chemioresistènza
sf. [chemio-+resistenza]. Fenomeno per effetto del quale i farmaci chemioterapici (antibatterici, antivirali, antibiotici, ecc.) sono o diventano inattivi sugli agenti patogeni contro cui vengono adoperati nella terapia antinfettiva. La chemioresistenza interessa anche i farmaci antitumorali, con riflessi di grande importanza nella terapia antineoplastica. I fattori per cui un farmaco può non svolgere o cessare di esercitare la sua azione specifica sono molteplici, ma tutti riconducibili a più o meno complesse interazioni biochimiche tra farmaco e agente patogeno che portano a una resistenza da parte del microrganismo elettiva verso quel certo tipo di farmaco (tale fenomeno di adattamento del batterio, quando si verifica verso un antibiotico, è detto antibioticoresistenza). Nell'ambito della chemioresistenza batterica si possono distinguere tre forme: una naturale, una acquisita e una infettiva. Un germe patogeno può essere “naturalmente” insensibile a un farmaco chemioterapico per varie cause: produzione da parte del germe di enzimi che inattivano la molecola del farmaco (è il caso degli stafilococchi produttori di penicillinasi che trasformano la penicillina nel metabolita inattivo acido penicilloico); assenza nei batteri di recettori specifici per il chemioterapico (così le penicilline sono inattive su micoplasmi i quali sono sprovvisti della parete cellulare, cell wall, che rappresenta il bersaglio dell'azione penicillinica); scarsa capacità di penetrazione del farmaco chemioterapico nella cellula batterica (le tetracicline penetrano nella cellula batterica grazie a un processo di trasporto attivo che richiede ATP; esistono germi tetraciclino-insensibili nei quali l'antibiotico non riesce a permeare la membrana cellulare e a raggiungere quindi i ribosomi che sono il sito d'azione); accentuata produzione degli enzimi su cui si svolge l'azione antibatterica (la cicloserina agisce sui micobatteri tubercolari inibendo l'attività dell'alaninasintetasi: alcuni ceppi micobatterici sfuggono all'azione di questo farmaco, in quanto capaci di sintetizzare grandi quantità di alaninasintetasi); produzione da parte del germe di metaboliti che antagonizzano l'azione del chemioterapico (per esempio, alcune forme batteriche insensibili ai sulfamidici producono acido-para-aminobenzoico, riuscendo in tal modo a sintetizzare l'acido folico e quindi le proteine anche in presenza del sulfamidico). Un germe insensibile a un chemioterapico è spesso resistente anche ad altri chemioterapici che agiscono con analogo meccanismo: questo fenomeno è detto chemioresistenza o antibioticoresistenza crociata ed è di comune riscontro nell'ambito delle penicilline e degli antibiotici amminoglucosidici. La chemioresistenza acquisita ha un significato più clinico che biologico: una popolazione di germi patogeni, originariamente sensibile a un chemioterapico, diventa resistente in seguito alla ripetuta esposizione allo stesso chemioterapico. La chemioresistenza acquisita non è una forma di adattamento del germe al farmaco, ma il risultato dello sviluppo preferenziale di ceppi resistenti che già esistevano nell'originaria popolazione batterica e che il chemioterapico ha selezionato. La chemioresistenza infettiva deriva dal trasferimento di materiale genetico da un germe resistente a uno sensibile della stessa specie o di specie diversa, il quale pertanto acquisisce insensibilità nei confronti di uno o più chemioterapici. La chemioresistenza infettiva è un fenomeno molto temibile perché può essere trasmesso ai germi patogeni anche da specie non patogene.