elezióne (religione)
nella Bibbia, la scelta che Dio opera nei confronti d'Israele, facendone il suo popolo. Qualità essenziali dell'elezione sono: la sua esclusività, per la quale Yahwèh, Dio di tutti i popoli, sceglie il solo Israele (Esodo 19, 5); la gratuità, perché la scelta è dettata solo dall'amore di Dio (Deuteronomio 7, 7 seg.). L'elezione del popolo d'Israele ha una preistoria nella chiamata dei Patriarchi, e si prolunga poi nelle chiamate di singoli personaggi (re e profeti) che rivestono un'importanza particolare e rappresentativa nella storia d'Israele che, a sua volta, deve scegliere tra l'accettazione e il rifiuto dell'offerta divina. E in questa risposta all'elezione il popolo gioca il proprio destino: dalla sua obbedienza scaturirà la benedizione e la vita; dalla sua ribellione, la maledizione e la morte (Deuteronomio 28). Ora, la storia effettiva d'Israele corre sul filo della prevaricazione; non per un esplicito rinnegamento dell'elezione divina, ma piuttosto per l'illusoria presunzione che essa basti per garantire a Israele la salvezza, senza un impegno operativo di corrispondenza da parte di questo. L'elezione si trasforma così in punizione (Amos 3, 2), che porta il popolo alla catastrofe politica e religiosa dell'esilio. Ma essa sopravvive in una piccola élite, il “resto d'Israele” (Isaia 4, 3; 6, 13), che si va restringendo numericamente ma intensificando qualitativamente, fino alla suprema condensazione nell'unica persona di Gesù, l'Eletto per eccellenza (Luca 9, 35; 23,35). Da Gesù e in lui l'elezione si riapre sulla collettività, non più nazionale ma virtualmente universale: i discepoli radunati nella Chiesa sono gli “eletti” (Epistola ai Romani 16, 13; Epistola 1 di Pietro 1, 1). Tale elezione è irrevocabile; soltanto il libero rifiuto da parte del singolo può produrre ancora maledizione e morte (Matteo 25, 12). Quest'ultima possibilità ha dato origine all'aspra discussione sul rapporto tra elezione divina e libertà umana (vedi predestinazione).