Malattie e salute
Malattie ed epidemie hanno rappresentato nella storia dell’umanità un fattore decisivo
per l’evoluzione demografica. Per secoli ogni morbo fu considerato un autentico
flagello a causa delle scarse conoscenze sulle ragioni che lo determinavano.
La medicina tradizionale considerava in generale le malattie come dovute a uno
squilibrio degli elementi corporei, e quest’ultimo era ricollegato a sua volta a uno
squilibrio dell’anima; è per questa ragione che la medicina degli antichi aveva spesso
un carattere sacrale e considerava alcune malattie come indicanti uno sfavore divino,
ragione anche per la quale, ad esempio la lebbra, era oggetto della legislazione
del Levitico. A causa delle critiche condizioni igienicosanitarie e dei fattori climatici e ambientali, le malattie più diffuse erano ancora nel XIX sec. quelle a carico dell’apparato respiratorio e gastroenterico. Assai dannosa per la civiltà del Mediterraneo fu la malaria, diffusasi in modo endemico nel IV-V sec. d.C., la quale spopolò intere regioni costiere e fu causa persino di modificazioni costituzionali di tipo regressivo, a danno di numerose popolazioni. Molto più temute erano le epidemie che provocavano la fuga della popolazione dalle zone infette, la paralisi delle attività economiche e commerciali, il calo dei matrimoni e della natalità. A volte si diffondevano persecuzioni contro coloro che venivano accusati di essere i diffusori volontari del male: per esempio nel Medioevo gli Ebrei, in epoca moderna gli “untori” della peste. Quest’ultima fu sicuramente tra le epidemie più diffuse (provocata da un bacillo diffuso da alcune specie di pulci trasportate dai topi o trasmesse per via aerea da uomo a uomo), presente già in epoca antica e poi ricomparsa in Europa tra il 1347 e il 1351, quando causò la morte di trenta milioni eli persone. Ricomparve poi a ondate successive spesso in coincidenza con guerre o con carestie. Il tifo petecchiale (trasmesso dai pidocchi) era legato alla stagione invernale e al sovraffollamento negli ambienti chiusi; il vaiolo trasmesso da uomo a uomo tendeva a colpire i più giovani; il colera causato da acque o alimenti infetti colpiva soprattutto le città. Queste malattie si diffusero con ondate epidemiche soprattutto tra il XVII e il XIX sec. L’avvento dell’industrializzazione determinò la comparsa di nuovi tipi di malattie legate all’esercizio di alcune professioni (per es. l’avvelenamento da piombo per i tipografi o la silicosi nei minatori), ma anche di malformazioni indotte dalla ripetizione di gesti innaturali e gravi incidenti sul lavoro.
La nascita degli ospedali e il costituirsi della legislazione medica moderna
Con l’avvento del Cristianesimo e con l’accento particolare posto da quest’ultimo sulla carità, l’assistenza ai malati venne particolarmente sviluppata: i vescovi sostennero la fondazione degli “hospitali”, organizzati come istituzione sia sanitaria sia assistenziale. In epoca medievale furono inoltre fondati gli Ordini Mendicanti (domenicani e francescani), alcune confraternite laicali e gli ordini militari cavallereschi (Cavalieri di S. Giovanni, Ordine Teutonico) che crearono ospedali e ospizi. In essi però non era fatta distinzione alcuna tra malati, viandanti e mendicanti; l’ospedale si configurava come un’istituzione di carità con un carattere misto laico-religioso in cui esercitavano medici esterni. Sul finire del ’300, dopo l’infuriare della pestilenza in Europa furono introdotte pratiche di disinfezione pubblica e forme di “quarantena” per le navi provenienti da località infette. Nel 1423 fu aperto a Venezia il primo “lazzaretto” in cui isolare i malati infettivi. In epoca rinascimentale la politica del principe in materia assistenziale fece sorgere accanto agli enti elemosinieri e ospedalieri in ambito cittadino anche istituzioni complesse come gli ospedali generali (per es. nel 1456 l’Ospedale Maggiore di Milano). Il gran numero delle persone ricoverate in queste strutture provocava più celermente la diffusione e il contagio delle malattie. Nel ’500 la fiducia nelle capacità terapeutiche dei medici non era certo aumentata, se Michel de Montaigne (1533-1592) parlando di loro sosteneva: “Sono dei privilegiati. I loro successi li vedono tutti e i loro errori sono coperti dalla terra”. Lo Stato assunse in prima persona l’esercizio dell’assistenza solo nei secc. XVIII e XIX, secondo i principi della laicità e razionalità dell’amministrazione pubblica, spesso sostenendo un conflitto con le strutture ecclesiastiche. Nel ’700 furono introdotti gli istituti clinici, superando la distanza tra Università e ospedali, e vennero istituiti i primi “medici condotti”, funzionari statali diffusi sul territorio. Nel 1800 e vennero introdotte altre novità incisive che fecero crollare i tassi di mortalità: la pratica preventiva delle vaccinazioni, la diffusione dell’asepsi e dell’anestesia. Inoltre lo Stato intervenne nell’ambito della sanità con l’approvazione di misure di legislazione sociale e di tutela dei lavoratori: in Italia la prima legge organica in materia fu emanata nel 1865, e riprendeva la legge Rattazzi del 1859. Nel 1889 fu emanata la riforma voluta da Crispi che dava vita a un sistema sanitario piramidale facente capo al Consiglio Superiore di Sanità. Con il XX sec. si affermò l’idea del diritto alla salute, come diritto del cittadino: nel 1934 furono istituiti i laboratori provinciali di igiene e profilassi, nel 1958 fu istituito il Ministero della Sanità. In epoca più recente fu varata una riforma del sistema sanitario nazionale con l’introduzione delle USL, le Unità Sanitarie Locali (1978).