Definizione

Le ricerche basate sulla manipolazione di esseri viventi (piante, animali, uomo) si sono sviluppate in maniera esponenziale negli anni Novanta del sec. XX, fino a raggiungere traguardi fino a pochi anni prima impensabili, come la clonazione di un mammifero (la pecora Dolly nel febbraio 1997 e il vitello Jefferson nel febbraio 1998), la manipolazione dell'embrione animale o umano, la selezione di frammenti di DNA nell'embrione a scopo eugenetico, il trapianto di cellule germinali inter-specie, lo sviluppo di piante transgeniche in grado di produrre nuove sostanze, combattere malattie, parassiti o restare mature a lungo. Al principio del XXI secolo si conoscono molte delle potenzialità e dei limiti della manipolazione e, in molti casi, si dispone dei protocolli di gestione necessari a consentirne un'applicazione in sicurezza. In particolare il Protocollo di Cartagena, ratificato nel 2000, si pone come strumento internazionale per la protezione della biodiversità dai possibili rischi derivanti dalla diffusione dei prodotti delle nuove tecnologie. I punti maggiormente controversi del dibattito in corso sull'uso degli OGM riguardano i potenziali rischi per l'ambiente o per la salute umana e animale, la possibilità di coesistenza tra colture OGM e non-OGM e l'impatto economico-sociale della loro introduzione in aree rurali, soprattutto in Paesi in via di sviluppo. Un elenco di rischi da tenere in considerazione prima di diffondere nell'ambiente un OGM è stato stilato dall'agenzia dall'agenzia dell'Unione Europea EFSA (European Food Safety Authority; Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) e comprende: rischi ambientali relativi a cambiamenti nell'interazione tra pianta modificata e ambiente biotico, tra cui persistenza e invasività, induzione di resistenza negli insetti infestanti cui le piante sono resistenti, interazioni con organismi non-target (per esempio, effetti su api e altri insetti non infestanti, con conseguenze sulla biodiversità); possibili rischi per la salute umana o animale, tra cui effetti tossicologici causati da proteine sintetizzate dai geni inseriti, o tossicità di costituenti diversi dalle proteine, allergenicità, cambiamenti nel valore nutritivo e trasferimento di resistenza agli antibiotici. La possibilità di brevettare gli OGM ha acceso un forte dibattito sulla proprietà intellettuale delle risorse genetiche del pianeta.

Selezione embrionale ed eugenetica

In diverse parti del mondo “superbovini” nati da mucche e tori con patrimonio genetico modificato attraverso l'inserimento di versioni “potenziate” o multiple dei geni che producono l'ormone della crescita (ormone somatotropo bovino o BSTH). I bovini così ottenuti hanno raggiunto dimensioni maggiori e hanno prodotto dal 15 al 20% di latte in più. La stessa tecnica è stata impiegata anche per alcuni mammiferi (pecore, maiali) ma con risultati meno appariscenti. Il passo successivo ha riguardato una tecnica di selezione degli spermatozoi per ottenere animali con il sesso predeterminato. In precedenza era possibile conoscere il sesso dell'embrione prima della nascita, ma non era possibile predeterminarlo al momento del concepimento. Ricercatori inglesi sono invece riusciti a selezionare gli spermatozoi dei tori separando quelli con il cromosoma femminile X e quelli con il cromosoma maschile Y. Con essi è stata successivamente praticata la fecondazione artificiale delle mucche. Questa tecnica è direttamente applicabile anche all'uomo. Un ulteriore sviluppo di questi studi, raggiunto nel 1996, è consistito nella possibilità di togliere e inserire senza danno porzioni di codice genetico in ovuli e spermatozoi. L'obiettivo è il raggiungimento dell'eugenetica, cioè l'ottenimento di embrioni, e quindi di individui, dotati di caratteristiche somatiche prefissate o non più suscettibili a malattie. Naturalmente, anche tali ricerche fanno sorgere enormi perplessità di tipo etico. Elemento chiave di questa tecnica è una proteina, chiamata Rad 51, che permette di saldare frammenti di DNA nel patrimonio genetico di un individuo senza errori, come invece accadeva con le tecnologie di manipolazione genetica prima disponibili. La Rad 51 è la stessa proteina che in natura presiede ai processi di ricombinazione di geni e gruppi di geni. La tecnica è stata finora applicata soltanto sperimentalmente in provetta, senza giungere alla fase pratica su embrioni, animali o umani. In questo campo, alla fine del 2000, si sono ottenuti ulteriori progressi, che hanno permesso in Francia per la prima volta di far nascere un bambino sano da genitori affetti da una deficienza enzimatica al fegato di natura ereditaria. L'équipe francese si è avvalsa della tecnica della diagnostica preimpiantatoria (Dpi), che, a fecondazione avvenuta, ha consentito con accurate manipolazioni in vitro di selezionare gli embrioni privi di tare genetiche e di impiantarli nell'utero della madre.  In Italia la selezione embrionale è regolata dalla l. 19.2.2004 n. 40 "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita" e dalla sentenza della Corte Costituzionale 229/2015 con cui cade il divieto di selezione degli embrioni: i giudici hanno stabilito che non è reato la scelta nei casi in cui sia finalizzata ad evitare l’impianto di embrioni affetti da gravi malattie trasmissibili, ovvero quelle previste dalla 194 sull’aborto.
 

Manipolazione genetica inter-specie

Oltre alle ricerche sulla manipolazione genetica sull'embrione e sulle cellule germinali, sono stati perseguiti anche studi sulla generazione inter-specie. Nel 1996 ricercatori dell'Università della Pennsylvania sono riusciti a conservare e poi trapiantare con successo cellule progenitrici degli spermatozoi da topi fertili a topi resi sterili. Le cellule, una volta innestate, hanno cominciato a produrre spermatozoi, che contenevano informazioni genetiche degli animali da cui erano state prelevate e non quelle dell'animale in cui erano state impiantate. Sempre lo stesso gruppo di ricercatori è riuscito anche a eseguire con successo uno xenotrapianto di tali cellule da ratto a topo e le cellule hanno prodotto spermatozoi di ratto nei testicoli di topo nei quali erano state trapiantate. Questa tecnologia potrà rendere possibile la “produzione” di animali transgenici con organi “umani” da utilizzare nei trapianti. In questo ambito, in Gran Bretagna sono stati ottenuti fin dal 1992 maiali transgenici nel cui patrimonio genetico sono stati inseriti geni umani in grado di “umanizzare” i loro organi sotto il profilo immunologico, in modo da ridurre il rischio di rigetto da parte dell'uomo, una volta che i loro organi venissero trapiantati. Tali geni vengono detti inibitori del complemento perché bloccano il rigetto da parte delle cosiddette proteine del complemento. La reazione immunitaria di complemento, meno importante nel caso del trapianto di un organo umano, è invece la più grave quando in un uomo viene impiantato un organo di animale e provoca un rigetto acuto difficilmente controllabile. In Giappone è stato invece ottenuto un maiale transgenico che produce in parte sangue umano, sempre con l'obiettivo di “umanizzare” i suoi organi sotto il profilo immunologico in vista di una loro possibile utilizzazione per i trapianti. Il maiale così ottenuto possiede sangue di tipo G (di cui sono normalmente dotati i maiali) e sangue umano del tipo 0. L'animale transgenico è stato realizzato inserendo nell'embrione geni umani responsabili dell'emopoiesi. Finora, comunque, trapianti di organi di maiali transgenici sull'uomo non sono ancora stati realizzati in alcun Paese del mondo.

Manipolazione genetica delle piante

In campo vegetale, le tecniche di manipolazione genetica hanno condotto a decine e decine di nuove piante transgeniche, alcune delle quali già entrate sul mercato. Queste si possono dividere in tre grandi categorie: vegetali dotati di maggiore resistenza agli erbicidi, dotati di maggiore resistenza ad agenti patogeni, dotati di modifiche qualitative, organolettiche o nel contenuto dei nutrienti. Nel 2000 l'agricoltura è diventata la voce più importante nel fatturato mondiale dell'industria biotecnologica, stimato in 40-50 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti sono la nazione più attiva in questo settore; dal 1987 al 1997 hanno sperimentato direttamente nell'ambiente 365 piante in 724 luoghi. L'Europa, dal 1992 al 1997, ha autorizzato 143 sperimentazioni in campo aperto, delle quali cinque italiane, di organismi geneticamente modificati. Dei 143 esperimenti autorizzati dalla UE, 139 hanno riguardato piante (pomodori, patate, colza, barbabietole, mais e grano), tre hanno riguardato microorganismi che stimolano la crescita dei vegetali e uno microrganismi che li aiutano a fissare l'azoto. In Europa, Belgio e Francia sono i Paesi più avanzati nelle biotecnologie vegetali, rispettivamente con 43 e 33 esperimenti in corso nel 1997. La Gran Bretagna ne aveva 26, i Paesi Bassi 23 e la Danimarca sei. L'Italia era al sesto posto con cinque, seguita da Germania (4), Portogallo (2) e Spagna (2). Le ricerche sui vegetali transgenici resistenti agli erbicidi hanno portato allo sviluppo di piante come cicoria, brassica (colza), cotone, mais e soia resistenti ai più diffusi agenti chimici; mais, cotone, papaia, patata resistenti a insetti di diverso tipo, zucche resistenti a virus. Nel caso di vegetali resistenti a erbicidi, il patrimonio genetico di queste piante è stato modificato con l'inserimento di uno o più geni, solitamente prelevati da Batteri, che consentono la degradazione o l'inattivazione della sostanza chimica contro cui le si vuole difendere. Nel caso di vegetali resistenti a insetti, il patrimonio genetico viene modificato con geni prelevati da Batteri (come il Bacillus thuringiensis) in grado di attaccare l'insetto. Più complesso è il caso dei vegetali resi resistenti a virus, batteri e funghi. La tecnica impiegata si basa sulla scoperta di una famiglia di geni delle piante virtualmente in grado di combattere le più diffuse aggressioni da parte di questi microorganismi. È noto che alcuni vegetali resistono a certi tipi di microorganismi ma sono indifesi nei confronti di altri. L'obiettivo di tali ricerche è così quello di trasferire da una pianta all'altra tali geni in modo da immunizzare un vegetale dai più diversi microrganismi. I tre geni scoperti sono il gene RPS2 che difende le piante da infezioni batteriche; il gene N, che conferisce resistenza ai virus, isolato in piante di tabacco; il gene L6, in grado di conferire resistenza ai funghi, scoperto in piante del lino. Elemento chiave della scoperta è il fatto che questi geni, pur se presenti in piante diverse, appartengono alla stessa famiglia, rendendo così teoricamente possibile il loro trasferimento in vegetali differenti. Altrettanto significative sono le ricerche che hanno interessato vegetali di cui sono state modificate le caratteristiche qualitative. Di questi Frankenstein food (denominazione attribuita dagli ambientalisti alla fine degli anni Novanta del sec. XX) solo cinque sono stati autorizzati al commercio, mentre molti altri sono in attesa dell'autorizzazione. Tra quelli entrati in commercio sono per esempio il pomodoro a rammollimento ritardato, battezzato Flavr Savr e ottenuto grazie all'inserimento di un gene antisenso, cioè di struttura biochimica speculare a quello normale che si incastra in esso e blocca la sua espressione (in questo caso il processo di rammollimento) inibendo l'enzima poligalatturonasi. In commercio è anche un olio ottenuto da colza con il profilo lipidico modificato, cioè contenente una percentuale molto bassa di grassi saturi (quelli ritenuti più nocivi per il sistema cardiocircolatorio) e un'elevata percentuale di grassi insaturi (quelli che hanno un effetto positivo sul colesterolo “buono” o HDL). Nella pianta è stato inserito un gene che produce un enzima (lo stearoil-ACPdesaturasi) in grado di trasformare i grassi saturi in insaturi. Tra i vegetali transgenici in attesa di autorizzazione si trova per esempio l'Euromelon, melone frutto di una ricerca franco-britannica-greca-spagnola, a maturazione pilotabile grazie al gene antisenso pMel-1 che blocca la biosintesi dell'etilene, responsabile della fermentazione alcolica della polpa e quindi del suo rammollimento. Negli USA sono stati inoltre ottenuti un sedano transgenico senza fili, una carota che si conserva molto a lungo dopo il raccolto e una patata transgenica che assorbe dal 20 al 30% in meno di grassi durante la frittura. Il suo patrimonio genetico è stato modificato dal batterio Escherichia coli per aumentare fino al 60% la percentuale di amido del tubero e di conseguenza il 60% in meno di umidità. In questo modo la patata risulta meno porosa e quindi assorbe quantità inferiori di olio. Altre ricerche sono rivolte a ottenere vegetali dotati di proprietà terapeutiche. L'US Department of Agriculture ha realizzato una fragola transgenica nella quale è stato inserito un gene che comanda la produzione di acido ellagico, un agente considerato protettivo nei confronti dei tumori poiché inibisce l'azione di sostanze cancerogene assunte dall'ambiente o dagli stessi cibi, come idrocarburi policiclici aromatici, nitrosammine, aflatossine. Infine, come è accaduto per gli animali, anche nel mondo vegetale è stato isolato un gene, presente in una grande quantità di specie diverse, che regola l'ormone della crescita. Il gene, chiamato Iaglu, ricoprirebbe diversi ruoli nello sviluppo delle piante, dalla stimolazione della crescita delle radici alla riduzione, invece, delle ramificazioni. Il gene è stato inizialmente isolato nel granturco; successivamente ne è stata verificata la presenza nella canna da zucchero, nelle piante di tabacco, nei pomodori, nei cavolfiori e nei fagioli. Il gene Iaglu produce e regola un enzima (chiamato IAA) il cui ruolo consiste proprio nell'attivare l'ormone della crescita: innescare cioè il primo passo della lunga sequenza di meccanismi che stabiliscono le dimensioni finali di una pianta o di un frutto. Tra gli alberi geneticamente modificati figurano: pini, abeti, aceri, betulle, pioppi, meli, castagni, acacie, olivi, eucalipti, quindi sia alberi da legno, costruiti in modo da sviluppare la massa, sia alberi da frutto, che privilegiano la produttività. I ricercatori non conoscono quali e quanti altri geni siano coinvolti nel processo dello sviluppo dei vegetali ma hanno già avviato una serie di esperimenti per verificare le possibilità di regolarne la crescita con il gene Iaglu. La manipolazione genetica delle piante ha permesso anche di realizzare le cosiddette “bistecche vegetali”, cioè ottenute da piante o funghi che con innesti genetici possono produrre proteine di alta qualità, anche se non paragonabili a quelle della carne. Il vantaggio, oltre al bassissimo costo di produzione, se confrontato con quello della carne bovina pregiata, è nell'assenza dei grassi animali che vengono malvisti dai consumatori. Un'industria scozzese ha infatti realizzato la myco-beef, una bistecca “ricostruita” fatta con le proteine dei funghi, e regolarmente brevettata. Nel 2009 sono stati coltivati al mondo oltre 134 milioni di ettari con Organismi Geneticamente Modificati (ossia circa 10 volte l'intera superficie agricola italiana). Circa il 70% della soia prodotta al mondo e circa il 24% del mais mondiale derivano da Organismi Geneticamente Modificati, così come il 46% del cotone. I campi in cui le piante transgeniche vengono usate maggiormente a fini sperimentali è quello dei vaccini (sono state prodotte piante con antigeni di numerosi agenti eziologici di malattie quali per esempio AIDS, papilloma virus, epatiti, carie dentali, vaiolo), biorisanamento di siti contaminati, genomica funzionale (per scoprire le funzioni di geni e proteine poco conosciute). § Problemi ambientali legati alla manipolazione genetica delle piante. L'introduzione di piante transgeniche nell'ambiente ha sollevato polemiche contestazioni sia da parte di movimenti ambientalisti sia da parte di esponenti del mondo scientifico. Il timore avanzato da alcuni riguarda la possibilità che una pianta transgenica da raccolto dotata di resistenza agli erbicidi possa portare alla nascita di erbe infestanti con una uguale resistenza e perciò virtualmente impossibili da controllare. Si riteneva infatti che le piante transgeniche, trattandosi di ibridi, non potessero riprodursi e neppure trasferire i nuovi caretteri a specie diverse attraverso incroci. Alcuni ricercatori danesi sono riusciti invece a ottenere in laboratorio ibridi capaci di riprodursi incrociando piante di brassica da olio (Brassica napus) l'oleaginosa da cui si estrae l'olio di colza o di ravizzone, geneticamente selezionate, con piante di brassica comune (Brassica campestris), considerate infestanti. Ciò dimostrerebbe che piante infestanti in prossimità dei campi dove si coltivano piante resistenti alle malattie potrebbero acquisirne gli stessi caratteri fino, in teoria, a prendere il sopravvento. Altre ricerche, tuttavia, hanno mostrato il contrario, con sperimentazioni sul campo. Piante di brassica da olio, geneticamente modificate per divenire resistenti agli erbicidi e ai microrganismi patogeni, coltivate per alcuni anni in appezzamenti controllati, non hanno mostrato la possibilità di trasferire la resistenza agli erbicidi nelle piante spontanee che gli crescevano. L'opposizione ambientalista alla commercializzazione di piante geneticamente modificate ha condotto nel 1996-97 a una vera e propria “guerra della soia” tra UE, organizzazioni ambientaliste e industrie chimiche, in seguito alla richiesta da parte di queste ultime di introdurre sul mercato europeo semi di soia transgenica non identificabili rispetto ai semi tradizionali. Analoga opposizione è avvenuta per il mais transgenico resistente agli insetti. Dopo mesi di polemiche, anche a livello governativo, l'Unione Europea ha stabilito (dicembre 1996) una nuova normativa in base alla quale la presenza di componenti transgeniche nei prodotti alimentari lavorati sia indicata sulle etichette quando il prodotto finito “sulla base di una valutazione scientifica, è diverso da quello tradizionale”. Sulle etichette delle confezioni all'ingrosso, che potevano contenere prodotti tradizionali e transgenici mescolati, vi era solo l'indicazione della possibile presenza di prodotti transgenici. Il nuovo regolamento autorizzava inoltre i distributori a evidenziare sulle etichette dei prodotti senza alcuna componente transgenica l'assenza appunto di alimenti geneticamente manipolati. Una clausola che consentiva ai consumatori che lo desiderino di evitare gli alimenti modificati. La direttiva 2001/18/CE costituisce il testo normativo fondamentale, a livello comunitario, in tema sia di “immissione in commercio” di OGM, sia di “emissione deliberata” di OGM nell'ambiente. Include ogni fase dell'impiego di OGM in agricoltura e indica procedure di valutazione, caso per caso, degli eventuali rischi per l'ambiente e la salute umana, connessi all'immissione in commercio, o all'emissione di ciascun OGM ai fini dell'uso agricolo. Le regole dettate dall'UE sono state inasprite nel novembre 2002: è stato infatti disposto che scatta l'obbligo della segnalazione al consumatore quando in un prodotto la presenza di organismi geneticamente modificati supera lo 0,9%. Se poi la coltivazione del prodotto in questione non è autorizzata dall'UE la precentuale si abbassa allo 0,5%. Il Regolamento 2003/1829 CE, approvato dall'Unione Europea, definisce la procedura comunitaria per l'autorizzazione di piante geneticamente modificate destinate all'uso in alimentazione umana o animale. Le aziende che hanno sviluppato un determinato organismo devono presentare domanda di autorizzazione alla Commissione Europea e produrre un dossier che riporti tutte le informazioni scientifiche disponibili che permettano di valutarne la sicurezza per la salute umana, animale e dell'ambiente. La valutazione viene effettuata dall'Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), che fornisce il suo parere scientifico alla Commissione. È compito della Commissione, sulla base dell'opinione dell'EFSA, se garantire o rifiutare l'autorizzazione. Il regolamento, 2003/1830 completa il primo dettando le norme per l'etichettatura e la tracciabilità degli OGM e introduce l'obbligo di etichettare come “prodotto da OGM” anche gli alimenti nei quali non è possibile reperire materiale genetico, come gli oli. Viene ammesso dal regolamento un limite dello 0.9% per la presenza accidentale di OGM (purché autorizzati) in alimenti non OGM. L'Italia rientra tra i paesi che vietano la coltivazione di OGM, ma che, per soddisfare il fabbisogno nazionale di tali prodotti, ne permettono l'importazione da paesi esteri nei quali non esistono vincoli alla coltivazione: questa situazione asimmetrica genera un deficit annuo del settore agricolo del Paese stimato in 5 miliardi di euro (dati 2017). Infatti, l'Italia è un forte importatore di mangimi OGM per il fabbisogno del settore zootecnico: al 2017, l'87% del mangime venduto in Italia è costituito da OGM, tra cui il mais e la soia. Analoga è la situazione del cotone usato per l'abbigliamento, anch'esso costituito, al 2017, per il 70% da cotone OGM.

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