluppo e del comportamento. I geni mutati o inattivati vengono introdotti in cellule staminali embrionali, che vengono reintrodotte in embrioni di topo nella primissima fase dello sviluppo. I topi che si ottengono vengono denominati chimere e conterranno cellule normali e cellule con il gene mutato. Queste cellule contribuiranno a formare sia la linea germinale (spermatozoi e uova) sia la linea somatica. Gli animali così ottenuti vengono accoppiati tra loro, per stabilire se la mutazione di interesse è stata introdotta nella linea germinale. Gli animali eterozigoti per la mutazione sono accoppiati tra loro per produrre un omozigote del gene di interesse. Oltre a studiare le funzioni di geni il cui fenotipo è sconosciuto, questa metodologia rappresenta uno strumento genetico molto utile per lo studio delle malattie ereditarie e per sviluppare nuovi protocolli per il loro trattamento. Dopo aver isolato il gene omologo a quello dell'uomo, per la fibrosi cistica, alcuni ricercatori hanno prodotto topi omozigoti per questa mutazione. Questi topi manifestano gli stessi sintomi della malattia umana e rappresentano un eccellente modello per lo studio di possibili terapie, come per esempio la terapia genica.
Tra le branche della genetica più recenti si segnala la genomica che si occupa dello studio del genoma degli organismi viventi dal punto di vista della sua struttura, contenuto ed evoluzione. Alla base della genomica stanno i metodi di clonaggio dei geni e sequenziamento del DNA. Particolarmente rilevante risulta il Progetto Genoma Umano che, avviato nel 1986, ha condotto tra 2001 e 2003 alla completa mappatura del genoma umano che ha aperto nuove prospettive di ricerca genetica. Oggi il confine tra la genetica e le discipline affini è quanto mai sottile e destinato ad assottigliarsi ancora. In particolare, con la biologia molecolare e la biochimica, gli ambiti di ricerca sono di fatto sovrapposti. Nel 2020 la comunità scientifica ha concentrato gli sforzi di numerosi soggetti (università, istituzioni, fondazioni, aziende farmaceutiche) su studi genetici miranti a individuare nuove soluzioni diagnostiche e terapeutiche contro il virus Sars-CoV-2 responsabile della pandemia di Covid-19.

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