Lessico

Sf. [sec. XIII; latino candēla, da candēre, essere bianco, risplendere].

1) Lume a forma di cilindro in cera, stearina o paraffina, con in mezzo uno stoppino o lucignolo, che, acceso, produce una fiammella di lunga durata: in caso di temporali accendeva sempre una candela; studiare al lume di una candela; l'altare era pieno di candele accese; accendere una candela alla Madonna, a un santo, in segno di ringraziamento per una grazia ricevuta. Fig.: struggersi come una candela, deperire per male fisico o per sentimento non corrisposto; essere alla candela, alla fine della vita; mostrare qualche cosa al lume di candela, di sfuggita; non valere la candela, non valere la pena; tenere la candela, favorire con il proprio intervento una relazione amorosa o assistere, involontariamente, alle effusioni di due innamorati; avere la candela al naso, detto scherzosamente di ragazzo, che ha il naso sporco di moccio.

2) In tecnologia, qualsiasi elemento che, per la sua forma, ricordi la candela luminosa. In particolare: A) Condotta verticale che si diparte dalla campana dell'altoforno e ha lo scopo di impedire il trascinamento da parte dei gas di particelle fuse di dimensioni considerevoli. B) Nei forni ceramici ad anello, tubo cavo in refrattario che attraversa perpendicolarmente il forno fino alla suola, dove, dai fori praticati sul fondo, fuoriesce il combustibile gassoso. C) Nei torni, sinonimo di barra scanalata. D) Nell'industria del legno, lo stesso che antenna. E) Negli impianti e nell'industria chimica, candela filtrante, elemento tubolare chiuso a un'estremità utilizzato per filtrare gas o liquidi contenenti pulviscolo o altro agente solido in sospensione. È costituita di materiale microporoso (porcellana, come nel caso delle candele Chamberland, o farina fossile, come nel caso delle candele Berkefeld) che trattiene gli elementi da filtrare (polveri, germi, ecc.) sia per la piccolezza dei fori, da 1,4 fino a 0,6 μ, sia per fenomeni di assorbimento. Le candele filtranti presentano lo svantaggio di essere fragili, laboriose da pulire e a volte incompatibili con la soluzione da filtrare, per cui nel caso di soluzioni medicinali e dell'acqua si preferiscono le membrane sterilizzanti oppure filtri idonei. F) In elettrotecnica viene spesso usato il termine candela di resistenza per indicare un resistore in filo avvolto su supporto cilindrico di porcellana o materiale refrattario (detto candela refrattaria) di potenze rilevanti comprese tra una decina e qualche centinaio di watt; un esempio comune è costituito dagli elementi riscaldatori delle stufe elettriche. G) Nei motori a scoppio, candela d'accensione, organo che genera nelle camere di scoppio del cilindro la scintilla che provoca l'accensione della miscela.

3) Unità fondamentale di misura in fotometria.

4) In pirotecnica, candela romana, artificio multiplo costituito da un cilindro di cartone, alto fino a 4 cm, la cui composizione è interrotta, a distanze prefisse, da stelle; effetti diversi si ottengono con le candele dette mosaici, che utilizzano stelle che lasciano una coda.

5) In aeronautica, brusca cabrata o picchiata, con partenza in assetto orizzontale, che porta il velivolo a un rapido assetto verticale. Può essere eseguita come figura acrobatica.

Candele per illuminazione: fabbricazione

Le candele per illuminazione vengono fabbricate da macchine automatiche col metodo della colata in stampo: lo stoppino è formato da un filato di cotone attorcigliato, trattato chimicamente con una soluzione di fosfato, solfato e cloruro d'ammonio con acido borico e nitrato potassico. Il solido infiammabile, un tempo costituito essenzialmente da cera d'api e/o acido stearico, è una miscela di paraffina, ricavata per lo più dalla deparaffinizzazione degli oli lubrificanti con aggiunta di minori quantità (dal 10 al 15%) di acido stearico e cera d'api. La combustione avviene per fusione del solido e vaporizzazione dello stesso, con decomposizione in carbonio libero e idrocarburi leggeri, che alla sommità della fiamma vengono bruciati. In commercio, le candele assumono denominazioni diverse a seconda della materia prima utilizzata, oltre alle candele di paraffina vi sono candele di stearina o candele steariche costituite dal 70% di stearina e per il resto di paraffina; candele di cera, più o meno pura, in genere si usa un miscuglio di cera d'api, cere vegetali, ceresina, paraffina e rivestimento di cera d'api; candele di spermaceti, di pregio, trasparenti, che danno una bella fiamma; candele di sego, di scarto in quanto emettono cattivo odore, sono molli e danno fiamma fuligginosa, sono realizzate con grasso animale.

Candele per illuminazione: cenni storici

L'uso delle candele è assai antico: già in epoca romana si usavano cordoni di canapa rivestiti di sego o di cera d'api; l'uso di candele di sego, perfezionato, rimase, accanto ad altri metodi d'illuminazione, fino a tutto il sec. XIX. Dopo l'introduzione, all'inizio del sec. XIX, dell'acido stearico, si diffuse l'uso di candele steariche che, già dal 1846 furono prodotte a macchina; il minor costo della paraffina, ottenuta quale sottoprodotto dell'industria petrolifera, fece, in seguito, preferire tale materia prima.

Candele per illuminazione: religione

Come mezzo d'illuminazione liturgica nelle funzioni religiose, le candele devono essere di cera d'api e non possono essere sostituite da lampade; devono essere due per la Messa privata del vescovo; sei per la Messa pontificale (più una settima dietro la croce quando pontifica il vescovo diocesano); sei anche per le Messe solenni con ministri e quattro per quella senza ministri, per la Messa conventuale o parrocchiale letta; per l'esposizione del SS. Sacramento le candele devono essere almeno sei nel rito semplice e dodici o venti in quello solenne.

Fotometria

La candela (simbolo cd) è l'unità fondamentale di misura dell'intensità luminosa nel Sistema Internazionale (SI): viene definita come l'intensità luminosa di una superficie di area 1/600.000 m² del corpo nero alla temperatura di solidificazione del platino, emessa nella direzione perpendicolare alla superficie stessa, alla pressione di 101.325 Pa. In Italia il dispositivo adottato per definire la candela in base alle norme internazionali è il radiatore integrale (corpo nero) dell'Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris di Torino; la sorgente reale è costituita da un tubetto di ossido di torio contenente al fondo polvere di ossido di torio, immerso in un crogiolo con platino in fusione; l'orificio del crogiolo, di 1 cm² di area, è posto nella parte superiore. L'osservazione dell'intensità luminosa viene fatta attraverso un prisma che devia di 90º i raggi uscenti dall'orificio. § Storicamente, con il nome di candela sono stati adottati numerosi campioni differenti per definire l'unità di misura dell'intensità luminosa; alcuni di questi sono ancora usati. I campioni differivano, generalmente, per la sorgente luminosa utilizzata. Nel 1800, G. B. Carcel proponeva come campione una lampada a fiamma che bruciava 42 grammi di olio di colza all'ora: la corrispondente candela, usata in Francia, prese il nome di candela Carcel. Successivamente venne scelto come campione la superficie di platino di 1 cm² di area, mantenuta alla sua temperatura di fusione uguale a 1773 ºC; la corrispondente unità di misura, adottata in Francia nel 1881, fu chiamata candela Violle, dal nome del fisico francese J. Violle; la ventesima parte della candela Violle fu poi scelta come nuova unità di misura e chiamata candelaVernon-Harcourt, o candela decimale, perché uguale alla decima parte della candela Carcel che allora era più diffusa. Poiché però la candela Violle era di difficile realizzazione, si preferì riferire la candela decimale ad altri campioni quali: una lampada a pentano, da cui ebbe il nome la candela a pentano, adottata in Inghilterra; una lampada ad acetato di amile, proposta dal tedesco F. von Hefner-Alteneck (lampada Hefner) e la cui corrispondente unità di misura di intensità luminosa, candela Hefner (simbolo HK), fu adottata in Germania nel 1884; una lampada elettrica a incandescenza di caratteristiche ben definite; la corrispondente unità di misura, adottata nel 1907, fu detta candela internazionale (simbolo ICP; 1 ICP=1,11 HK) e restò in uso sino al 1940. In tale anno venne accettata dal Bureau International des Poids et Mesures la candela nuova o definitiva (1 cd=1,02 ICP), accolta dal 1960 nel Sistema Internazionale quale unità fondamentale. § Nelle lampadine di uso domestico e professionale è sempre indicata la potenza erogata, in watt, e mai l'intensità luminosa, in candela, e pertanto è errato l'uso corrente di confondere i watt con le candele "Per approfondire Vedi Gedea Astronomia vol. 2 pp 210-211" "Per approfondire Vedi Gedea Astronomia vol. 2 pp 210-211" .

Motori

La candela d'accensione "Per gli schemi vedi il lemma del 5° volume." "Vedi schemi vol. V, pag. 326" consta di un involucro esterno in acciaio (inferiormente filettato per consentire il fissaggio della candela al cilindro), che porta uno degli elettrodi e si trova elettricamente a massa, e di uno stelo isolante in porcellana entro il quale è bloccato un secondo elettrodo. Quest'ultimo riceve dal sistema di accensione, attraverso il cavo portacorrente, l'impulso elettrico ad alto potenziale (10÷15.000 V) che fa scoccare la scintilla tra gli elettrodi posti a una distanza di 0,4÷0,7 mm (accensione). Gli elettrodi e lo stelo isolante debbono essere in grado di sopportare temperature di 500-850 ºC, necessarie per impedire il deposito di residui incombusti che dopo un certo tempo renderebbero impossibile lo scoccare della scintilla. La porcellana deve garantire una tenuta perfetta sia quando motore e candela sono freddi sia alle massime temperature d'esercizio e deve mantenere le sue caratteristiche isolanti anche dopo esser stata sottoposta a milioni di impulsi elettrici ad alta tensione; inoltre la distribuzione della temperatura deve essere uniforme e non superare dati limiti onde non causare detonazioni. I vari tipi di candele si distinguono essenzialmente in base al loro grado termico, che esprime la capacità di disperdere il calore dovuto alla combustione della miscela, in modo da evitare fenomeni di autoaccensione. Si distinguono perciò candele calde e candele fredde in base alla temperatura che raggiungono durante il funzionamento. Nei motori “spinti”, fortemente compressi, si usano candele fredde, negli altri candele calde. È errata, quantunque diffusa, l'opinione che installando su un motore lento e poco compresso candele adatte per motori spinti si ottengano migliori prestazioni. Ciò provoca al contrario difficoltà in avviamento, irregolarità in accelerazione, maggior consumo e frequente insudiciamento delle candele stesse. Per analogia, nei motori a precamera di combustione Diesel è detta candela una resistenza a incandescenza che favorisce l'accensione del gasolio nella fase d'avviamento o anche nel funzionamento normale. L'introduzione delle marmitte catalitiche ha richiesto una maggiore affidabilità delle candele: infatti, mentre normalmente nelle vetture la mancata accensione di una candela (misfire) durante un ciclo di combustione non provoca alcun danno, quando viene montata una marmitta catalitica il misfire ingenera un forte surriscaldamento di questa con fusione del supporto meccanico e la conseguente perdita di efficienza del catalizzatore. Allo scopo di evitare il pericoloso inconveniente vengono prodotte candele con elettrodi di alta tensione con anima di rame che, sporgendo maggiormente nella camera di combustione, migliorano la loro capacità di accensione; altre soluzioni sono quelle di adottare leghe bimetalliche o rivetti di metalli preziosi per ridurre il consumo degli elettrodi e quindi garantire una maggiore durata e un'accensione regolare a ogni regime del motore.

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