cortisóne
sm. [sec. XX; da corti(co)s(ter)one]. Ormone steroide appartenente al gruppo dei corticosteroidi. È chimicamente il 17-idrossi-11-deidrocorticosterone, detto anche composto E di Kendall o deidrocortisolo. È presente in piccole quantità nell'estratto di corteccia surrenale; si ottiene per sintesi a partire dall'acido desossicolico. Il cortisone è una sostanza cristallina, di sapore amaro persistente, poco solubile in acqua, facilmente solubile in metanolo, cloroformio e acetone. In acido solforico concentrato forma una soluzione rosso-arancione dotata di intensa fluorescenza verde. Il cortisone è uno dei più attivi glicocorticoidi naturali, ma possiede anche una non trascurabile attività sul metabolismo idrico-salino, tipica degli ormoni mineralcorticoidi. Trova impiego in medicina sotto forma di acetato, di fosfato o di ciclopentan-propionato nel trattamento di numerose malattie del collageno (reumatismo articolare acuto, poliartrite cronica, ecc.), nelle dermatosi, nelle malattie allergiche (asma, febbre da fieno, malattia da siero, edema angioneurotico, ecc.), nelle emopatie emolitiche, nei tumori del sistema reticolo-endoteliale (linfosarcoma, morbo di Hodgkin), nelle malattie oculari di carattere allergico e infiammatorio, come uveiti, cheratiti, iridocicliti, congiuntiviti, ecc. L'uso del cortisone, specie se protratto nel tempo, può produrre vari inconvenienti, come per esempio ritenzione di sali e di acqua, edemi, ipertensione arteriosa, irsutismo, iperglicemia, disturbi psichici, ecc. Vengono inoltre ridotti i poteri di difesa immunitaria dell'organismo con conseguente predisposizione alle malattie infettive. L'impiego del cortisone è controindicato nella tubercolosi, nell'ulcera peptica, nell'arteriosclerosi, nel diabete, nelle malattie renali croniche, nello scompenso cardiaco.